Corte Costituzionale sentenza n. 325 SENTENZA 03 – 17 novembre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 47 del 24-11-2010

Sentenza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 23-bis del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel
testo originario ed in quello modificato dall’art. 15, comma 1, del
decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per
l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze
della Corte di giustizia delle Comunita’ europee), convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166; dell’art. 15,
comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009; dell’art. 4, commi 1,
4, 5, 6 e 14 della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39
(Istituzione delle Autorita’ d’Ambito per l’esercizio delle funzioni
degli enti locali in materia di risorse idriche e gestione rifiuti ai
sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia
ambientale); dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania
21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale della regione Campania – Legge finanziaria anno
2010); promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (mediante due ricorsi),
Liguria (mediante due ricorsi), Piemonte (mediante due ricorsi),
Puglia, Toscana, Umbria e Marche e dal Presidente del Consiglio dei
ministri (mediante due ricorsi), notificati il 20 ottobre 2008, il 21
gennaio 2010, il 20 ottobre 2008, il 22 gennaio 2010, il 20 ottobre
2008, il 29 gennaio, il 9 gennaio, il 22 gennaio, il 21 gennaio ed il
22 gennaio 2010, il 30 dicembre 2008 e il 20 marzo 2010, depositati
in cancelleria il 22 ottobre 2008, il 28 gennaio 2010, il 22 ottobre
2008, il 27 gennaio, il 27 ottobre, il 29 gennaio, il 18 gennaio, il
27 gennaio, il 28 gennaio ed il 29 gennaio 2010, il 2 gennaio 2009 e
il 30 marzo 2010, ed iscritti ai nn. 69 del registro ricorsi 2008, 13
del registro ricorsi 2010, 72 del registro ricorsi 2008, 12 del
registro ricorsi 2010, 77 del registro ricorsi 2008, 16, 6, 10, 14 e
15 del registro ricorsi 2010, 2 del registro ricorsi 2009, 51 del
registro ricorsi 2010.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri e delle Regioni Liguria e Campania;
Udito nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2010 il giudice
relatore Franco Gallo;
Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e
Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon, Luigi
Manzi e Luigi Piscitelli per la Regione Liguria, Alberto Romano e
Roberto Cavallo Perin per la Regione Piemonte, Nicola Colaianni e
Adriana Shiroka per la Regione Puglia, Lucia Bora per la Regione
Toscana, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria,
Stefano Grassi per la Regione Marche, Vincenzo Cocozza per la Regione
Campania e gli avvocati dello Stato Chiarina Aiello, Giuseppe
Albenzio e Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 22
ottobre successivo (r. ric. n. 69 del 2008), la Regione
Emilia-Romagna ha impugnato, tra l’altro, i commi 7 e 10 dell’art.
23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria)
– articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133,
ed entrato in vigore, in forza dell’art. 1, comma 4, di detta legge,
in data 22 agosto 2008 – in riferimento all’articolo 117, quarto e
sesto comma, nonche’ all’articolo 118, primo e secondo comma, della
Costituzione.
1.1. – La ricorrente premette che, secondo la sentenza della
Corte costituzionale n. 272 del 2004, la legge dello Stato puo’
intervenire nella materia dei servizi pubblici a titolo di tutela
della concorrenza solo con norme che «che garantiscono, in forme
adeguate e proporzionate, la piu’ ampia liberta’ di concorrenza
nell’ambito di rapporti – come quelli relativi al regime delle gare o
delle modalita’ di gestione e conferimento dei servizi – i quali per
la loro diretta incidenza sul mercato appaiono piu’ meritevoli di
essere preservati da pratiche anticoncorrenziali».
1.1.1. – La Regione impugna, in primo luogo, il comma 7 dell’art.
23-bis, il quale prevede che «Le regioni e gli enti locali,
nell’ambito delle rispettive competenze e d’intesa con la Conferenza
unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel
rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi
servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di
scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia
nell’espletamento dei servizi, nonche’ l’integrazione di servizi a
domanda debole nel quadro di servizi piu’ redditizi, garantendo il
raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di
impianto per piu’ soggetti gestori e la copertura degli obblighi di
servizio universale».
Per la ricorrente, tale disposizione, «sotto una apparenza
meramente facoltizzante», vincola le Regioni e gli enti locali ad
assumere le proprie decisioni relative ai bacini di gara –
corrispondenti ai bacini di esercizio dei servizi pubblici –
«d’intesa con la Conferenza unificata», in violazione degli artt.
117, quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
Lamenta la Regione che la disciplina della dimensione di
esercizio dei servizi pubblici rientra nella sua potesta’ legislativa
e che il condizionare l’esercizio di tale potesta’ e delle scelte
amministrative che essa esprime lede sia la potesta’ stessa, sia il
principio di sussidiarieta’, non sussistendo «alcuna ragione di
centralizzazione di tali scelte». Tale lesione non viene meno per il
fatto che la Conferenza unificata sia un organismo espressivo delle
autonomie, perche’ l’intesa con la Conferenza richiede
necessariamente anche l’intesa con lo Stato, il quale e’ esso stesso
parte della Conferenza e perche’ si tratterebbe in ogni caso di un
condizionamento delle scelte della Regione da parte di altre Regioni
ed enti locali, che non hanno alcun potere da esercitare in relazione
al territorio di una specifica Regione.
1.1.2. – E’ censurato, in secondo luogo, il comma 10 dell’art.
23-bis, il quale prevede che «ll Governo, su proposta del Ministro
per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni,
nonche’ le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o piu’
regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23
agosto 1988, n. 400, al fine di: a) prevedere l’assoggettamento dei
soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di
stabilita’ interno e l’osservanza da parte delle societa’ in house e
delle societa’ a partecipazione mista pubblica e privata di procedure
ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione
di personale; b) prevedere, in attuazione dei principi di
proporzionalita’ e di adeguatezza di cui all’articolo 118 della
Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti
possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi
pubblici locali in forma associata; c) prevedere una netta
distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione
dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della
disciplina sulle incompatibilita’; d) armonizzare la nuova disciplina
e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali,
individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento
di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia
di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche’ in materia di
acqua; e) disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo
restando il limite massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun
settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure
diverse dall’evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase
transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in
essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo
tempi differenziati e che gli affidamenti di retti in essere debbano
cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo; f)
prevedere l’applicazione del principio di reciprocita’ ai fini
dell’ammissione alle gare di imprese estere; g) limitare, secondo
criteri di proporzionalita’, sussidiarieta’ orizzontale e
razionalita’ economica, i casi di gestione in regime d’esclusiva dei
servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attivita’ economiche
di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale
compatibili con le garanzie di universalita’ ed accessibilita’ del
servizio pubblico locale; h) prevedere nella disciplina degli
affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una
durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore
ai tempi di recupero degli investimenti; i) disciplinare, in ogni
caso di subentro, la cessione dei beni, di proprieta’ del precedente
gestore, necessari per la prosecuzione del servizio; l) prevedere
adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo
agli utenti dei servizi; m) individuare espressamente le norme
abrogate ai sensi del presente articolo».
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost.,
perche’ la materia che forma oggetto della competenza regolamentare
statale da essa prevista presenterebbe un «inestricabile intreccio
con le materie oggetto di potesta’ concorrente (come il coordinamento
della finanza pubblica, fondamento della lettera a) o esclusiva delle
regioni (come nel caso della gestione associata dei servizi locali,
oggetto della lettera c)». Secondo la ricorrente, in presenza di un
tale intreccio di materie, il solo modo di contemperare le competenze
rispettive dello Stato e delle Regioni sarebbe consistito nel
sottoporre il regolamento all’intesa della Conferenza Stato-Regioni o
della Conferenza unificata, in luogo del semplice parere previsto
dalla disposizione impugnata.
In particolare, con riferimento alla lettera b) del comma 10
dell’art. 23-bis, la ricorrente lamenta che l’oggetto della potesta’
regolamentare da esso assegnata allo Stato – e cioe’ prevedere che «i
comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le
funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma
associata» – e’ del tutto estraneo alla tutela della concorrenza e a
ogni altro titolo di competenza normativa statale.
1.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate.
Rileva la difesa dello Stato che: a) il censurato comma 7
dell’art. 23-bis reca una disciplina che rientra nella materia della
tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello
Stato, perche’, attraverso l’individuazione dei bacini di gara e dei
criteri relativi a tale attivita’, individua in concreto il «mercato
rilevante», allo scopo di evitare le distorsioni della concorrenza
derivanti dalla parcellizzazione delle gestioni; b) il censurato
comma 10 dell’art. 23-bis prevede una potesta’ regolamentare statale
che ha la finalita’ di procedere all’armonizzazione della disciplina
di alcuni settori di pubblici servizi nei quali sussiste una
regolazione settoriale contrastante con i principi stabiliti da detto
articolo e tale finalita’ giustifica la previsione del parere della
Conferenza Stato-Regioni anziche’ del meccanismo dell’intesa forte;
c) in particolare, la lettera b) del censurato comma 10 dell’art.
23-bis ha anch’essa una finalita’ di armonizzazione, perche’ prevede
che «il "controllo analogo" possa sussistere anche allorche’ piu’
comuni e/o enti pubblici non detengano individualmente l’intera
partecipazione del soggetto affidatario in house».
1.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la
Regione Emilia-Romagna ha sostanzialmente ribadito quanto gia’
sostenuto nel ricorso, aggiungendo che: a) quanto all’individuazione
dei bacini di gara di cui al censurato comma 7, l’illegittimita’
della previsione dell’intesa con la Conferenza unificata e’
confermata dalla stessa legislazione statale, che affida alle
Regioni, senza intese di alcun tipo, il potere di individuare gli
ambiti di esercizio dei servizi pubblici, come ad esempio in materia
di servizio idrico integrato (art. 147 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.
152, recante «Norme in materia ambientale»); b) quanto al regolamento
di delegificazione previsto dal censurato comma 10, lo schema di
regolamento adottato il 22 luglio del 2010 dal Consiglio dei ministri
e non ancora emanato contiene una previsione tanto dettagliata da
rendere oltremodo necessaria la previsione dell’intesa con la
Conferenza unificata in luogo del semplice parere.
2. – Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 22
ottobre successivo (r. ric. n. 72 del 2008), la Regione Liguria ha
impugnato, tra l’altro, i commi 2, 3, 4, 7 e 10 dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008 – articolo aggiunto dalla legge di
conversione 6 agosto 2008, n. 133, – in riferimento agli artt. 117,
quarto e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
2.1. – La ricorrente premette che la legge dello Stato puo’
intervenire nella materia dei servizi pubblici solo a titolo di
tutela della concorrenza e sostiene che le disposizioni censurate non
sono riferibili a tale titolo competenziale.
2.1.1. – La Regione impugna, in primo luogo, i commi 2, 3 e 4
dell’art. 23-bis, i quali prevedono rispettivamente che: a) «Il
conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in
via ordinaria, a favore di imprenditori o di societa’ in qualunque
forma costituite individuati mediante procedure competitive ad
evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che
istituisce la Comunita’ europea e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita’,
efficacia, imparzialita’, trasparenza, adeguata pubblicita’, non
discriminazione, parita’ di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalita’» (comma 2); b) «In deroga alle modalita’ di
affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa
di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento puo’
avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria»
(comma 3); c) «Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare
adeguata pubblicita’ alla scelta, motivandola in base ad un’analisi
del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente
gli esiti della predetta verifica all’Autorita’ garante della
concorrenza e del mercato e alle autorita’ di regolazione del
settore, ove costituite, per l’espressione di un parere sui profili
di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della
predetta relazione» (comma 4).
