T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 15-06-2011, n. 1057 Carenza di interesse sopravvenuta Interesse a ricorrere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Regione Puglia, ha impugnato l’ordinanza del Sindaco di Cavallino del 24 dicembre 2009 con la quale è stata data "facoltà, per quanto espresso, in narrativa, ai titolari degli esercizi commerciali ubicati sul territorio del Comune di Cavallino, di decidere liberamente le chiusure e le aperture, domenicali e festive, nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2010", proponendo i seguenti motivi: violazione art. 117 Cost.; usurpazione di attribuzioni e competenze in materia di legislazione esclusiva della Regione; eccesso di potere per disapplicazione della l.r. 11/2003; arbitrarietà assoluta; falsa ed erronea applicazione del principio comunitario e costituzionale della tutela della concorrenza; falsa ed erronea applicazione del d.lgs. 114/1998; violazione del principio comunitario e costituzionale della sussidiarietà orizzontale; violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza; violazione artt. 35 e 26 Cost.; violazione dei principi costituzionali in materia di tutela del lavoro e del lavoratore; violazione del giusto procedimento amministrativo per omesso coinvolgimento di soggetti portatori di diritti costituzionalmente garantiti; irragionevolezza dell’azione amministrativa; disparità di trattamento; discriminazione evidente; violazione art. 3 l. 11/2003 (finalità della legge regionale).

Deduce la ricorrente: che il Comune ha illegittimamente disapplicato la l.r. 11/2003 che disciplina il commercio e l’apertura degli esercizi commerciali; che la materia del commercio è devoluta alla competenza esclusiva della Regione; che l’art. 2 d.lgs. 114/1998, nel liberalizzare l’orario di apertura dei servizi commerciali, ha demandato alla Regione l’individuazione dei periodi in cui applicare le deroghe agli orari di apertura e chiusura; che il Comune non ha provveduto a raggiungere l’accordo con le organizzazione e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, così come richiesto dall’art. 18, comma 8octies, l.r. 11/2003.

Il Comune si è costituito con atto del 10 aprile 2010 e con memoria del 27 aprile 2010 ha eccepito la competenza della sezione staccata di Lecce.

Con ordinanza n. 1/2010 il Tar Bari ha accolto l’eccezione di incompetenza territoriale e ha ordinato la trasmissione del fascicolo a questo Tribunale.

La S., con memoria di costituzione del 13 maggio 2010, ha eccepito l’improcedibilità per difetto di legittimazione perché il Comune ha esercitato una funzione amministrativa relativa a una materia a lui attribuita in via esclusiva e perché la Regione sarebbe legittimata solo se il provvedimento determinasse una lesione degli interessi di tutti i cittadini pugliesi e non quando, come nel caso in esame, gli interessi della comunità hanno posizioni diversificate. Nel merito ha rilevato che la disciplina regionale è contraria ai principi costituzionali e che il concerto con le organizzazioni di categoria lede la funzione amministrativa ed è violativo dell’art. 118 Cost.

La ricorrente e il Comune, con atti del 18 maggio 2010, si sono costituiti.

La Regione, con memoria del 12 novembre 2010, ha insistito sulla sussistenza del proprio interesse ad agire e ha ribadito le proprie argomentazioni.

Il Comune, con memoria del 13 novembre 2010, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse perché il 31 marzo 2010 si è avuta la cessazione dell’efficacia del provvedimento impugnato, il difetto di legittimazione attiva della Regione, e l’inammissibilità del ricorso per non essere stato notificato al consorzio operatori Cavallino. Nel merito ha dedotto in ordine alla legittimità della disapplicazione della legge regionale in questione, perché in contrasto con i principi posti dalla normativa comunitaria a tutela dell’economia di mercato e della libera concorrenza e con l’art. 12 d.lgs. 114/1998.

La Regione, con memoria di replica del 22 novembre 2010, ha controdedotto, rilevando che è infondata l’eccezione per sopravvenuta carenza di interesse perché questa può essere pronunciata solo al verificarsi di una situazione in fatto o in diritto del tutto nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, che agli enti pubblici spetta la legittimazione a proporre ricorso a tutela dell’integrità della propria sfera di attribuzioni e che il ricorso è stato notificato al maggiore esercente operante nel centro commerciale di Cavallino.

Nel merito si è riportata a quanto dedotto nei precedenti scritti.

Con memoria di replica del 24 novembre 2010 il Comune ha insistito sulla fondatezza del ricorso.

