Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-03-2011) 13-06-2011, n. 23598 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 9.7.2010 confermava la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Catanzaro del 24.3.2010 di condanna del ricorrente alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 1.400,00 per ricettazione e estorsione.

L’imputato chiedeva, secondo il sistema cosiddetto del "cavallo di ritorno", la somma di Euro 1.050,00 che veniva effettivamente consegnata per restituire la vettura sottratta a S.S..

Quest’ultimo individuava fotograficamente e in sede di ricognizione personale l’imputato come il soggetto che gli aveva chiesto del denaro per riavere la vettura e poi gli aveva riconsegnato la vettura.

La Corte territoriale riteneva che la successiva ritrattazione del teste fosse inaffidabile anche in relazione all’emerso avvicinamento del teste da parte dei familiari del ricorrente.

Inoltre il teste non aveva offerto alcuna plausibile giustificazione in ordine alla successiva ritrattazione.

Ricorre l’imputato che allega che era mancato il riconoscimento dibattimentale e che non vi erano state pressioni da parte dei familiari del ricorrente per ottenere una ritrattazione.

Alcuni verbalizzanti avevano riferito di dubbi sul riconoscimento dell’imputato da parte del fratello della vittima S.F. che aveva assistito personalmente ai fatti estorsivi che aveva riferito dubbi anche da parte dello stesso fratello S. S..

Inoltre del tutto immotivatamente non era stata ammessa la testimonianza del S.F. testimone essenziale che aveva direttamente assistito, come detto, a fatti estorsivi, che aveva nutrito dubbi sull’identificazione del ricorrente come riferito in udienza da agenti di P.G..

I dubbi sul riconoscimento erano stati precisati da parte della parte lesa e concernevano elementi precisi come il tatuaggio e le orecchie a sventola.

Mancava una adeguata motivazione in ordine alla denegazione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, appare inammissibile.

Va ricordato con riferimento al vizio di motivazione che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6^ 6 giugno 2002, Ragusa).

Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

Ora la motivazione della Corte territoriale appare congrua e immune da vizi logici avendo rammentato le due identificazioni la prima fotografica e la seconda personale effettuata dalla parte offesa che ha anche previamente ricostruito le caratteristiche fisiche dell’autore singolarmente corrispondenti a quelle dell’imputato sul punto delle orecchie a sventola.

La successiva ritrattazione non sola è apparsa come priva di giustificazioni, ma dovuta ad anche un’"azione di disturbo" ai danni della fonte dichiarativa (pag. 3 della sentenza impugnata).

In tale contesto la Corte ha apprezzato come non credibili le dichiarazioni rese dalla parte offesa dopo ben tre anni dai fatti e per la prima volta su pretesi dubbi sull’identificazione effettuata, non giustificati in base ad argomenti apprezzabili e del tutto irrilevante la riapertura del dibattimento stante l’inutilità di ulteriori accertamenti istruttori.

La motivazione come detto appare persuasiva e logicamente ineccepibile; le cesure ripropongono mere questioni di fatto già esaminate nelle precedenti fasi del giudizio.

Infondata e di merito è la doglianza di cui al secondo motivo: le attenuanti generiche sono state denegate per i molteplici precedenti specifici in un arco temporale ristretto e per il comportamento tenuto successivamente ai fatti commessi.

La motivazione appare persuasiva e logicamente coerente.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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