Osserva la ricorrente che il diritto dell’ente territoriale
responsabile di erogare in proprio il servizio pubblico a favore
della propria comunita’ «non solo non e’ precluso dalle regole di
tutela della concorrenza, ma e’ espressamente riconosciuto dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunita’ europee»,
secondo cui «un’autorita’ pubblica, che sia un’amministrazione
aggiudicatrice, ha la possibilita’ di adempiere ai compiti di
interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti,
amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far
ricorso ad entita’ esterne non appartenenti ai propri servizi», e «in
tal caso, non si puo’ parlare di contratto a titolo oneroso concluso
con un’entita’ giuridicamente distinta dall’amministrazione
aggiudicatrice», con la conseguenza che «non sussistono dunque i
presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di appalti
pubblici». La stessa giurisprudenza avrebbe, inoltre, costantemente
precisato che, «non e’ escluso che possano esistere altre circostanze
nelle quali l’appello alla concorrenza non e’ obbligatorio ancorche’
la controparte contrattuale sia un’entita’ giuridicamente distinta
dall’amministrazione aggiudicatrice», e che «cio’ si verifica nel
caso in cui l’autorita’ pubblica, che sia un’amministrazione
aggiudicatrice, eserciti sull’entita’ distinta in questione un
controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e
tale entita’ realizzi la parte piu’ importante della propria
attivita’ con l’autorita’ o le autorita’ pubbliche che la
controllano».
Ad avviso della ricorrente, le disposizioni censurate si pongono
in contrasto con tali principi, perche’ limitano, in violazione
dell’art. 117, quarto comma, Cost., la potesta’ legislativa regionale
di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte
dell’ente, sottoponendo tale scelta a vincoli sia sostanziali (le
«peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato») che procedurali
(l’onere di «trasmettere una relazione contenente gli esiti della
predetta verifica all’Autorita’ garante della concorrenza e del
mercato e alle autorita’ di regolazione del settore, ove costituite,
per l’espressione di un parere sui profili di competenza»).
2.1.2. – La Regione impugna, in secondo luogo, il comma 7 del
citato art. 23-bis, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e
118, primo e secondo comma, Cost., proponendo questioni analoghe a
quelle proposte dalla Regione Emilia-Romagna nel ricorso n. 69 del
2008 (supra: punto 1.1.1.).
2.1.3. – La stessa Regione impugna, infine, il comma 10 dell’art.
23-bis, in riferimento all’artt. 117, sesto comma, Cost., proponendo
questioni analoghe a quelle proposte dalla Regione Emilia-Romagna nel
ricorso n. 69 del 2008 (supra: punto 1.1.2.).
2.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate.
Rileva la difesa dello Stato che: a) nella giurisprudenza
comunitaria e interna, la possibilita’ dell’in house providing e’
costruita come deroga alla regolamentazione generale e deve, percio’,
essere interpretata in via restrittiva; b) nell’attuazione del
diritto comunitario in materia di tutela della concorrenza, il
legislatore statale ha un margine di discrezionalita’ e puo’,
percio’, utilizzare gli strumenti che ritiene piu’ congrui in
relazione alla situazione nazionale; c) non vi e’ alcuna lesione
dell’autonomia degli enti locali, perche’ le norme censurate
consentono che essi – qualora ne sussistano i presupposti – possano
fare ricorso all’affidamento dei servizi in house; d) il censurato
comma 7 dell’art. 23-bis reca una disciplina che rientra nella
materia della tutela della concorrenza, perche’, attraverso
l’individuazione dei bacini di gara e dei criteri relativi a tale
attivita’, individua in concreto il «mercato rilevante»; e) il
censurato comma 10 dell’art. 23-bis prevede una potesta’
regolamentare statale che ha la finalita’ di procedere alla
armonizzazione della disciplina di alcuni settori di pubblici servizi
nei quali sussiste una disciplina settoriale contrastante con i
principi stabiliti da detto articolo.
2.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la
Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia’ sostenuto nel
ricorso, svolgendo considerazioni analoghe a quelle svolte nella
memoria per l’udienza nel giudizio r. ric. n. 69 del 2008 (supra:
punto 1.3.) e precisando, inoltre, che il diritto comunitario
consente agli enti locali di gestire in proprio i servizi pubblici e
non prevede che la gestione in house sia limitata a casi eccezionali.
3. – Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 27
ottobre successivo (r. ric. n. 77 del 2008), la Regione Piemonte ha
impugnato i commi 1, 2, 3, 4, 8 e 10 dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008 – articolo aggiunto dalla legge di
conversione 6 agosto 2008, n. 133, ed entrato in vigore, in forza
dell’art. 1, comma 4, di detta legge, in data 22 agosto 2008 – in
riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo,
quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, e 120 Cost.
3.1. – La Regione premette che il censurato comma 1 dell’art.
23-bis prevede che «Le disposizioni del presente articolo
disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria
e al fine di favorire la piu’ ampia diffusione dei principi di
concorrenza, di liberta’ di stabilimento e di libera prestazione dei
servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di
servizi di interesse generale in ambito locale, nonche’ di garantire
il diritto di tutti gli utenti alla universalita’ ed accessibilita’
dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle
prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e
m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela
degli utenti, secondo i principi di sussidiarieta’, proporzionalita’
e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo
si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle
relative discipline di settore con esse incompatibili».
Il successivo comma 8 pone una disciplina transitoria per il solo
servizio idrico integrato, prevedendo che: «Salvo quanto previsto dal
comma 10, lettera e), le concessioni relative al servizio idrico
integrato rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica
cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010,
senza necessita’ di apposita deliberazione dell’ente affidante. Sono
escluse dalla cessazione le concessioni affidate ai sensi del comma
3».
La preesistente disciplina generale del servizio pubblico locale
– prosegue la Regione – non e’ tuttavia integralmente sottoposta ad
abrogazione dal nuovo art. 23-bis, perche’ quest’ultimo espressamente
prevede che cessino di avere effetto le norme preesistenti nelle sole
«parti incompatibili» con le sue nuove disposizioni (comma 11).
3.1.1. – La ricorrente lamenta, in primo luogo, che i censurati
commi 1, 2 e 3 violano l’art. 117, primo e quarto comma, Cost. Sono
richiamati, ma non propriamente evocati, anche gli artt. 5, 97, 114,
secondo comma, 117, secondo e sesto comma, e 118 Cost.
3.1.1.1. – Quanto al parametro dell’art. 117, quarto comma,
Cost., esso sarebbe violato perche’ le norme impugnate recano una
disciplina che non e’ riconducibile alla materia della tutela della
concorrenza, ma alla potesta’ legislativa residuale delle Regioni.
Con tali disposizioni, infatti, il legislatore statale riconosce che
entrambe le forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici
(soggetto scelto con gara, organizzazione in house) sono conformi
all’ordinamento europeo e in particolare alla disciplina sulla
concorrenza, ma giunge sino ad individuare come forma preferenziale
"ordinaria" l’affidamento del servizio ad imprese terze, mentre
relega la possibilita’ dell’affidamento in house ai soli casi ivi
espressi in via d’eccezione, superando con cio’ la stessa disciplina
comunitaria in materia di concorrenza. E non potrebbe essere
richiamato, a sostegno della legittimita’ di tali norme, il principio
secondo cui la «legislazione nazionale in materia di tutela
dell’ambiente ha potuto individuare misure piu’ rigorose di quelle
previste dal diritto comunitario», perche’ «cio’ e’ stato possibile
nei soli limiti di un rispetto del principio di proporzionalita’ con
altre disposizioni del Trattato […] tra le quali assume particolare
importanza la disciplina a tutela della concorrenza».
Quanto alla sussistenza di altri eventuali titoli di competenza
legislativa statale, la Regione rileva, innanzi tutto, che la
disciplina del censurato art. 23-bis «e’ in tutto o in parte
sostitutiva dell’art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000» e ha percio’ per
oggetto unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici a
rilevanza economica, e non le prestazioni da assicurare agli utenti,
con la conseguenza che non puo’ essere richiamata la materia dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali; rileva, inoltre, che la disciplina censurata non e’
riconducibile alla potesta’ esclusiva statale in materia di funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta’ metropolitane (art. 117,
secondo comma, lettera p, Cost.), «giacche’ la gestione dei predetti
servizi non puo’ certo considerarsi esplicazione di una funzione
propria ed indefettibile dell’ente locale».
In conclusione – sempre secondo la ricorrente – l’opzione tra le
diverse modalita’ di gestione del servizio pubblico «e’ una tipica
scelta d’organizzazione, in particolare di buon andamento del
servizio pubblico (art. 97, primo comma, Cost.), che proprio in
quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi oggetto
della disciplina dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008,
non puo’ riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla
legislazione regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti
territoriali minori (art. 117, sesto comma, Cost.)». Alle Regioni
spetta, inoltre «la legittimazione ad impugnare le leggi statali in
via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con
il riferimento alla prospettata lesione da parte della legge
nazionale della potesta’ normativa degli enti territoriali, con
affermazione della regione come ente di tutela avanti alla Corte
costituzionale del "sistema regionale delle autonomie territoriali"
(art. 114, secondo comma, Cost.)».
3.1.1.2. – Quanto al parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.,
la ricorrente rileva che esso sarebbe violato perche’ il diritto
comunitario non consente che il legislatore nazionale spinga la
tutela della concorrenza fino comprimere il «principio di liberta’
degli individui o di autonomia – del pari costituzionale – degli enti
territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita’ di
operare ogni qualvolta fanno la scelta che ritengono piu’ opportuna:
cioe’ se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei
produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura
capace di diversamente configurare l’offerta delle prestazioni di
servizio pubblico». In tal senso si e’ espresso – prosegue la
ricorrente – l’ordinamento comunitario, laddove «ha ritenuto in
contrasto con la disciplina europea sulla concorrenza la legge
nazionale sui lavori pubblici (allora legge 11 febbraio 1994, n. 109,
art. 21) che aveva limitato la scelta tra i due criteri europei
d’aggiudicazione degli appalti – offerta economicamente piu’
vantaggiosa e prezzo piu’ basso − imponendo il vincolo legislativo
alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al
criterio del prezzo piu’ basso». L’attuazione del diritto comunitario
non consentirebbe al legislatore interno di esprimere un autonomo
indirizzo politico, perche’ essa puo’ comportare solo «l’adozione di
norme esecutive (secundum legem)», con l’impossibilita’ di spingersi
sino a norme «integrative (praeter legem), tali cioe’ da ampliare,
senza derogarli, i contenuti normativi espressi attraverso la
legislazione» da attuare. Nel caso di specie, «nessuna delle
disposizioni comunitarie vigenti infatti impone − come invece
pretende l’art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi
commi secondo e terzo − agli Stati membri l’attribuzione ad imprese
terze come forma ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi
pubblici locali, relegando ai soli casi d’eccezione il ricorso alla
diversa ed alternativa forma dell’in house providing. Al contrario si
puo’ affermare che la legislazione comunitaria lasci gli Stati membri
liberi di decidere se fornire i servizi pubblici con
un’organizzazione propria […] o affidarne la fornitura ad imprese
terze».
3.1.2. – La ricorrente lamenta, in secondo luogo, che i censurati
commi 2, 3 e 4 violano gli artt. 3, 97, 114, 117, primo, secondo,
terzo, quarto e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
3.1.2.1. – Quanto ai parametri degli artt. 3 e 97 Cost., la
ricorrente rileva che essi sarebbero violati perche’ la disciplina
dell’affidamento del servizio pubblico locale nella forma
organizzativa dell’in house providing, contenuta nelle disposizioni
censurate, risulta lesiva della «competenza delle regioni e degli
enti locali ove le s’intenda come disciplina ulteriore rispetto a
quella generale sul procedimento amministrativo che da tempo prevede
il dovere di motivazione degli atti amministrativi (art. 3, legge 7
agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio
costituzionale di motivazione delle scelte della amministrazioni
pubbliche quanto meno nella cura di pubblici interessi». Tale
ulteriore disciplina, da intendersi come «deroga alla disciplina
generale sul procedimento e la motivazione degli atti
amministrativi», si porrebbe in violazione del principio di
ragionevolezza «(arg. ex art. 3, secondo comma Cost.), poiche’ non e’
ravvisabile nel caso in esame alcun interesse pubblico prevalente
capace di fondare sia l’esenzione dal generale dovere di motivazione
per l’affidamento ad imprese terze (art. 23-bis, secondo comma), sia
viceversa la limitazione dei casi sui quali puo’ essere portata la
motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative». La
denunciata invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti
territoriali minori e’ addirittura enfatizzata – prosegue la Regione
– dalla precisazione che le disposizioni impugnate «prevalgono» su
tutte le «discipline di settore con esse incompatibili» e, in
particolare, su quelle della Regione Piemonte relative al servizio
idrico integrato (legge regionale 13 dicembre 1997, n. 13) e al
sistema integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
(legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24), che non limitano la scelta
tra le forme di gestione dei servizi compatibili con il diritto
comunitario.