La Regione e il Comune, con atti del 19 febbraio 2011 hanno ribadito le proprie argomentazioni.

Il Consorzio Operatori di Cavallino, con memoria di costituzione del 25 febbraio 2011, ha eccepito il difetto di legittimazione della Regione e nel merito ha argomentato in ordine alla legittimità del provvedimento impugnato.

Il Comune ha poi depositato una memoria di replica il 2 marzo 2011.

Nella pubblica udienza del 23 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Il Comune ha eccepito anzitutto l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse perché, alla scadenza della deliberazione impugnata, non sono stati prorogati gli effetti che sono dunque già integralmente cessati.

Secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse si verifica quando, a seguito di una rigorosa indagine circa l’utilità ricavabile dalla definizione del ricorso, vi sia un sicuro convincimento che le modifiche della situazione di fatto o di diritto, intervenute in corso di causa, impediscano di riconoscere in capo al ricorrente alcun interesse, anche meramente morale, alla decisione nel merito (TAR Lombardia, Brescia, 14 dicembre 2009, n. 2564).

Nel caso in esame, nonostante gli effetti dell’atto impugnato si siano esauriti,, l’impugnativa è sorretta dall’interesse alla decisione di merito, se non altro perché nulla esclude che il Comune possa, in futuro, reiterare un provvedimento di contenuto analogo e quindi dall’interesse all’integrità della propria sfera di attribuzioni..

2. Parimenti infondata è l’eccezione di difetto di legittimazione attiva.

Com’è noto la nozione di legittimatio ad causam e quella di legittimazione a ricorrere, nel processo amministrativo, sono tenute distinte perché la prima riguarda l’astratta riferibilità del rapporto giuridico processuale al soggetto che agisce (ossia la corrispondenza tra chi agisce e il destinatario della decisione), mentre la seconda riguarda la titolarità, da parte del soggetto che agisce, di una posizione giuridica tutelata rispetto all’atto impugnato.

Pertanto, per ritenere sussistente l’interesse a ricorrere è necessario verificare la lesione effettiva e concreta che il provvedimento impugnato arreca alla sfera patrimoniale o morale del ricorrente e il vantaggio concreto, anche se solo potenziale, che il ricorrente mira a ottenere dall’annullamento del provvedimento impugnato.

L’interesse a ricorrere deve essere caratterizzato anche dai requisiti della personalità, perché deve riguardare specificamente e direttamente il ricorrente, dell’attualità, perché deve sussistere al momento della proposizione del ricorso e deve continuare a sussistere nel corso del giudizio, e della concretezza, perché l’interesse va valutato con riferimento a una concreta lesione o pregiudizio verificatosi a danno del ricorrente.

Posti questi principi, e proprio perché la legittimazione ad agire va riscontrata in base all’interesse fatto valere, all’oggetto dell’impugnativa ed alla natura delle censure proposte, la Regione, quale ente territoriale esponenziale degli interessi delle comunità stanziate sul suo territorio, nonché titolare di competenza legislativa esclusiva in materia di commercio interno, oltre che chiamata ad esercitare funzioni amministrative nel procedimento di approvazione dei codici del commercio, deve ritenersi legittimata ad impugnare gli atti e provvedimenti emanati dalle autorità che, in aperto contrasto con la normativa regionale, dettino regole diverse.

In particolare, l’interesse concreto della Regione è quello diretto alla tutela dell’uniformità, su tutto il territorio regionale, delle regole disciplinanti le attività commerciali, perciò ritiene il Collegio che spetta alla Regione, quale ente esponenziale della collettività regionale, cui è affidata dall’art. 117 cost. la tutela generale del commercio interno, la legittimazione ad impugnare gli atti e provvedimenti emanati dalle autorità competenti, qualora dalla loro esecuzione derivi una lesione alla integrità della funzione suddetta.

3. Nel merito, con riferimento alla problematica delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali, questa Sezione si è recentemente espressa con la sentenza n. 639/2011, che si trascrive qui di seguito.

"L’intera problematica deve però essere rimeditata alla luce di una più approfondita ricostruzione del diritto comunitario e delle novità giurisprudenziali (in particolare, Corte cost. 8 ottobre 2010, n. 288) e normative (il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) nel frattempo intervenute.

Per quello che riguarda il diritto comunitario, appare assolutamente indubbio come la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea abbia seguito, nel tempo, percorsi ricostruttivi sostanzialmente (e notevolmente) divergenti da quelli proposti dalla Sezione.

