Corte Costituzionale ordinanza n. 317 ORDINANZA 03 – 11 novembre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 46 del 17-11-2010

Ordinanza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli artt. 2 e 3 della
legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice
penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e
555 del codice di procedura penale), promosso dal Pretore di Salerno,
sezione distaccata di Amalfi, nel procedimento penale a carico di F.
G. con ordinanza del 22 marzo 1999, iscritta al n. 122 del registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 18, 1ª serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il Giudice
relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con ordinanza del 22 marzo 1999, trasmessa dalla
cancelleria, dopo oltre dieci anni, il 18 gennaio 2010 e pervenuta a
questa Corte il 23 marzo 2010 (r.o. n. 122 del 2010), il Pretore di
Salerno, sezione distaccata di Amalfi, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita’
costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 16 luglio 1997, n. 234
(Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso
d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura
penale), nella parte in cui non prevedono che il decreto di citazione
a giudizio, emesso dal giudice per le indagini preliminari in seguito
ad opposizione a decreto penale di condanna, debba essere preceduto,
a pena di nullita’, dall’invito a presentarsi per rendere
l’interrogatorio, ai sensi dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen.;
che, ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione di
detto invito e la conseguente negazione all’imputato della
possibilita’ di contestare anticipatamente il fondamento dell’accusa
in sede di interrogatorio comporterebbero una violazione del
principio di eguaglianza;
che l’opponente a decreto di condanna verrebbe trattato,
infatti, in modo ingiustificatamente deteriore rispetto all’imputato
nei cui confronti si procede nei modi ordinari e, in particolare,
tramite citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 555 cod.
proc. pen. (ipotesi nella quale – per effetto delle modifiche
introdotte dalle norme censurate – il decreto di citazione deve
essere invece preceduto, a pena di nullita’, dall’invito in
questione);
che se pure, all’origine, non vi e’ identita’ di posizione
processuale tra chi, all’esito delle indagini preliminari, viene
citato a giudizio e chi e’ direttamente condannato con decreto, le
due posizioni diverrebbero, nondimeno, pienamente assimilabili una
volta che sia presentata opposizione al decreto di condanna, senza
che con essa vengano richiesti il patteggiamento, il giudizio
abbreviato o l’oblazione;
che in questo caso, infatti, l’opposizione e’ diretta a
«recuperare le "vie ordinarie" del processo», esprimendo «un deciso
dissenso dalle conclusioni accusatorie»;
che mentre, pero’, con l’interrogatorio che deve precedere il
decreto di citazione a giudizio di cui all’art. 555 cod. proc. pen.,
l’imputato ha la possibilita’ di difendersi in via preliminare dalle
accuse mosse nei suoi confronti – potendo addirittura indurre il
pubblico ministero a presentare richiesta di archiviazione – assai
piu’ ridotte risulterebbero le possibilita’ di difesa dell’opponente,
citato a giudizio ai sensi degli artt. 464 e 456 cod. proc. pen.;
che quest’ultimo non sarebbe, infatti, in grado ne’ di
«rimuovere preliminarmente» l’imputazione formulata dal pubblico
ministero, ne’ di prospettare elementi atti a «far vacillare il
castello accusatorio gia’ dalle prime battute del processo futuro»
(cio’, tenuto conto del fatto che il proscioglimento ai sensi
dell’art. 129 cod. proc. pen. puo’ essere invocato da entrambe le
parti, e non solo dall’imputato, col risultato di evitare un inutile
e dispendioso dibattimento);
che la denunciata disparita’ di trattamento ridonderebbe,
inevitabilmente, anche in un pregiudizio del diritto di difesa:
diritto che, rispetto all’imputato opponente a decreto penale di
condanna, risulterebbe «fortemente compresso, anzi escluso, nella
fase investigativa», per poi «riespandersi» quando ormai, a seguito
della valutazione discrezionale del pubblico ministero, «il fatto e’
stato ritenuto abbastanza fondato da meritare l’instaurazione del
processo»;
che la questione sarebbe, altresi’, rilevante nel giudizio a
quo, essendo il rimettente chiamato a trattare il giudizio
dibattimentale conseguente alla rituale opposizione dell’imputato a
un decreto penale di condanna a lire 975.000 di ammenda, emesso dal
Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Salerno per la
contravvenzione prevista dall’art. 5, lettera b), della legge 30
aprile 1962, n. 283 (Disciplina igienica della produzione e della
vendita delle sostanze alimentari e delle bevande): cosi’ che
l’accoglimento della questione comporterebbe la nullita’ del decreto
di citazione a giudizio emesso dal medesimo giudice a seguito
dell’opposizione, in quanto non preceduto dall’invito di cui si
tratta;
che nel giudizio di costituzionalita’ e’ intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata manifestamente infondata.