La ricorrente non esclude, peraltro, che dell’art. 23-bis, commi
1 e 4, si possa dare «un’interpretazione adeguatrice capace di
sorreggere una sentenza interpretativa di rigetto della questione di
costituzionalita’ proposta ove s’intenda che tali disposizioni non
deroghino alla disciplina generale sul procedimento amministrativo,
dovendo l’amministrazione motivare qualunque scelta della forma di
gestione del servizio pubblico locale, attraverso una comparazione
tra tutte quelle compatibili con l’ordinamento comunitario ed
offrendo infine la giustificazione in concreto della forma prescelta,
secondo un’interpretazione che espunge dalle norme qualsiasi
preferenza o prevalenza in astratto di una forma di gestione
sull’altra».
Anche seguendo tale percorso interpretativo, permarrebbe comunque
– ad avviso della Regione – l’illegittimita’ costituzionale parziale
dell’art. 23-bis, commi 3 e 4, del citato decreto-legge n. 112 del
2008, «per avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza
normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi
nella definizione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite
(art. 117, commi quarto e sesto, Cost.) poiche’ una parte della norma
prevede una disciplina particolare del procedimento di affidamento
della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui
l’in house providing».
A tali considerazioni, la difesa regionale aggiunge che i commi
censurati contengono «norme di dettaglio cosi’ puntuali che non
sarebbero neppure compatibili con una competenza esclusiva dello
Stato […] e in violazione del principio di ragionevolezza (ex art.
3, secondo comma, Cost.) poiche’ della legge impugnata non si
comprendono le ragioni di una disciplina differenziata per l’ambito
locale dei pubblici servizi rispetto a quella generalmente prevista
per l’Autorita’ garante della concorrenza e del mercato ed in genere
per le autorita’ di regolazione».
3.1.2.2. – Quanto ai parametri «dell’art. 117, commi primo,
secondo, terzo, quarto, Cost. con riferimento agli articoli 114, 117,
sesto comma, e 118, commi primo e secondo, Cost.», la ricorrente
rileva che essi sarebbero violati perche’ i commi censurati ledono
«l’autonomia costituzionale propria dell’intero sistema degli enti
locali», limitando la «capacita’ d’organizzazione e di autonoma
definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento
dei servizi pubblici locali». Secondo la Regione, in particolare, la
scelta delle forme di gestione ed affidamento del servizio pubblico
deve informarsi a valutazioni di efficienza, efficacia ed
economicita’ «che ciascuna organizzazione pubblica non puo’ che
esprimere con riferimento ai proposti standard di qualita’ che
intende offrire agli utenti, involgendo percio’ questioni di pura
autorganizzazione degli enti territoriali». In particolare, la
legislazione statale puo’ legittimamente imporre una determinata
forma di gestione di un servizio pubblico solo procedendo in via
preliminare ad avocare allo Stato la competenza sull’organizzazione
della gestione dei servizi sinora considerati locali (es. idrico
integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani) sul presupposto che
l’esercizio unitario di tali servizi sia divenuto ottimale solo a
livello d’ambito statale (art. 118, primo comma, Cost.)». Ne consegue
che la disciplina in esame e’ da ritenersi costituzionalmente
illegittima «per difetto di tale qualificazione nazionale dei servizi
che restano locali per sua espressa qualificazione».
3.1.2.3. – Quanto al parametro «dell’art. 117, secondo comma,
Cost. con riferimento all’art. 3 Cost.», la ricorrente sostiene che
la disciplina contenuta nelle disposizioni censurate, anche ove fosse
ritenuta di tutela della concorrenza, difetterebbe di
proporzionalita’ e adeguatezza.
In particolare, la difesa regionale afferma che la Corte
costituzionale ha riconosciuto che solo le disposizioni di legge
statale a «carattere generale che disciplinano le modalita’ di
gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica» trovano il proprio «titolo di legittimazione» nell’art.
117, secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della concorrenza») e
«solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme
regionali». A tale proposito, il criterio di proporzionalita’ ed
adeguatezza sarebbe «essenziale per definire l’ambito di operativita’
della competenza legislativa statale attinente alla ”tutela della
concorrenza" e conseguentemente la legittimita’ dei relativi
interventi statali» poiche’ tale materia «trasversale» «si intreccia
inestricabilmente con una pluralita’ di altri interessi – alcuni dei
quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale
delle regioni – connessi allo sviluppo economico-produttivo del
Paese». Tali considerazioni varrebbero, a maggior ragione, per le
disposizioni in esame, perche’ esse stabiliscono «una disciplina
immediatamente autoapplicativa ove senz’altro pongono un criterio o
principio di preferenza nell’attribuzione ad imprese terze dei
servizi pubblici locali».
3.1.3. – La ricorrente censura, in terzo luogo, il comma 8
dell’art. 23-bis, il quale prevede – come visto – che, in generale
«le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con
procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non
oltre la data del 31 dicembre 2010».
3.1.3.1. – Ad avviso della ricorrente, la disposizione viola gli
artt. 41, 114 e 117, secondo comma, Cost., «con riferimento all’art.
3 Cost.», ponendosi in contrasto con «il principio di ragionevolezza
e di concorrenza comunitaria che la stessa proclama di voler
affermare ed addirittura di voler superare, poiche’ la stessa si
configura come ennesima […] norma di sanatoria degli affidamenti al
mercato dei produttori seppur disposti ancora una volta in difetto di
evidenza pubblica, con proroga di cui le imprese terze si possono
giovare ex lege sino alla data indicata dal 31 dicembre 2010». Si
tratterebbe cioe’ di una norma che contraddice i primi commi dello
stesso art. 23-bis, i quali realizzano «un indirizzo politico
ispirato alla "ultra concorrenzialita’"», perche’ favorisce gli
affidamenti disposti in violazione della disciplina italiana ed
europea sulla concorrenza.
3.1.3.2. – Per la difesa regionale, la stessa disposizione viola
altresi’ gli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., i quali
garantiscono l’autonomia costituzionale della Regione Piemonte e
degli enti locali (artt. 5, 114, 117, sesto comma, 118, Cost.),
perche’ – stabilendo che cessano al 31 dicembre 2010 gli affidamenti
rilasciati con procedure diverse dall’evidenza pubblica, salvo quelli
conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti
dalla nuova disciplina – determina la cessazione «di tutti gli
affidamenti attribuiti secondo la disciplina previgente (d.lgs. n.
267 del 2000, cit., art. 113, comma 5, lettera c), ponendo in forse
l’attuazione dei piani gestionali e di investimento, nonche’ i
relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati
ed in via di esecuzione che le parti vogliono vedere procedere
secondo la loro scadenza naturale, al pari delle concessioni
rilasciate ad imprese terze secondo le procedure ad evidenza
pubblica».
3.1.4. – La ricorrente lamenta, in quarto luogo, che il censurato
comma 10 dell’art. 23-bis, il quale autorizza il Governo all’adozione
di regolamenti di delegificazione, viola l’art. 117, secondo, quarto
e sesto comma, Cost., nonche’ «il principio di ragionevolezza e leale
collaborazione» (artt. 3 e 120 Cost.), perche’ lo Stato, non avendo
potesta’ legislativa in materia, non ha neanche potesta’
regolamentare.
Aggiunge la difesa regionale che la clausola di autorizzazione
contenuta in detto comma «prefigura una disciplina regolamentare di
particolare dettaglio» che viola i principi di adeguatezza e
proporzionalita’, perche’ «non pare possibile ritenere adeguato e
proporzionale un intervento statale (per legge e regolamento) che
rechi l’intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica, ad esclusione di ogni spazio di
regolazione per le regioni».
Inoltre – prosegue la ricorrente – la previsione secondo cui
l’indicato regolamento sara’ approvato dal Governo «sentita la
Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281», anziche’ previa intesa con tale Conferenza,
viola il principio costituzionale di leale collaborazione (art. 120
Cost.), perche’ «non pare comunque sufficiente un parere della
Conferenza unificata sul regolamento di delegificazione destinato a
completare l’intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici
locali ove sarebbe stata invece necessaria una previa intesa con la
Conferenza». Sarebbe, infatti, indubbio, nel caso in esame, «il forte
intreccio con le competenze regionali», che costituisce ragione utile
a limitare la discrezionalita’ del legislatore statale sulle forme di
coinvolgimento delle Regioni.
In particolare, il comma censurato rinvia al regolamento
governativo la disciplina transitoria dei servizi pubblici locali
diversi da quello idrico, «con una irragionevole differenza di
trattamento che non appare giustificata in particolare per il
servizio idrico integrato per il quale la legge statale indica
senz’altro in via generale ed astratta la data di scadenza fissa del
31 dicembre 2010, mentre per gli altri servizi pubblici consente al
regolamento la previsione di adeguati "tempi differenziati" in
ragione di eterogeneita’ dei servizi presi in considerazione».
3.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate.
La difesa dello Stato svolge argomentazioni analoghe a quelle
svolte nei giudizi r. ric. n. 69 e n. 72 del 2008 (supra: punti 1.2.
e 2.2.) e rileva, inoltre, che: a) la doglianza relativa alla
disciplina delle decadenze e proroghe delle gestioni in essere e’
infondata, perche’ la scelta del legislatore statale e’
sufficientemente chiara e razionale: un termine piu’ breve per le
gestioni nelle quali sono coinvolti direttamente soggetti e interessi
pubblici; un termine piu’ lungo per «quegli affidamenti che
presuppongono investimenti privati in corso di ammortamento»; b) il
censurato comma 10 dell’art. 23-bis prevede, nella materia della
tutela della concorrenza, una potesta’ regolamentare statale che ha
la finalita’ di procedere all’armonizzazione della disciplina di
alcuni settori di pubblici servizi nei quali sussiste una disciplina
contrastante con i principi stabiliti da detto articolo.
3.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la
Regione Piemonte ha sostanzialmente ribadito quanto gia’ sostenuto
nel ricorso, aggiungendo che, poiche’ la definizione della questione
di costituzionalita’ dipende dall’interpretazione del diritto
dell’Unione europea, appare possibile «ritenere che la Corte
costituzionale – ove non accolga i motivi di ricorso […] – debba
proporre la seguente questione pregiudiziale avanti la Corte di
giustizia […]: "se sia conforme al diritto europeo – al principio
di concorrenza ed al principio d’autonomia degli enti territoriali
(art. 5 Trattato) – la norma dello Stato italiano che impone
l’attribuzione a terzi come forma ordinaria e preferenziale
d’affidamento dei servizi pubblici locali, e la norma che relega la
rilevanza giuridica dell’in house providing ai soli casi d’eccezione
tassativamente individuati dal legislatore statale stesso con una
conseguente limitazione dei casi ammessi dalla giurisprudenza
comunitaria"».
3.4. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che le questioni
proposte siano dichiarate manifestamente infondate nel merito.
Precisa, in particolare, la difesa dello Stato che la disciplina
censurata, la quale e’ riconducibile alla materia della tutela della
concorrenza, e’ legittima, perche’ la giurisprudenza comunitaria e
quella nazionale hanno sempre affermato che l’istituto dell’in house
providing costituisce un’eccezione al principio di concorrenza e
all’ordinaria osservanza delle procedure di evidenza pubblica:
rappresenta, cioe’, «una soluzione residuale alla quale ricorrere
solo in caso di impossibilita’ di trovare una soluzione alternativa
efficiente».
4. – Con ricorso notificato il 30 dicembre 2008 e depositato il 2
gennaio 2009 (r. ric. n. 2 del 2009), il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha impugnato i commi 1, 4, 5, 6 e 14 dell’art. 4 della legge
della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39 (Istituzione delle
Autorita’ d’Ambito per l’esercizio delle funzioni degli enti locali
in materia di risorse idriche e gestione rifiuti ai sensi del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – Norme in materia ambientale).