La Corte di Giustizia della Comunità Europea (Corte giust. CE 20 giugno 1996, n. 418), con riferimento al settore del commercio all’ingrosso, ha sostanzialmente escluso il possibile contrasto tra una normativa limitativa delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali e le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi.

A prescindere dalla sostanziale impossibilità di ravvisare nella regolamentazione dell’apertura domenicale degli esercizi commerciali una misura direttamente integrante "una disparità di trattamento tra prodotti nazionali e prodotti importati per quanto riguarda l’accesso al mercato" (punto n. 24 della sentenza Corte giust. CE 20 giugno 1996, n. 418, che si pone in sostanziale continuità rispetto alla precedente 24 novembre 1993, cause riunite C267/91 e C268/91, Keck e Mithouard), la soluzione è comunque imposta dalla necessità di salvaguardare le peculiarità socioculturali nazionali o regionali: "la Corte ha più volte riconosciuto che una normativa nazionale come quella di cui trattasi persegue un obiettivo legittimo alla luce del diritto comunitario. Invero, le discipline nazionali che limitano l’apertura domenicale di esercizi commerciali costituiscono l’espressione di determinate scelte, rispondenti alle peculiarità socioculturali nazionali o regionali. Spetta agli Stati membri effettuare queste scelte attenendosi alle prescrizioni del diritto comunitario" (Corte giust. CE 20 giugno 1996, n. 418, punto n. 25).

Si trattava di una soluzione che nel 1996 doveva essere considerata ormai stabilizzata nel diritto comunitario, essendo stata già affermata nelle sentenze 28 febbraio 1991 in causa C312/89, Conforama, e in causa C332/89, Marchandise, e nella successiva 16 dicembre 1992 in causa C169/91; se si eccettua pertanto l’isolato precedente di Corte giust. CE 2 giugno 1994 in cause riunite C69/93 e C258/93, Punto Casa e PPV, (che giustificava il self restraint in materia di apertura festiva degli esercizi commerciali solo sulla considerazione relativa alla non diretta incidenza delle limitazioni in discorso sulla vendita dei prodotti provenienti da altri stati membri della Comunità), il percorso argomentativo della Corte di Giustizia CE appare caratterizzato, con assoluta costanza, dalla necessità di salvaguardare le specificità socioculturali dei singoli Stati (o delle singole Regioni) che sono spesso alla base di soluzioni diversificate in materia di orari e giornate di apertura degli esercizi commerciali.

Nell’applicazione pratica, si trattava poi di una soluzione che non poteva non risolversi in un sostanziale bilanciamento di interessi, da effettuarsi sulla base del principio di proporzionalità, tra gli interessi socioculturali delle collettività interessate e le esigenze degli operatori economici; come per altre problematiche del diritto comunitario, la conclusione in ordine alla legittimità delle misure in discorso non può pertanto non passare attraverso l’accertamento in ordine alla necessità "che gli effetti restrittivi della disciplina in questione sugli scambi intracomunitari non eccedano la misura di quanto è necessario per raggiungere lo scopo prefisso" (Corte giust. CE 16 dicembre 1992 in causa C169/91, punti n. 15 e 16).

La disciplina più recente è la dir. 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), che è stata recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 e che,nel solco dell’evoluzione dell’ordinamento comunitario, tende a disciplinare,oltre il mercato europeo,anche il mercato nazionale.

La stessa reca una serie di disposizioni tese a regolamentare i "regimi autorizzatori" (che devono essere considerati cosa più ampia e diversa rispetto alla sola autorizzazione all’accesso al mercato), in maniera tale che "tale potere non sia utilizzato in modo arbitrario" (art. 10, 1° comma dir. 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE); in particolare, per considerare un regime autorizzatorio non discriminatorio è necessario il rispetto di alcuni "criteri" fondamentali che "devono essere:

a) non discriminatori;

b) giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;

c) commisurati all’obiettivo di interesse generale;

d) chiari e inequivocabili;

e) oggettivi;

f) resi pubblici preventivamente;

g) trasparenti e accessibili" (art. 10, 1° comma dir. 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE).