Considerato che il Pretore di Salerno, sezione distaccata di
Amalfi, censura come contraria agli artt. 3 e 24 della Costituzione
la mancata previsione, in rapporto al procedimento per decreto, di
una disciplina corrispondente a quella introdotta per il procedimento
ordinario a seguito delle modifiche operate dalla legge n. 234 del
1997: disciplina in forza della quale la richiesta di citazione a
giudizio (nel procedimento con udienza preliminare) e il decreto di
citazione a giudizio (nel procedimento a citazione diretta) debbono
essere preceduti, a pena di nullita’, dalla notificazione
all’indagato dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio,
ai sensi dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen. (artt. 416, comma 1,
e 555, comma 2, cod. proc. pen., come novellati dall’art. 2 della
citata legge n. 234 del 1997, attenendo il successivo art. 3 ai
profili di diritto transitorio);
che, in tale ottica, il rimettente chiede che venga
dichiarata l’illegittimita’ costituzionale delle norme impugnate
nella parte in cui non prevedono che anche il decreto di citazione a
giudizio, emesso dal giudice per le indagini preliminari a seguito
dell’opposizione a decreto penale di condanna (artt. 464 e 456 cod.
proc. pen.), debba essere preceduto, a pena di nullita’, dal predetto
invito;
che questa Corte si e’, peraltro, gia’ piu’ volte pronunciata
su analoghe questioni, sollevate in rapporto ai medesimi parametri
costituzionali, dichiarandone la manifesta infondatezza (ordinanze n.
458 e n. 325 del 1999; nonche’, con riguardo a questioni affini,
volte ad introdurre l’obbligo del previo interrogatorio, o
dell’invito a renderlo, quale condizione di validita’ della richiesta
del pubblico ministero di emissione del decreto penale di condanna,
ordinanze n. 326 del 1999 e n. 432 del 1998);
che, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 3
Cost., si e’ in particolare rilevato come l’asserita esigenza di
prevedere una anticipazione del contraddittorio, nelle forme
suddette, sulla base di un raffronto con la disciplina del rito
ordinario risulti «contraddetta dalle caratteristiche del
procedimento per decreto penale, che, per la sua struttura di rito a
contraddittorio eventuale e differito, improntato a criteri di
economia processuale e di speditezza, non e’ comparabile, come tale,
con gli altri modelli delineati dalla […] disciplina del processo
penale» (ordinanza n. 326 del 1999): e cio’, neppure alla stregua
delle innovazioni introdotte dalla legge n. 234 del 1997, poiche’ nel
procedimento per decreto l’esigenza di garantire la conoscenza
dell’indagine si trasferisce sulla fase processuale, conseguente
all’opposizione;
che quanto, poi, all’ipotizzata lesione dell’art. 24 Cost.,
si e’ osservato che nel procedimento per decreto l’esperimento dei
mezzi di difesa, con la stessa ampiezza dei procedimenti ordinari, si
colloca parimenti nella fase susseguente all’opposizione: rimanendo
escluso, al tempo stesso, che «alla previsione di un contraddittorio
antecedente l’esercizio dell’azione penale» possa «assegnarsi il
carattere di necessario svolgimento della garanzia costituzionale
della difesa, garanzia che si esercita nel processo e che – tanto
piu’ nel quadro del processo di tipo accusatorio – postula
primariamente, come interlocutore dell’interessato, il giudice e non
la parte pubblica» (ordinanza n. 326 del 1999);
che, in aggiunta a cio’, l’introduzione dell’obbligo del
previo invito a presentarsi per l’interrogatorio, quale condizione di
validita’ del decreto che dispone il giudizio emesso dal giudice per
le indagini preliminari a seguito dell’opposizione (e, dunque,
successivamente all’esercizio dell’azione penale), lungi dal
riportare ad unita’ la disciplina dei diversi riti, «comporterebbe
l’atipica collocazione di un atto, proprio della fase delle indagini
preliminari, nell’ambito della fase del giudizio»: collocazione
«oltretutto inidonea a garantire quelle finalita’ – di conoscenza
[…] dell’indagine, e di possibilita’ di instaurare un
contraddittorio con l’organo di accusa in funzione dell’esito
dell’indagine stessa, cioe’ dell’alternativa […] tra passaggio al
giudizio e archiviazione – che […] con la riforma del 1997 il
legislatore ha inteso perseguire» (ordinanza n. 325 del 1999;
analogamente, ordinanza n. 458 del 1999);
che, peraltro, successivamente all’ordinanza di rimessione –
trasmessa a questa Corte, come gia’ rimarcato, con patologico ritardo
– e’ intervenuta la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle
disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione
monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale.
Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario.
Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita’
spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione
forense), la quale, nell’ambito di una piu’ generale revisione del
procedimento penale dinanzi al tribunale, anche in composizione
monocratica, ha modificato la disciplina introdotta dalle norme
censurate, che il rimettente evoca come termine di raffronto;
che, in particolare, per effetto della novella, il previo
invito all’indagato a presentarsi per rendere l’interrogatorio non
costituisce piu’ un antecedente imprescindibile, stabilito a pena di
nullita’, della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di
citazione diretta a giudizio, quali atti di esercizio dell’azione
penale: la garanzia difensiva essendo ora costituita dalla notifica
all’indagato di un «avviso della conclusione delle indagini
preliminari» (art. 415-bis cod. proc. pen., inserito dall’art. 17,
comma 2, della legge n. 479 del 1999) e dalla previsione di nullita’,
rispettivamente della richiesta di rinvio a giudizio e della
citazione diretta a giudizio, in caso di omissione di detto avviso
ovvero dell’invito a rendere interrogatorio, se richiesto
dall’indagato entro venti giorni dalla notifica dell’avviso stesso
(artt. 416, comma 1, secondo periodo, e 552, comma 2 – sostitutivo
dell’art. 555 previgente – come modificati dall’art. 17, comma 3, e
dall’art. 44, comma 1, della legge n. 479 del 1999);
che comunque della nuova disciplina il giudice a quo non
dovrebbe fare applicazione, sicche’ non occorre restituire gli atti a
detto giudice per un nuovo esame sia della rilevanza che della non
manifesta infondatezza della questione;
che, peraltro e solo per completezza, mette conto di
rammentare che anche detta nuova disciplina e’ stata sottoposta a
scrutinio da parte di questa Corte, per la mancata previsione della
ricordata nuova garanzia difensiva nel procedimento per decreto:
scrutinio che si e’ ugualmente concluso con la dichiarazione della
manifesta infondatezza delle questioni sollevate, sia con riguardo ai
parametri costituzionali evocati nel caso qui in esame (artt. 3 e 24
Cost.), sia con riguardo agli ulteriori parametri di cui all’art.
111, terzo, quarto e quinto comma, Cost.; essendosi, in particolare,
rilevato che «l’innesto della disciplina dell’avviso di conclusione
delle indagini nel procedimento monitorio ne snaturerebbe la
struttura e le finalita’, inserendovi una procedura incidentale che
potrebbe determinare una notevole dilatazione temporale, e si
sostanzierebbe in una garanzia che, oltre ad essere
costituzionalmente non imposta, si rivelerebbe del tutto incongrua
rispetto ai caratteri del rito speciale» (ordinanze n. 131 e n. 32
del 2003; in argomento, altresi’, ordinanze n. 8 del 2003 e n. 203
del 2002);
che la questione proposta dal rimettente nel presente
giudizio non esprime profili ne’ argomenti nuovi rispetto a quelli
gia’ precedentemente esaminati, onde va dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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