Detti commi prevedono, rispettivamente, che: a) «Nei novanta
giorni successivi alla costituzione dell’AATO, la Giunta regionale
approva lo schema tipo di contratto di servizio e di convenzione di
cui agli articoli 151 e 203 del d.lgs. n. 152/2006, in applicazione
alla direttiva 93/36/CEE del Consiglio delle Comunita’ Europee del 14
giugno 1993 (Coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture)» (comma 1); b) «L’AATO assicura la
gestione del servizio idrico in forma integrata, provvedendo
all’affidamento dello stesso ad un soggetto gestore unitario, ove non
ancora individuato, in conformita’ alle disposizioni comunitarie ed
alla normativa nazionale vigente in materia di affidamento dei
servizi pubblici locali ed, in particolare, nel rispetto dei criteri
di cui all’articolo 113, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 e delle
modalita’ di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006»
(comma 4); c) «Resta ferma la previsione di cui all’articolo 113,
comma 15-bis, del d.lgs. n. 267/2000; a tal fine l’AATO determina la
data di cessazione delle concessioni esistenti, avuto riguardo alla
durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a
seguito di procedure ad evidenza pubblica, salva la possibilita’ di
determinare caso per caso la cessazione in una data successiva,
qualora la medesima risulti proporzionata ai tempi di recupero di
particolari investimenti effettuati dal gestore, fermi restando
l’aggiornamento e la rinegoziazione delle convenzioni in essere»
(comma 5); d) «L’AATO individua forme e modalita’ dirette
all’integrazione del servizio di gestione dei rifiuti e del servizio
idrico, avuto riguardo agli affidamenti esistenti che non risultano
cessati nei termini di cui all’articolo 113, comma 15-bis, del d.lgs.
n. 267/2000, al fine di pervenire al superamento della frammentazione
del servizio nel territorio dell’ambito» (comma 6); e) «L’AATO
definisce i contratti di servizio, gli obiettivi qualitativi dei
servizi erogati, il monitoraggio delle prestazioni, gli aspetti
tariffari, la partecipazione dei cittadini e delle associazioni dei
consumatori di cui alla legge regionale 2 luglio 2002, n. 26 (Norme
per la tutela dei consumatori e degli utenti)» (comma 14).
4.1. – La difesa dello Stato premette che il censurato art. 4
contiene disposizioni che contrastano con quanto previsto dalla legge
statale in materia di tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza
e formula tre questioni.
4.1.1. – E’ impugnato, in primo luogo, il comma 1 dell’art. 4, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sul
rilievo che esso affida alla Giunta regionale la competenza ad
approvare lo schema-tipo di contratto di servizio e di convenzione,
richiamando l’art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Sostiene il ricorrente che il suddetto art. 151 deve ritenersi
tacitamente abrogato dal d.lgs. correttivo 16 gennaio 2008, n. 4, che
ha sostituito l’art. 161 del d.lgs. n. 152/2006, disponendo che sia
il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche (in
seguito «Comitato») a redigere il contenuto di una o piu’
convenzioni-tipo da adottare con decreto del Ministero dell’ambiente.
Lo stesso, cosi’ novellato, art. 161 – prosegue la difesa dello Stato
– attribuisce, inoltre, al predetto Comitato la competenza anche in
tema di contratti di servizio, obiettivi qualitativi dei servizi
erogati, monitoraggio delle prestazioni e aspetti tariffari.
Ne deriva, per lo Stato, che «L’art. 4, comma 14, della legge
regionale n. 39/2008 impugnata appare, pertanto, in contrasto con la
normativa statale, nella parte in cui affida invece tali competenze
all’AATO».
In conclusione, i commi censurati violerebbero il parametro
costituzionale evocato, per il tramite dell’art. 161, comma 4,
lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale
dispone, tra l’altro, che sia il Comitato per la vigilanza sull’uso
delle risorse idriche e non la Giunta regionale a redigere il
contenuto di una o piu’ convenzioni-tipo da adottare con decreto del
Ministro per l’ambiente e per la tutela del territorio e del mare.
4.1.2. – E’ impugnato, in secondo luogo – in riferimento all’art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., per il tramite dell’art.
23-bis, commi 2, 3 e 11, del d.l. n. 112 del 2008 – il comma 4
dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, il quale stabilisce –
come visto – che l’AATO provvede all’affidamento del servizio idrico
integrato, «in particolare, nel rispetto dei criteri di cui
all’articolo 113, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 e delle modalita’
di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006».
Evidenzia la difesa dello Stato che il richiamato art. 150 del
d.lgs. n. 152 del 2006, al comma 1, consente la scelta della forma di
gestione degli AATO tra quelle elencate nell’art. 113, comma 5, del
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), ma l’art. 23-bis, comma 11, del
d.l. n. 112 del 2008, prevede che le parti dell’art. 113 citato che
siano incompatibili con le prescrizioni in esso contenute siano da
considerare abrogate. Ad avviso della stessa difesa, quindi, la norma
regionale risulta in contrasto con l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del
2008, perche’ quest’ultimo prevede come regola per l’affidamento dei
servizi pubblici locali le procedure competitive ad evidenza
pubblica, ferma restando la possibilita’ di ricorrere all’affidamento
diretto solo in presenza di circoscritte e motivate circostanze,
contemplate al comma 3 del medesimo articolo. La norma regionale,
invece, prevede l’affidamento del servizio a un soggetto da
individuare genericamente in conformita’ alle disposizioni
comunitarie e alla normativa nazionale vigente in materia e, quindi,
indifferentemente in una delle tre forme previste dal menzionato art.
113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, anche senza che ricorrano
le suddette peculiari circostanze.
4.1.3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, in
terzo luogo – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., per il tramite dell’art. 23-bis, commi 8 e 9, del d.l. n. 112
del 2008 – i commi 5 e 6 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008,
i quali disciplinano la cessazione delle concessioni esistenti e il
relativo regime transitorio degli affidamenti del servizio idrico
integrato effettuati senza gara, rinviando alle disposizioni di cui
all’art. 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000.
La difesa dello Stato sostiene che le norme impugnate contrastano
con gli evocati parametri, perche’ la materia e’ attualmente regolata
in maniera difforme dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, che ha
abrogato – come visto – l’art. 113 citato nelle parti incompatibili
con le sue disposizioni, e che fissa, ai commi 8 e 9, comunque, al 31
dicembre 2010 la data per la cessazione delle concessioni esistenti
rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica.
4.2. – Si e’ costituita in giudizio la Regione Liguria, chiedendo
che la Corte costituzionale dichiari «l’inammissibilita’ e/o
l’infondatezza del ricorso».
4.2.1. – Quanto alle censure riguardanti i commi 1 e 14 dell’art.
4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente osserva che dette
disposizioni non sono riconducibili a competenze legislative statali,
perche’ attengono alla materia dei pubblici servizi locali, di
competenza legislativa regionale.
In particolare, in relazione all’impugnazione del comma 1
dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente sostiene
che la previsione per cui la «Giunta regionale approva lo schema tipo
di contratto di servizio e di convenzione di cui agli articoli 151 e
203 del d.lgs. n. 152/2006» non contrasta con la legislazione
statale. Infatti, il richiamato art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006
dispone che l’Autorita’ d’ambito predispone le convenzioni che
regolano i rapporti con i gestori del servizio e, a tal fine, le
Regioni adottano convenzioni tipo con relativi disciplinari. Ad
avviso della Regione, tale ultima disposizione e’ tuttora in vigore e
non e’ stata tacitamente abrogata dalla nuova formulazione del
successivo art. 161 introdotta dal decreto legislativo correttivo 16
gennaio 2008, n. 4, il quale assegna al Comitato per la vigilanza
sull’uso delle risorse idriche la competenza a redigere una o piu’
convenzioni tipo, da adottare con decreto ministeriale. In ogni caso,
i compiti del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse
idriche devono essere interpretati – anche alla luce dei lavori
preparatori – conformemente agli artt. 5 e 117 Cost., nel senso che
essi si aggiungono e non si sostituiscono alle competenze
disciplinate dalla legge regionale.
Quanto poi all’impugnazione del comma 14 dell’art. 4 della legge
reg. n. 39 del 2008, la resistente premette che essa e’
inammissibile, perche’ generica, non specificando quali siano i
profili che determinano il contrasto con la norma statale. Nel
merito, sostiene che non vi e’ incompatibilita’ fra i poteri che il
comma 14 assegna all’Autorita’ d’ambito e quelli assegnati dall’art.
161 del d.lgs. n. 152 del 2006 al Comitato per la vigilanza sull’uso
delle risorse idriche.
4.2.2. – In relazione alla censura riguardante il comma 4
dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la Regione sostiene che
essa e’ inammissibile e infondata, anche perche’ non riguarda la
parte in cui il comma impugnato richiama l’art. 113, comma 7, del
d.lgs. n. 267 del 2000, con riferimento ai criteri di gara, ne’
quella in cui richiama l’art. 172 del d.lgs. n. 152 del 2006, che
disciplina le gestioni esistenti.
La Regione contesta quanto affermato dal ricorrente, secondo cui
la norma censurata richiama una disposizione, l’art. 150 del citato
d.lgs. n. 152 del 2006, che al comma 1 consente la scelta della forma
di gestione del servizio tra quelle elencate nell’art. 113, comma 5,
del d.lgs. n. 267 del 2000, disposizione da considerare abrogata per
incompatibilita’ con l’art. 23-bis, comma 11, del d. l. n. 112 del
2008. Per la difesa regionale, infatti, tale abrogazione non si
sarebbe verificata e, in ogni caso, la norma censurata sarebbe
conforme all’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, a sua volta ancora
vigente, perche’ fatto salvo sia dal divieto di abrogazione implicita
previsto in via generale dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 152 del
2006, sia dalla stessa formulazione dell’art. 23-bis citato, che, al
comma 10, lettera d), prevede la necessita’ di una armonizzazione con
le discipline di settore, da farsi tramite regolamento.
Se ne concluderebbe che la disposizione censurata non viola, in
ogni caso, la disciplina settoriale applicabile al servizio idrico,
ponendosi al piu’ in contrasto con l’art. 23-bis, norma il cui
scrutinio di costituzionalita’ appare pregiudiziale.
4.2.3. – Quanto alla terza delle questioni proposte – con cui
sono censurati i commi 5 e 6 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del
2008, sul rilievo che essi disciplinano la cessazione delle
concessioni esistenti e il relativo regime transitorio rinviando alle
disposizioni di cui all’art. 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267 del
2000, da ritenersi abrogato dal citato art. 23-bis del d.l. n. 112
del 2008, il quale ha regolato la materia in maniera difforme – la
resistente sostiene che il richiamato art. 113, comma 15-bis, del
d.lgs. n. 267 del 2000 non puo’ ritenersi abrogato, perche’: a) le
sue disposizioni non sono tutte incompatibili con quelle del
successivo art. 23-bis, con le quali possono essere armonizzate, ad
esempio quanto alla data della cessazione delle concessioni; b)
l’articolo e’ coperto dal divieto generale di abrogazione implicita
contenuto nell’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000; c) lo
stesso art. 23-bis non opera un’abrogazione per nuova integrale
disciplina della materia, perche’ dispone espressamente che
l’abrogazione sia limitata alle parti incompatibili. Ne consegue –
per la Regione – che non sussiste alcun contrasto tra i commi
censurati e la disciplina statale vigente; disciplina che comunque,
almeno per quanto riguarda il comma 8 del menzionato art. 23-bis, e’
da ritenere incostituzionale. Quanto, in particolare, all’impugnato
comma 6 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la questione e’
da ritenersi inammissibile, perche’ – contrariamente a quanto assunto
dallo Stato – la disposizione non ha per oggetto ne’ la cessazione
delle concessioni, ne’ il regime transitorio, ma solamente
l’integrazione dei servizi esistenti che non sono oggetto di
cessazione.
4.2.4. – La ricorrente conclude rilevando di avere gia’ proposto,
con il ricorso n. 72 del 2008, questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e
chiede pertanto, per il caso in cui la Corte ritenesse pregiudiziali
tali questioni, la riunione dei procedimenti.
4.3. – Con successiva memoria, la Regione Liguria ha ribadito
quanto gia’ argomentato nell’atto di costituzione, rilevando,
inoltre, che le modifiche legislative intervenute nel frattempo
fondano ulteriori ragioni di inammissibilita’ o infondatezza delle
questioni proposte.
4.3.1. – Quanto alle censure riguardanti i commi 1 e 14 dell’art.