In definitiva, l’esame più approfondito del diritto comunitario evidenzia una sistematica che appare complessivamente lontana dalla valorizzazione esclusiva del solo principio di libertà di concorrenza presente nelle precedenti decisioni rese dalla Sezione sulla problematica e che oggi non può non essere condotta alla luce della disposizione fondamentale dell’art. 10, 2° comma della dir. 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE e, quindi, sulla base di un sostanziale bilanciamento di interessi tra esigenze degli operatori economici e "motivi imperativi di interesse generale" da ritenersi indiscutibilmente comprensivi delle "esigenze socioculturali" dei singoli Stati già valorizzate dalla Corte di Giustizia CE.

I " motivi imperativi di interesse generale" sono individuati dall’art. 8 del d.lgs. n.59 del 2010 (in applicazione della previsione dell’art. 4 n.8 della dir. 2006/123) nelle "ragioni di pubblico interesse, tra i quali l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica, l’incolumità pubblica, la sanità pubblica, la sicurezza stradale, la tutela dei lavoratori compresa la protezione sociale dei lavoratori, il mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale, la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l’equità delle transazioni commerciali, la lotta alla frode, la tutela dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano, la salute degli animali, la proprietà intellettuale, la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale".

In questa prospettiva, l’art. 18 della l.r. 1° agosto 2003, n. 11 (nuova disciplina del commercio) che regolamenta la problematica nella Regione Puglia ha sostanzialmente raggiunto, nel corso degli anni e per effetto delle modificazioni normative intervenute, una strutturazione complessa che viene ad integrare un bilanciamento di interessi, accettabile e non discriminatorio a livello comunitario, tra esigenze economiche degli operatori e del mercato e motivi imperativi di interesse generale che militano per una disciplina restrittiva in materia di aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali.

In particolare, un ruolo decisivo ai fini del contemperamento in discorso è assunto dal ricorso alla contrattazione e concertazione con le organizzazioni rappresentative degli utenti e dei lavoratori, in un sistema flessibile che può essere riportato al seguente schema ricostruttivo, articolato su diversi "gradini" progressivamente e maggiormente incidenti sui principi di libertà dell’iniziativa economica, libertà di stabilimento e prestazione dei servizi: la regolamentazione della problematica delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali da parte dell’ente locale passa,di conseguenza, attraverso una sistematica complessa che contempla le seguenti possibili varianti:

1) in ogni caso, è garantita (dall’art. 18, comma 8octies della l.r. 1° agosto 2003, n. 11,comma introdotto dall’art. 22 della l.r. 10 del 2009) la possibilità di prevedere aperture domenicali e festive oltre i limiti previsti dalla normativa regionale, "sulla base di accordi sottoscritti con le organizzazioni e associazioni di cui all’articolo 2, comma 2bis della l. 11 del 2003" (Consulta regionale consumatori e utenti, associazioni delle imprese del commercio maggiormente rappresentative a livello regionale e organizzazioni sindacali dei lavoratori); è quindi sempre possibile il superamento di tutti i limiti all’ apertura previsti dalla normativa regionale in presenza dell’assenso delle organizzazioni e associazioni previste dalla legislazione regionale;

2) nei comuni a economia prevalentemente turistica e nelle città d’arte, è possibile (art. 18, comma 6 l.r. 1° agosto 2003, n. 11) per l’Amministrazione comunale prevedere aperture domenicali e festive oltre quelle previste in via generale dall’art. 18, 5° comma della l.r. 11/2003 e nei limiti contemplati dal sesto comma (e fatta salva la diversa possibilità di deroga già richiamata al numero precedente); in questo caso, la possibilità di deroga può essere esercitata dall’Amministrazione comunale, previa acquisizione del concerto (non è quindi richiesto l’assenso, come per l’ipotesi precedente) delle organizzazioni e associazioni sopra richiamate;

3) in via generale, i Comuni, sentite le organizzazioni e associazioni rappresentative di utenti, lavoratori e esercenti, possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva per tutte le domeniche del mese di dicembre, nonché per "un’ulteriore domenica o festività per ogni altro mese dell’anno" (art. 18, comma 5 l.r. 1° agosto 2003, n. 11); anche in questo caso, però, la deroga può essere estesa, con il concerto delle organizzazioni e associazioni, al numero massimo di aperture domenicali previsto per i comuni ad economia prevalentemente turistica e nelle città d’arte;

4) è poi prevista l’inapplicabilità della normativa in materia di obbligo di chiusura domenicale e festive ad alcune tipologie di attività (art. 18, 7° e 8° comma l.r. 11 del 2003) e la possibilità di autorizzare l’esercizio dell’attività di vendita degli esercizi di vicinato, sia nei giorni festivi che in orario notturno, "in base alle esigenze dell’utenza e alle peculiari caratteristiche di alcune parti del territorio" (art. 18, comma 8bis l.r. 11 del 2003).