4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente osserva che l’art.
9-bis, comma 6, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 (Interventi
urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici
nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi
urgenti di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 giugno 2009, n. 77, ha soppresso il Comitato per la
vigilanza sull’uso delle risorse idriche, sostituendolo con la
Commissione nazionale per la vigilanza sull’uso delle risorse
idriche.
Per la Regione, tale modifica legislativa ha reso improcedibile
il ricorso o, comunque, non ne ha fatto venire meno la gia’ rilevata
infondatezza, anche perche’ la Commissione di nuova istituzione non
ha le stesse competenze del soppresso Comitato. Essa, infatti –
secondo l’art. 9-bis, comma 6, del decreto-legge n. 39 del 2009 –
subentra «nelle competenze gia’ attribuite all’Autorita’ di vigilanza
sulle risorse idriche e sui rifiuti ai sensi degli articoli 99, 101,
146, 148, 149, 152, 154, 172 e 174 del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152, e successivamente attribuite al Comitato per la
vigilanza sull’uso delle risorse idriche», con evidente omissione da
parte del legislatore di ogni riferimento all’art. 151 del d.lgs. n.
152 del 2006.
4.3.2. – Quanto alla seconda e alla terza delle questioni
sollevate, in relazione alle quali lo Stato ha evocato come parametro
interposto l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, la Regione
«ritiene che l’impugnazione si dimostri oggi inattuale ed il ricorso
sia carente di interesse e dunque improcedibile», a seguito delle
modifiche sostanziali subite dallo stesso art. 23-bis.
Precisa comunque la Regione che, prima di tali modifiche del
parametro interposto, i censurati commi 4 e 5 dell’art. 4 della legge
reg. n. 39 del 2008 non hanno avuto in concreto alcuna applicazione,
perche’ regolano le competenze delle Autorita’ d’ambito, che
all’entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2009 non erano state ancora
istituite.
4.4. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, da
intendersi come sostitutiva dell’ultima memoria depositata, la
Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia’ sostenuto in
tale ultimo atto.
4.5. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha rilevato – allo scopo di
puntualizzare la permanenza dell’interesse al ricorso nonostante le
modifiche normative intervenute nella materia – che il legislatore
del 2009 ha sostituito il vecchio Comitato per la vigilanza sull’uso
delle risorse idriche con la nuova Commissione nazionale per la
vigilanza sulle risorse idriche, prevedendone una composizione
maggiormente orientata a consentire la partecipazione dei
rappresentanti delle autonomie locali. Inoltre, dal nuovo quadro
normativo verrebbe rafforzato il fondamento delle censure di
costituzionalita’ sollevate avverso la legge Regionale, perche’ essa
richiama una norma statale abrogata e non piu’ operativa: l’art. 151
del d.lgs. n. 152 del 2006.
Quanto alla censura relativa ai commi 1 e 14 dell’art. 4 della
legge reg. n. 39 del 2008, la difesa dello Stato rileva che detti
commi attribuiscono alla Giunta regionale il potere di predisporre lo
schema tipo di contratti di servizio e di convenzioni regolanti i
rapporti tra le Autorita’ d’ambito e i gestori del servizio idrico
integrato, secondo quanto previsto dall’art. 151 del d.lgs. n. 152
del 2006, disposizione implicitamente abrogata dall’art. 161 dello
stesso d.lgs., come sostituito dal d.lgs. n. 4 del 2008. La Regione
contesta la suesposta ricostruzione, asserendo che l’art. 151 del
d.lgs. n. 152 del 2006 non sarebbe stato abrogato dalla modifica del
successivo art. 161, sul rilievo che l’art. 3 del d.lgs. n. 152 del
2006 richiede una "dichiarazione espressa" per l’abrogazione di una
norma del codice dell’ambiente ed essa mancherebbe nel caso di
abrogazione tacita per incompatibilita’ di norma temporalmente
successiva rispetto a quella precedente che resta caducata ex nunc.
L’Avvocatura generale dello Stato sostiene che tale assunto non e’
condivisibile, perche’, «secondo la dogmatica del diritto "espressa"
non significa "esplicita": il primo termine impone una previsione
legale; il secondo esprime la necessita’ che la disposizione
abrogatrice menzioni expressis verbis la norma di cui sancisce
l’abrogazione. L’abrogazione espressa puo’, dunque, essere esplicita
ovvero implicita (per incompatibilita’) e nella seconda delle due
ipotesi da ultimo citate ricade il caso di cui si discorre che,
pertanto, non confligge con l’art. 3 invocato da Controparte».
Quanto, poi, al contratto di servizio e alla convenzione cui
fanno riferimento le disposizioni censurate, la difesa dello Stato
rileva che essi sono sostanzialmente la medesima cosa, essendo
entrambi atti negoziali conclusi dalle Autorita’ d’ambito con i
gestori del servizio pubblico onde regolare i loro rapporti.
Confermerebbe «tale conclusione una analisi del dato normativo che
pare usare alternativamente l’una piuttosto che l’altra
nomenclatura».
Quanto alla censura relativa all’art. 4, comma 4, della legge
reg. n. 39 del 2008, la difesa dello Stato sostiene che detta
disposizione, trattando dell’affidamento del servizio idrico,
richiama l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 secondo cui
l’Autorita’ d’ambito delibera la forma di gestione scegliendo tra
quelle di cui all’art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000,
norma, quest’ultima, abrogata dal citato art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008 nelle parti incompatibili con le
disposizioni dello stesso art. 23-bis. La Regione valorizza il dato
letterale dell’art. 4, comma 4, nella parte in cui richiama la
«normativa nazionale vigente», sostenendo che la previsione lascia
intendere di rinviare alle norme vigenti e, dunque, non anche alle
parti dell’art. 113 abrogate dal citato art. 23-bis.
Per la difesa dello Stato, tali argomenti risultano superabili,
se si tiene conto del fatto che l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del
2006, in ogni suo comma (ad eccezione dell’ultimo), rinvia a commi
del citato art. 113, T.U. enti locali, con la conseguenza che «pare
quantomeno opinabile la scelta di tecnica legislativa operata dal
legislatore regionale di rinviare (con l’art. 4, comma 4, censurato)
ad una norma (l’art. 150 codice dell’ambiente) la quale a sua volta
rinvia ad altra norma (l’art. 113 T.U. enti locali), quest’ultima
abrogata per incompatibilita’ da un’altra norma ancora (l’art.
23-bis, d.l. 112). Da cio’ pare di potersi inferire piuttosto che il
legislatore regionale ha trascurato l’intervenuta abrogazione
parziale dell’art. 113».
Quanto alle censure aventi ad oggetto l’art. 4, commi 5 e 6,
della legge reg. n. 39 del 2008, il ricorrente contesta
l’affermazione della controparte secondo cui il comma 15-bis
dell’art. 113 e i commi 8 e 9 dell’art. 23-bis non sarebbero
incompatibili e, dunque, il primo non risulterebbe abrogato dal
secondo. Rileva sul punto la difesa dello Stato che «l’art. 23-bis
fissa la cessazione delle concessioni attribuite senza gara alla data
del 31/12/2010 escludendo, pero’, dalla perdita di efficacia gli
affidamenti diretti effettuati nelle ipotesi in cui il terzo comma
dello stesso art. 23-bis ancora li consente (al ricorrere cioe’ di
"peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali,
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento" che non
consentono l’espletamento della pubblica gara); mentre il comma
15-bis dell’art. 113 T.U. enti locali contempla […] quali eccezioni
alla cessazione delle concessioni i casi in cui l’affidamento e’
effettuato con una delle modalita’ di cui al comma 5 dello stesso
articolo».
5. – Con ricorso notificato il 9 gennaio 2010 e depositato il 18
gennaio successivo (r. ric. n. 6 del 2010), la Regione Puglia ha
impugnato, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., i commi
2, 3, 4 e 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
– aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, ed
entrato in vigore, in forza dell’art. 1, comma 4, di detta legge, in
data 22 agosto 2008 -, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1,
del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, disposizione
entrata in vigore (in forza dell’art. 21 del medesimo decreto-legge)
in data 26 settembre 2009 e modificata, in forza dell’art. 1, comma
2, della legge di conversione, a far data dal giorno 25 novembre
2009.
5.1. – La Regione premette che l’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009
reca «Adeguamento alla disciplina dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica», modificando in modo significativo l’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008, con la previsione di un
ampliamento dei settori esclusi dall’applicabilita’ della normativa.
In particolare, il nuovo testo del citato art. 23-bis del d.l. n.
112 del 2008, come modificato dall’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009,
prevede che: «1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano
l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di
favorire la piu’ ampia diffusione dei principi di concorrenza, di
liberta’ di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti
gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di
interesse generale in ambito locale, nonche’ di garantire il diritto
di tutti gli utenti alla universalita’ ed accessibilita’ dei servizi
pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi
dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della
Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti,
secondo i principi di sussidiarieta’, proporzionalita’ e leale
cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si
applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle
relative discipline di settore con esse incompatibili. Sono fatte
salve le disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164,
e dell’articolo 46-bis del decreto-legge 1º ottobre 2007, n. 159,
convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222,
in materia di distribuzione di gas naturale, le disposizioni del
decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e della legge 23 agosto
2004, n. 239, in materia di distribuzione di energia elettrica, le
disposizioni della legge 2 aprile 1968, n. 475, relativamente alla
gestione delle farmacie comunali, nonche’ quelle del decreto
legislativo 19 novembre 1997, n. 422, relativamente alla disciplina
del trasporto ferroviario regionale. Gli ambiti territoriali minimi
di cui al comma 2 del citato articolo 46-bis sono determinati, entro
il 31 dicembre 2012, dal Ministro dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni, sentite la
Conferenza unificata di cui all’ articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e l’Autorita’ per
l’energia elettrica e il gas, tenendo anche conto delle
interconnessioni degli impianti di distribuzione e con riferimento
alle specificita’ territoriali e al numero dei clienti finali. In
ogni caso l’ambito non puo’ essere inferiore al territorio comunale.
2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali
avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di societa’ in qualunque forma
costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la
Comunita’ europea e dei principi generali relativi ai contratti
pubblici e, in particolare, dei principi di economicita’, efficacia,
imparzialita’, trasparenza, adeguata pubblicita’, non
discriminazione, parita’ di trattamento, mutuo riconoscimento e
proporzionalita’;
b) a societa’ a partecipazione mista pubblica e privata, a
condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui
alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la
qualita’ di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi
connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una
partecipazione non inferiore al 40 per cento.
3. In deroga alle modalita’ di affidamento ordinario di cui al
comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari
caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e
utile ricorso al mercato, l’affidamento puo’ avvenire a favore di
societa’ a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente
locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario
per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei
principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo
sulla societa’ e di prevalenza dell’attivita’ svolta dalla stessa con
l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
4. Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare
adeguata pubblicita’ alla scelta, motivandola in base ad un’analisi
del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente
gli esiti della predetta verifica all’Autorita’ garante della
concorrenza e del mercato per l’espressione di un parere preventivo,
da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta
relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende
espresso in senso favorevole.
4-bis. I regolamenti di cui al comma 10 definiscono le soglie
oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono
rilevanza ai fini dell’espressione del parere di cui al comma 4.
5. Ferma restando la proprieta’ pubblica delle reti, la loro
gestione puo’ essere affidata a soggetti privati.
6. E’ consentito l’affidamento simultaneo con gara di una
pluralita’ di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere
dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo
caso la durata dell’affidamento, unica per tutti i servizi, non puo’
essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli
affidamenti indicata dalle discipline di settore.
7. Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive
competenze e d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo
8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative
settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da
consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e
favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento dei
servizi, nonche’ l’integrazione di servizi a domanda debole nel
quadro di servizi piu’ redditizi, garantendo il raggiungimento della
dimensione minima efficiente a livello di impianto per piu’ soggetti
gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale.
8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto
stabilito ai commi 2 e 3 e’ il seguente:
a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008
affidate conformemente ai principi comunitari in materia di
cosiddetta "in house" cessano, improrogabilmente e senza necessita’
di deliberazione da parte dell’ente affidante, alla data del 31
dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di
servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le
amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso
le modalita’ di cui alla lettera b) del comma 2;
b) le gestioni affidate direttamente a societa’ a
partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del
socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma
2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la
qualita’ di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi
alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza
necessita’ di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla data
del 31 dicembre 2011;
c) le gestioni affidate direttamente a societa’ a
partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del
socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma
2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita’ di
socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione
del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di
servizio;
d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre
2003 a societa’ a partecipazione pubblica gia’ quotate in borsa a
tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’ articolo 2359
del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di
servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche
progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero
forme di collocamento privato presso investitori qualificati e
operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento
entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31
dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli
affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessita’ di apposita
deliberazione dell’ente affidante, rispettivamente, alla data del 30
giugno 2013 o del 31 dicembre 2015;
e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui
alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data
del 31 dicembre 2010, senza necessita’ di apposita deliberazione
dell’ente affidante.
9. Le societa’, le loro controllate, controllanti e controllate
da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri
dell’Unione europea, che, in Italia o all’estero, gestiscono di fatto
o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto
servizi pubblici locali in virtu’ di affidamento diretto, di una
procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2,
lettera b), nonche’ i soggetti cui e’ affidata la gestione delle
reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti
locali, qualora separata dall’attivita’ di erogazione dei servizi,
non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in
ambiti territoriali diversi, ne’ svolgere servizi o attivita’ per
altri enti pubblici o privati, ne’ direttamente, ne’ tramite loro
controllanti o altre societa’ che siano da essi controllate o
partecipate, ne’ partecipando a gare. Il divieto di cui al primo
periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica
alle societa’ quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato
ai sensi della lettera b) del comma 2. I soggetti affidatari diretti
di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il
territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del
servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica,
avente ad oggetto i servizi da essi forniti.
10. Il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le
regioni ed entro il 31 dicembre 2009, sentita la Conferenza unificata
di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
e successive modificazioni, nonche’ le competenti Commissioni
parlamentari, adotta uno o piu’ regolamenti, ai sensi dell’articolo
17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:
a) prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari
cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilita’
interno, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8, e
l’osservanza da parte delle societa’ in house e delle societa’ a
partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza
pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di
personale;
b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalita’
e di adeguatezza di cui all’ articolo 118 della Costituzione, che i
comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le
funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma
associata;
c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di
regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali,
anche attraverso la revisione della disciplina sulle
incompatibilita’;
d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore
applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme
applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi
pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti,
trasporti, energia elettrica e gas, nonche’ in materia di acqua;
e) (abrogato)
f) prevedere l’applicazione del principio di reciprocita’ ai
fini dell’ammissione alle gare di imprese estere;
g) limitare, secondo criteri di proporzionalita’,
sussidiarieta’ orizzontale e razionalita’ economica, i casi di
gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali,
liberalizzando le altre attivita’ economiche di prestazione di
servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le
garanzie di universalita’ ed accessibilita’ del servizio pubblico
locale;
h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme
di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti
strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli
investimenti;
i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei
beni, di proprieta’ del precedente gestore, necessari per la
prosecuzione del servizio;
l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale
anche con riguardo agli utenti dei servizi;
m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del
presente articolo.
11. L’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267, e successive modificazioni, e’ abrogato nelle parti
incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo.
12. Restano salve le procedure di affidamento gia’ avviate alla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto».
La ricorrente afferma che il legislatore statale riconosce che
sia l’affidamento del servizio pubblico ad imprese terze, sia
l’affidamento in house sono conformi all’ordinamento europeo e in
particolare alla disciplina della concorrenza, ma con la norma di cui
si tratta giunge sino ad individuare come forma preferenziale
ordinaria l’affidamento del servizio ad imprese terze, mentre relega
la possibilita’ dell’affidamento in house ai soli casi ivi espressi
in via d’eccezione, superando la stessa disciplina comunitaria in
materia di concorrenza.
5.1.1. – Ad avviso della Regione, i commi 2, 3 e 4 del menzionato
art. 23-bis violano l’evocato art. 117, terzo comma, Cost., «in
quanto limitano la potesta’ legislativa regionale di disciplinare il
normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell’ente e di
gestire in proprio i servizi pubblici». Dette disposizioni – prosegue
la Regione – sottopongono la scelta del regime di gestione del
servizio a vincoli sia sostanziali che procedurali, impedendo, in tal
modo, una previa valutazione comparativa da parte
dell’amministrazione fra tutte le possibili opzioni di scelta della
forma di gestione, «cioe’ se fruire dei vantaggi economici offerti
dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una
propria struttura capace di diversamente configurare l’offerta delle
prestazioni di servizio pubblico».
Si tratterebbe, peraltro, di innovazioni non imposte dal diritto
comunitario, sia sotto il profilo dell’esternalizzazione dei servizi
pubblici locali con rilevanza economica, sia sotto quello della
riattribuzione con la messa in gara delle attuali concessioni prima
della scadenza originariamente prevista.
Ad avviso della Regione Puglia, tale limitazione della capacita’
delle amministrazioni regionali e locali di gestire in proprio i
servizi pubblici risulta costituzionalmente illegittima e lesiva
della potesta’ legislativa regionale in materia, poiche’ nega
illegittimamente l’autonomia costituzionale di tali enti (art. 114
Cost.), riconosciuta anche dall’Unione europea, nel suo nucleo
imprescindibile della capacita’ di darsi un’organizzazione idonea a
soddisfare i bisogni sociali nel suo territorio, cioe’ della
popolazione residente che ne e’ l’elemento costitutivo. L’invasione
della sfera di competenza regionale e degli enti territoriali minori
sarebbe, poi, enfatizzata dalla precisazione che le indicate
disposizioni – i commi 2, 3, 4 dell’art. 23-bis, modificato dall’art.
15 cit. – «prevalgono su tutte le discipline di settore con esse
incompatibili», ivi comprese le discipline di settore regionali.
In conclusione, le disposizioni denunciate, non si limiterebbero
a stabilire principi fondamentali della materia, ma detterebbero «una
disciplina articolata e specifica, invasiva delle competenze
regionali anche in materia di regolazione del servizio idrico
integrato». Tali competenze legislative sarebbero ascrivibili –
sempre secondo la Regione – all’evocato parametro. Infatti, a fronte
di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 246
del 2009, secondo cui l’art. 117, terzo comma, Cost., «il quale
contiene l’elenco delle materie di competenza legislativa
concorrente, non contempla la materia» del servizio idrico integrato,
la ricorrente ritiene che tale «osservazione di carattere generale
non toglie […] che implicitamente essa vi rientri almeno nella
misura in cui quel servizio sia funzionalizzato e utilizzato a fini
di alimentazione e di tutela della salute: materie espressamente
indicate come soggette alla legislazione concorrente dall’art. 117,
comma 3, Cost.».
Sotto questo profilo – prosegue la difesa regionale – il servizio
idrico integrato e’ da considerare «servizio pubblico locale privo di
rilevanza economica, la cui disciplina non e’ riconducibile al titolo
di legittimazione trasversale "tutela della concorrenza"». E cio’
perche’, «con riferimento alla funzione di tutela della salute e di
alimentazione propria dell’acqua, non esiste un mercato
concorrenziale ed il ruolo riservato dal titolo V della Costituzione
al legislatore regionale si riespande in tutte le sue potenzialita’».
In altri termini, il servizio deve essere realizzato secondo forme e
modalita’ di gestione «che garantiscano un governo pubblico
partecipato e un finanziamento attraverso meccanismi perequativi e di
equita’ sociale: senza finalita’ lucrativa e nel rispetto dei diritti
delle generazioni future e degli equilibri ecologici».
5.1.2. – E’ del pari censurato, con riferimento allo stesso
parametro costituzionale dell’art. 117, terzo comma, il comma 8
dell’art. 23-bis, il quale stabilisce – come visto – che cessano al
31 dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati con procedure diverse
dall’evidenza pubblica, salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di
istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina.
La Regione lamenta che tale disposizione «parrebbe determinare
per l’effetto la cessazione di tutti gli affidamenti attribuiti
secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000, art. 113,
comma 5, lettera c), ponendo nell’incertezza l’attuazione dei piani
gestionali e di investimento, nonche’ i relativi piani tariffari,
travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via di esecuzione
che le parti vogliono vedere procedere secondo la loro scadenza
naturale».
5.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate.
La difesa dello Stato rileva che: a) «la Regione non puo’
lamentare genericamente l’illegittimita’ costituzionale di leggi
statali, ovvero la contrarieta’ delle stesse all’ordinamento
comunitario senza indicare specificamente la lesione di una
competenza ad essa attribuita»; b) le disposizioni censurate
rientrano nella materia della tutela della concorrenza, perche’
perseguono, in modo adeguato e proporzionato, il fine di assicurare
una disciplina nazionale uniforme e, nella parte in cui regolano le
partecipazioni pubbliche a societa’ miste, sono riconducibili anche
alla materia dell’ordinamento civile, in forza degli artt. 2458-2460
del codice civile; c) «in riferimento alle questioni ex adverso
sollevate sulla mancata e/o inesatta applicazione dei principi
comunitari in materia di servizi pubblici locali, si ritiene che la
doglianza sia mal posta in termini di incostituzionalita’», perche’
«qualora codesta Corte dovesse ravvisare l’esigenza di assicurare una
uniforme interpretazione del diritto comunitario, la questione, ai
sensi dell’art. 234 del Trattato CE, dovrebbe essere preventivamente
oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE».
5.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato
nell’atto di costituzione, in particolare sostenendo che: a) il
ricorso e’ inammissibile, perche’ la Regione non ha impugnato la
previgente formulazione dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, ma solo quella successivamente introdotta dall’art. 15 del
decreto-legge n. 135 del 2009, la quale e’ meramente confermativa del
principio di eccezionalita’ della gestione in house gia’ posto
precedentemente; b) la disciplina censurata, la quale e’
riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, e’
legittima, perche’ la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale
hanno sempre affermato che l’istituto dell’in house providing
costituisce un’eccezione al principio di concorrenza e all’ordinaria
osservanza delle procedure di evidenza pubblica: rappresenta, cioe’,
«una soluzione residuale alla quale ricorrere solo in caso di
impossibilita’ di trovare una soluzione alternativa efficiente».
6. – Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e depositato il 27
gennaio successivo (r. ric. n. 10 del 2010), la Regione Toscana ha
impugnato – in riferimento all’art. 117, primo, secondo e quarto
comma, Cost. – i commi 2, 3, 4 e 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge
n. 112 del 2008 – aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008
− nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n.
135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del
2009.
6.1. – La Regione premette che le modifiche apportate all’art.
23- bis del d.l. n. 112 del 2008 «dettano nuove regole in ordine alle
modalita’ di conferimento dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, realizzando un sistema in cui emerge con forza la
centralita’ e la prevalenza dell’affidamento del servizio attraverso
le procedure di evidenza pubblica ed il disfavore del legislatore
statale per le modalita’ di gestione in house, con il dichiarato
scopo di procedere ad una liberalizzazione del settore dei servizi
pubblici». Premette altresi’ che la materia dei servizi pubblici
locali rientra nell’ambito della potesta’ legislativa esclusiva delle
Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. Premette,
infine, che la Corte costituzionale ha rilevato che l’esercizio da
parte dello Stato della potesta’ legislativa in materia di tutela
della concorrenza, con riferimento alla disciplina dei servizi
pubblici, coinvolge profili aventi un’incidenza su una pluralita’ di
interessi e di oggetti, che non ricadono solo nell’esclusiva
competenza statale, ma involgono anche molteplici ambiti di
competenza delle Regioni, con la conseguenza che l’intervento dello
Stato «deve limitarsi alla disciplina di quegli aspetti strettamente
connessi alla tutela ed alla promozione della concorrenza e deve
uniformarsi ai principi di adeguatezza e di proporzionalita’
dell’intervento normativo rispetto al fine pro-concorrenziale
perseguito, con cio’ escludendo la legittimita’ di una normativa
troppo dettagliata e puntuale o irragionevole».
6.1.1. – Sono censurati, in primo luogo, i commi 2, 3 e 4 del
novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, i quali stabiliscono
che di regola la gestione dei servizi pubblici locali debba essere
affidata ad una societa’ privata o mista tramite gara e ammettono la
modalita’ di affidamento del servizio in house solo in via
eccezionale.