La normativa regionale prevede,in buona sostanza, una gamma di ipotesi che si articola nella liberalizzazione più completa dello svolgimento dell’attività nei giorni domenicali e festivi e via via in limitazioni sempre più stringenti,in funzione della composizione raggiunta dalla pluralità degli interessi coinvolti e,quindi,del rilievo assunto da " motivi imperativi di interesse generale".

Nella formazione della disciplina che regoli concretamente il fenomeno l’Autorità comunale (che esercita il relativo potere – attribuito dall’art. 50,settimo comma,del d.lgs. n.267 del 2000 – in base all’art117,quarto comma, della Costituzione e quindi alla disciplina regionale,vertendosi in materia di commercio interno e non nella materia della concorrenza,secondo la ricostruzione operata dalla Corte costituzionale nella sentenza 8 ottobre 2010 n.288) deve partire dalla considerazione che gli scambi,anche quelli interni in ossequio alla disciplina comunitaria (l’appartenenza della vicenda alla materia del commercio e quindi la ricomprensione della stessa nell’ambito della competenza legislativa regionale non esime dal rispetto della disciplina comunitaria,che non conosce differenziazioni fra commercio e concorrenza,ma unisce entrambe in un unico ambito), sono tendenzialmente liberi e possono essere limitati solo in funzione di " motivi imperativi di interesse generale".

La legislazione regionale conosce questi " motivi" e ne prevede l’inserimento nel processo formativo della disciplina mediante il concerto o l’assenso delle parti sociali interessate,cioè attraverso un processo di composizione degli interessi formato all’interno del proprio ambito dai portatori degli stessi.

L’Autorità comunale deve,perciò,tener conto,innanzi tutto,della volontà manifestata dalle parti sociali in ordine alla completa liberalizzazione della apertura degli esercizi commerciali nei giorni domenicali e festivi.

La lettera dell’art. 18,comma 8 octies, della l.r. n.11 del 2003 prevede che una determinazione in tal senso possa essere assunta "sulla base di accordi sottoscritti con le organizzazioni e associazioni di cui all’articolo 2, comma 2bis della l. 11 del 2003".

All’interprete spetta,dunque, di stabilire se la formula normativa imponga la confluenza di tutte le volontà sullo stesso punto,cioè la soddisfazione di tutti gli interessi in gioco.

Alla domanda non può che darsi risposta negativa,ove si tenga conto che questi interessi sono fisiologicamente spesso in contrasto,sicchè il dissenso di uno porta alla paralisi dell’iter.

Si può obiettare che la paralisi dell’iter in questione non comporta l’assenza di qualsiasi determinazione in ordine all’apertura degli esercizi nelle giornate domenicali e festive,ben potendo essere esplorate le possibilità subordinate al " concerto".

Ove,tuttavia,si tenga conto che anche il " concerto " con tutte le parti sociali interessate implica il confluire di tutte le volontà su uno stesso punto e che la lettera della norma prevede l’accordo con le parti sociali e non con ogni soggetto rappresentativo degli interessi coinvolti,si giunge agevolmente alla conclusione che,come avviene in ogni incontro di soggetti che rappresentano interessi diversi e che non sono chiamati a decidere in ordine ad interessi essenziali (come la salute o la proprietà),il risultato della composizione non può che essere quello che contemperi l’interesse di tutti e cioè una " ragionata" interpretazione del principio secondo il quale la maggioranza vincola la minoranza.

Sulla base del presupposto che il potere spetta all’Autorità comunale,questa sarà chiamata,innanzi tutto, a convocare le parti sociali,ad acquisire l’avviso espresso dalla maggioranza di queste ed a motivare adeguatamente perché segue tale avviso o ne modera i termini in funzione della tutela degli interessi della minoranza.".

Nel caso in esame, deve essere ritenuta illegittima l’ordinanza sindacale che ha dato facoltà ai commercianti "di decidere liberamente le chiusure e le aperture", in aperto contrasto con quanto stabilito dalla l.r. 11/2003, e senza alcun accordo o concerto con le organizzazioni di categoria.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con compensazione delle spese di giudizio per giusti motivi.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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