La ricorrente osserva che tali disposizioni esprimono con
evidenza il disfavore manifestato dal legislatore statale per la
modalita’ di gestione del servizio pubblico attraverso una societa’ a
totale partecipazione pubblica, ancorche’ sussistano i requisiti
indicati dall’ordinamento comunitario, ossia l’esercizio da parte
dell’ente pubblico di un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi e la prevalenza dell’attivita’ della societa’ in house
a favore dell’ente controllante.
Tale regime – prosegue la Regione – «non risponde ad esigenze
connesse alla regolazione del mercato e di tutela della concorrenza e
stabilisce una disciplina particolareggiata e puntuale, incidendo in
maniera rilevante sulle prerogative regionali costituzionalmente
garantite».
In particolare, poiche’ l’ente in house non puo’ ritenersi terzo
rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come
uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa, tutta
l’organizzazione in house e’ sottratta alla disciplina della
concorrenza nella scelta del gestore, in quanto questi e’ parte
dell’organizzazione della controllante, per la quale svolge attivita’
in via prevalente: non puo’ pertanto essere considerata un’impresa di
terzi, ne’ incide sul mercato. Conseguentemente, non potrebbe
invocarsi il principio di concorrenza – che invece deve
necessariamente conformare l’operato delle amministrazioni una volta
che le stesse abbiano deciso di rivolgersi al mercato delle imprese –
nella ipotesi della scelta dell’in house, che involge piuttosto
profili di auto-organizzazione dell’ente pubblico.
Per la difesa regionale, tale ricostruzione trova conferma nella
giurisprudenza costituzionale, secondo cui l’intervento legislativo
statale a tutela della concorrenza con riferimento ai servizi
pubblici locali di rilevanza economica viene in considerazione solo
per quei profili di disciplina strettamente collegati e funzionali
all’esigenza di definire condizioni concorrenziali uniformi nei vari
settori economici. Invece, quando le Amministrazioni, nell’esercizio
delle valutazioni discrezionali di competenza, decidono di gestire il
servizio attraverso una propria longa manus (la societa’ in house)
non ricorrono le esigenze di tutela della concorrenza e quindi, per
tale profilo, non esiste un titolo legittimante la competenza
statale. In altri termini, la scelta in ordine alle modalita’ di
gestione del servizio pubblico locale e’ da considerare una tipica
scelta di organizzazione, «che in quanto organizzazione locale e non
nazionale dei servizi non rientra nella competenza statale, ma in
quella regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.».
6.1.1.1. – Ne deriva, per la ricorrente, l’illegittimita’
costituzionale dei commi censurati, in riferimento all’art. 117,
secondo e quarto comma, Cost., perche’ detti commi esprimono una
prevalenza della gestione esternalizzata dei servizi pubblici locali,
in quanto intervengono nella materia dell’organizzazione della
gestione di detti servizi, con una normativa di dettaglio, che non
lascia margini all’autonomia del legislatore regionale, pur
perseguendo finalita’ che esulano da profili strettamente connessi
alla tutela della concorrenza.
6.1.1.2. – Sempre per la ricorrente, i commi impugnati si pongono
in contrasto anche con il diritto comunitario, in violazione
dell’art. 117, primo, secondo e quarto comma, Cost.
Infatti, nessuna disposizione comunitaria vigente limita il
ricorso all’in house a casi eccezionali, in presenza di rigorose
condizioni previste dalla legge e previo assolvimento di puntuali
regole procedimentali, cosi’ come invece previsto dalle disposizioni
censurate. Al contrario – sostiene la ricorrente – l’ordinamento
comunitario ammette espressamente la possibilita’ di fornire i
servizi pubblici con un’organizzazione propria, in alternativa
all’affidamento ad imprese terze, con la conseguenza che le
disposizioni censurate non trovano fondamento ne’ nella riserva
costituzionale alla legislazione statale esclusiva della materia
tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.),
ne’ nella disciplina comunitaria.
A tali conclusioni non potrebbe opporsi che le disposizioni
impugnate rientrano nella materia dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo
comma, lett. m, Cost.), in quanto hanno ad oggetto unicamente le
forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e non le
prestazioni che dette gestioni debbono assicurare agli utenti. Ne’
del pari potrebbe opporsi che esse rientrano nella materia delle
funzioni fondamentali di comuni, province e citta’ metropolitane, ai
sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in quanto «la
gestione dei predetti servizi non puo’ certo considerarsi
esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente
locale».
6.1.2. – E’ censurato, in secondo luogo – sempre in riferimento
all’art. 117, primo, secondo e quarto comma Cost. – il comma 8 del
novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale introduce un
nuovo regime transitorio, valido per tutti i servizi, compreso quello
idrico, con riferimento alle gestioni in essere.
La Regione sostiene che anche detta disposizione non si limita a
disciplinare, con norma di carattere generale, la materia della
gestione dei servizi pubblici sotto lo specifico profilo della tutela
della concorrenza e, in ogni caso, non rispetta i principi di
adeguatezza e di proporzionalita’ dell’intervento normativo da parte
dello Stato in ragione delle finalita’ pro-concorrenziali. Non
appare, infatti, ragionevole l’aver stabilito una puntuale
articolazione temporale della disciplina transitoria, valida
indifferentemente per tutti le tipologie di servizi pubblici e
riferita genericamente a tutte le diverse situazioni presenti sul
territorio nazionale. Inoltre, anche attraverso la disciplina del
periodo transitorio, viene ribadito il disfavore del legislatore
statale per le gestioni in house, le quali, pur affidate
conformemente ai principi dell’ordinamento comunitario, sono
destinate a cessare improrogabilmente alla data del 31 dicembre 2011.
In conclusione, ad avviso della Regione, il comma censurato si
pone in contrasto con gli evocati parametri, perche’: a) il
legislatore statale, con la disciplina in esame, non ha limitato il
proprio intervento agli aspetti piu’ strettamente connessi alla
tutela della concorrenza ed alla regolazione del mercato, ma e’
intervenuto, con una norma di dettaglio, sottraendo alle Regioni la
libera determinazione se ricorrere o meno al mercato ai fini della
gestione del servizio pubblico; determinazione che rientra
nell’ambito del buon andamento dell’organizzazione dei servizi
pubblici, che spetta alle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto
comma, Cost.; b) la disposizione, nella parte in cui impone al 31
dicembre 2011 la cessazione di tutte le gestioni in house, viola
l’art. 117 primo comma, Cost.; per il tramite del diritto
comunitario, che invece consente la prosecuzione di tali gestioni; c)
neppure con riferimento alla disciplina del periodo transitorio
possono venire in rilievo le competenze legislative statali in
materia di livelli essenziali delle prestazioni o di funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta’ metropolitane, per le
stesse ragioni gia’ esposte in relazione alla questione avente ad
oggetto i commi 2, 3 e 4 del menzionato art. 23-bis.
6.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso n. 6 del 2010
(supra: punto 5.2.).
6.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato
nell’atto di costituzione, in particolare sostenendo che: a) il
ricorso e’ inammissibile, perche’ la Regione non ha impugnato la
previgente formulazione dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, ma solo quella successivamente introdotta dall’art. 15 del
decreto-legge n. 135 del 2009, la quale e’ meramente confermativa del
principio di eccezionalita’ della gestione in house gia’ posto
precedentemente; b) la disciplina censurata, la quale e’
riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, e’
legittima, perche’ la giurisprudenza comunitaria e nazionale ha
sempre affermato che l’istituto dell’in house providing costituisce
un’eccezione al principio di concorrenza e all’ordinaria osservanza
delle procedure di evidenza pubblica.
7. – Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e depositato il 27
gennaio successivo (r. ric. n. 12 del 2010), la Regione Liguria ha
impugnato, in riferimento agli artt. 117, primo, secondo e quarto
comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., i commi 2, 3, 4 e 8
dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 – aggiunto dalla
legge di conversione n. 133 del 2008 -, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009.
7.1. – La Regione premette che l’art. 4 della legge reg. n. 39
del 2008 – i cui commi 1, 4, 5, 6 e 14 sono oggetto di impugnazione
da parte dello Stato con il ricorso n. 2 del 2009 – ammette senza
limitazioni la gestione in house dei servizi pubblici.
Premette altresi’ che l’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, che ha
introdotto le disposizioni censurate, pur essendo intitolato
«Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi
pubblici locali di rilevanza economica», non cita mai atti
comunitari, perche’ non e’, in realta’, imposto da esigenze di
adeguamento alla normativa comunitaria, ma e’ frutto di una scelta
«meramente statale volta ad imporre la procedura competitiva di
affidamento del servizio come procedura ordinaria e l’affidamento in
house come procedura eccezionale». Al contrario, – prosegue la
ricorrente – il diritto comunitario, pur incentrato sulla tutela
della concorrenza come metodo per garantire la pari opportunita’ di
accesso al mercato delle commesse pubbliche per tutti gli operatori
europei, ammette pienamente il diritto di ogni amministrazione di
erogare direttamente i servizi pubblici autoproducendoli
corrispondentemente alla propria missione.
Premette, infine, che l’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 e’
impugnabile anche nelle parti in cui e’ confermativo dell’art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008, in base alla consolidata giurisprudenza
costituzionale secondo la quale gli atti legislativi sono sempre
impugnabili anche se apparentemente «confermativi», perche’ dotati
sempre, per propria natura intrinseca, del carattere della novita’.
7.1.1. – Sono censurati, in primo luogo, i commi 2, 3 e 4 del
novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, i quali stabiliscono
che di regola la gestione dei servizi pubblici locali debba essere
affidata ad una societa’ privata o mista tramite gara e ammettono la
modalita’ di affidamento del servizio in house solo in via
eccezionale.
7.1.1.1. – La ricorrente osserva che tali disposizioni esprimono
il disfavore del legislatore statale per la modalita’ di gestione del
servizio pubblico attraverso una societa’ a totale partecipazione
pubblica, ponendo pesanti limiti sostanziali e procedurali. Esse
operano una drastica compressione dell’autonomia legislativa
regionale in materia di servizi pubblici locali ed organizzazione
degli enti locali (art. 117, quarto comma, Cost.), dato che le
possibili scelte della Regione sulla forma di gestione del servizio
vengono limitate a due possibilita’, mentre la gestione diretta viene
esclusa e quella tramite societa’ in house limitata a casi
eccezionali.
Ad avviso della difesa regionale, le disposizioni censurate non
rientrano nella competenza legislativa statale in materia di tutela
della concorrenza, ma si limitano a negare «il diritto dell’ente
territoriale responsabile di erogare in proprio il servizio pubblico
a favore della propria comunita’»; diritto espressamente riconosciuto
dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, la quale afferma
che un’autorita’ pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice,
ha la possibilita’ di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad
essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e
di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entita’
esterne non appartenenti ai propri servizi.
Ad avviso della Regione Liguria, le limitazioni poste dalle
disposizioni censurate alla capacita’ delle amministrazioni regionali
e locali di gestire in proprio i servizi pubblici risultano
costituzionalmente illegittime e lesive della potesta’ legislativa
regionale nella materia. E cio’, perche’ «un problema di tutela della
concorrenza puo’ iniziare solo dopo che e’ stata presa la decisione
di gestire il servizio attraverso il mercato, anziche’ in proprio. Al
contrario, la decisione di mantenere il servizio nell’ambito della
propria organizzazione diretta, o della propria organizzazione in
house, non restringe e non altera in alcun modo la concorrenza».
In relazione ad altri eventuali titoli di competenza statale, la
ricorrente osserva, innanzitutto, che «la disciplina in esame non
appare riferibile alla competenza legislativa statale in tema di
"determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali" perche’ riguarda precipuamente servizi di
rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di
livelli essenziali». Rileva, poi, che, in base alla giurisprudenza
costituzionale, l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. non puo’
essere invocato in relazione alle modalita’ di affidamento dei
servizi locali. In particolare, il fatto che nella sentenza della
Corte costituzionale n. 307 del 2009, si legga che «le competenze
comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni
storico-normative sia per l’evidente essenzialita’ di questo alla
vita associata delle comunita’ stabilite nei territori comunali
devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti
locali» confermerebbe che, data l’importanza del servizio idrico, lo
Stato non puo’ vietare all’ente di svolgerlo direttamente,
costringendolo ad affidarlo a terzi.
Con riferimento al censurato comma 4, la ricorrente aggiunge che
la sua illegittimita’ costituzionale consegue logicamente a quella
dei precedenti commi 2 e 3. Detto comma, infatti, richiede uno
speciale parere per l’adozione della gestione diretta del servizio
mediante la propria organizzazione o in house; parere che «si puo’
giustificare soltanto come forma di garanzia della "eccezionalita’"
della gestione in house e della fondatezza delle specifiche ragioni
della scelta, ma che […] non ha piu’ senso ne’ ragionevolezza una
volta che si riconosca il diritto dell’amministrazione di gestire in
proprio il Servizio».
In conclusione, le disposizioni dei commi 2, 3 e 4 impugnati
sono, per la ricorrente, illegittime, perche’, in violazione
dell’art. 117, quarto comma, Cost., limitano la potesta’ legislativa
regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio
pubblico da parte dell’ente, sottoponendo tale scelta a vincoli sia
sostanziali (le «peculiari caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di
riferimento») che procedurali (l’onere di trasmettere una relazione
contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorita’ garante
della concorrenza e del mercato e alle autorita’ di regolazione del
settore).
7.1.1.2. – La ricorrente lamenta anche che le stesse disposizioni
violano l’art. 118, primo e secondo comma, Cost., perche’ – vietando
lo svolgimento diretto del servizio idrico – vanificano «la norma che
assegna, preferibilmente, le funzioni amministrative ai comuni (il
servizio idrico virtualmente rimane di spettanza dei comuni ma in
concreto viene assegnato ad altri soggetti; inoltre, la norma
impugnata toglie ai comuni una parte essenziale della funzione, cioe’
la possibilita’ di scegliere la forma di gestione piu’ adeguata)».
Inoltre, svuotano il principio di sussidiarieta’, perche’ si pongono
in contrasto con il principio secondo cui «i comuni "sono titolari di
funzioni amministrative proprie" (il servizio idrico, essendo una
funzione fondamentale, rientra tra le funzioni "proprie" di cui
all’art. 118, comma 2)».
La ricorrente sostiene di essere legittimata a far valere la
lesione delle competenze amministrative degli enti locali anche
indipendentemente dalla prospettazione della violazione della
competenza legislativa regionale, perche’ le competenze comunali sono
strettamente connesse con la competenza legislativa regionale in
materia di servizi pubblici e di organizzazione degli enti locali.
7.1.1.3. – La difesa regionale lamenta, poi, che i censurati
commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis violano l’art. 117, primo comma,
Cost., in quanto contrastano con la Carta europea dell’autonomia
locale di cui alla legge 30 dicembre 1989, n. 439 (Ratifica ed
esecuzione della convenzione europea relativa alla Carta europea
dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985).
Sarebbero, in particolare, violate le seguenti disposizioni della
Carta: a) l’art. 3, comma 1, secondo cui «per autonomia locale,
s’intende il diritto e la capacita’ effettiva, per le collettivita’
locali, di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge,
sotto la loro responsabilita’, e a favore delle popolazioni, una
parte importante di affari pubblici»; b) l’art. 4, comma 2, secondo
cui «le collettivita’ locali hanno, nell’ambito della legge, ogni
piu’ ampia facolta’ di prendere iniziative proprie per qualsiasi
questione che non esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad
un’altra autorita’»; c) l’art. 4, comma 4, secondo cui «le competenze
affidate alle collettivita’ locali devono di regola essere complete
ed integrali».
Ad avviso della ricorrente, una volta che si riconosca che il
servizio idrico e’ parte delle funzioni fondamentali dei Comuni,
«sembra evidente che solo ad essi spetta la decisione sul migliore
modo di organizzarlo. La loro autonomia potra’ essere limitata sul
versante del dimensionamento del servizio per assicurare una
distribuzione efficiente, e dunque sulla eventuale necessita’ di una
gestione associativa della risorsa idrica, ma non si vede come possa
risultare legittimo privarli o comunque configurare come eccezionale
e soggetta a specifici aggravi procedimentali la scelta di assumere
essi stessi la responsabilita’ della gestione diretta del servizio».
Ne’ a tale assunto potrebbe opporsi – per la stessa ricorrente –
che le norme impugnate non incidono sulla spettanza delle funzioni ma
solo sulle forme di gestione. Infatti, «quando la disciplina delle
forme di gestione arriva ad impedire la gestione diretta del servizio
idrico, non si puo’ negare un’incidenza sulla spettanza concreta
della funzione».
La ricorrente sostiene di essere legittimata a far valere la
violazione della Carta europea dell’autonomia locale, «perche’ la
lesione delle competenze comunali e’ strettamente connessa alla
violazione della competenza legislativa regionale in materia di
servizi pubblici e di organizzazione degli enti locali».
7.1.1.4. – In subordine, per il caso in cui «fosse ritenuta
legittima l’imposizione di un regime "ordinario" di affidamento del
servizio all’esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme di
gestione non concorrenziali», la Regione censura – in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost. – il
comma 2, lettera b), del nuovo art. 23-bis, «nella parte in cui
regola in dettaglio l’affidamento del servizio alla societa’ mista,
imponendo una partecipazione minima del 40% del socio privato e
l’attribuzione al socio di specifici compiti operativi connessi alla
gestione del servizio».
Lamenta la ricorrente che tale disposizione viola il criterio di
proporzionalita’ che deve guidare la tutela della concorrenza,
invadendo il campo riservato alla potesta’ legislativa regionale in
materia di servizi pubblici. E cio’, perche’ detta disposizione pone
ulteriori vincoli alla potesta’ legislativa regionale, senza che essi
risultino funzionali ad una maggiore promozione della concorrenza,
della quale potrebbero persino risultare limitativi. Infatti –
prosegue la difesa regionale – «sono gli stessi privati che
potrebbero non avere interesse ad acquistare, un pacchetto di azioni
significativo (almeno il 40%) e presumibilmente di notevole impegno
economico (e che tuttavia non garantisce affatto il controllo sulla
societa’), per avere in cambio […] solo singoli e specifici compiti
operativi e non l’intera gestione (a volte, unica condizione per
poter rientrare degli investimenti fatti per "comprare" la qualifica
di socio). E per altro verso, in senso contrario, in alcuni casi la
situazione gestionale concretamente esistente potrebbe rendere
preferibile in termini di efficienza una privatizzazione attraverso
la selezione di un socio privato mero finanziatore, al quale non
affidare alcun compito operativo».
7.1.1.5. – Sempre in via subordinata, «qualora fosse ritenuta
legittima l’imposizione di un regime "ordinario" di affidamento del
servizio all’esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme di
gestione non concorrenziali», la Regione censura – con implicito
riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost. – il comma 3 dell’art.
23-bis, nella parte in cui regola le forme di affidamento non
competitive, perche’ esso «invece di rinviare alle forme di gestione
diretta previste dalla legislazione regionale o, in mancanza, scelte
dagli enti locali, regola direttamente anche tale caso, imponendo la
gestione in house ed escludendo la gestione in proprio da parte
dell’ente locale o la gestione tramite azienda speciale». Appare
infatti evidente – per la ricorrente – che, nel momento in cui non si
attiva la procedura competitiva, e’ escluso che lo Stato possa
invocare la propria competenza in materia di tutela della concorrenza
per disciplinare le forme di gestione non competitive, che ricadono,
invece, nella competenza regionale piena in materia di servizi
pubblici e di organizzazione degli enti locali.
7.1.2. – E’ censurato, in secondo luogo – in riferimento agli
artt. 117, primo e quarto comma, Cost. – il comma 8 del novellato
art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale regola il «regime
transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai
commi 2 e 3, prevedendo, in particolare: nella lettera a), le
modalita’ di cessazione delle gestioni in house in essere; nelle
lettere b) e c), il regime transitorio delle gestioni affidate
direttamente a societa’ miste; nella lettera d), le modalita’ di
cessazione degli affidamenti diretti a societa’ a partecipazione
pubblica.
7.1.2.1. – La Regione lamenta, innanzitutto, che la disposizione
viola l’art. 117, quarto comma, Cost., per ragioni analoghe a quelle
fatte valere sub 7.1.1.1.
Aggiunge la ricorrente che la privatizzazione prevista dalla
norma censurata non e’ riconducibile alla materia della tutela della
concorrenza e «non ricade in specifiche competenze ne’ della
Comunita’ europea, ne’ dello Stato: ne’, d’altronde, e’ una vera
materia, trattandosi invece di una modalita’ di gestione di un bene,
servizio o attivita’. Inoltre, trattandosi di un trasferimento ai
privati di risorse costituite a spese della collettivita’, e’ un
processo che va attentamente valutato in termini di benefici di
ritorno alla collettivita’ stessa. Essa, dunque, si giustifica
soltanto la’ dove l’ingresso del privato sia una garanzia di maggiore
efficienza della gestione del bene privatizzato». Infatti – sempre
secondo la difesa regionale – lo Stato puo’ legiferare solo: «a) per
assicurare la concorrenza la’ dove l’ente competente decida di aprire
il servizio ai privati; b) per assicurare i livelli essenziali delle
prestazioni; c) ponendo norme di principio sul coordinamento
finanziario, la’ dove si tratti di limitare il costo dei servizi
rispetto al bilancio pubblico».
A fronte di cio’, le norme sul superamento della gestione
pubblica dei servizi sarebbero, in chiave meramente ideologica,
«orientate a favorire un ingiustificabile processo di "svendita"
(trattandosi di vendita obbligatoria e quindi fuori dalle condizioni
di mercato) del patrimonio pubblico capitalizzato nel valore delle
societa’ pubbliche che hanno avuto in affidamento i servizi, senza
alcuna valutazione delle conseguenze che questo processo avrebbe
sulla qualita’ dei servizi».
7.1.2.2. – La ricorrente lamenta, infine, che il censurato comma
8 dell’art. 23-bis viola, per le ragioni gia’ esposte in relazione ai
precedenti commi 2, 3 e 4: a) l’art. 117, primo comma, Cost., «per
contrasto con la Carta europea dell’autonomia locale»; b) l’art. 117,
secondo comma, Cost., «per erronea interpretazione dei confini dei
poteri statali ivi previsti»; c) l’art. 117, quarto comma, Cost.,
«per violazione della potesta’ legislativa regionale piena in materia
di servizi locali e organizzazione degli enti locali»; d) l’art. 118,
primo e secondo comma, Cost., «per violazione del principio di
sussidiarieta’ e della titolarita’ comunale di funzioni proprie»; e)
l’art. 119 Cost., sotto il profilo dell’autonomia finanziaria degli
enti locali, perche’ «impone ad essi di cedere rilevanti quote delle
societa’ da essi controllate»; f) in subordine, per il caso in cui
«fosse ritenuta legittima l’imposizione di un regime "ordinario" di
affidamento del servizio all’esterno e la limitazione a casi
eccezionali di forme di gestione non concorrenziali», l’art. 117,
secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., perche’ regola nel
dettaglio le quantita’, le modalita’ e i tempi delle cessioni, per le
ragioni gia’ esposte sub 7.1.1.4.
7.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6 e n. 10 del
2010 (supra: punti 5.2. e 6.2.).
7.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la
Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia’ sostenuto nel
ricorso, aggiungendo che, contrariamente a quanto eccepito dalla
difesa dello Stato: a) il ricorso non e’ generico, perche’ la
ricorrente ha chiaramente individuato le competenze legislative che
assume violate; b) il fatto che l’intervento legislativo censurato
abbia carattere macroeconomico non rileva nel caso di specie, perche’
rileverebbe solo se si trattasse di una legge di sostegno economico a
determinati settori produttivi; c) il richiamo degli articoli
2458-2460 cod. civ. non e’ pertinente, perche’ tali norme si
riferiscono a profili specifici del diritto societario che nulla
hanno a che vedere con le disposizioni censurate.
7.4. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato
nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazioni
analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso n. 10 del 2010
(supra: punto 6.3.).
8. – Con ricorso notificato il 21 gennaio 2010 e depositato il 28
gennaio successivo (r. ric. n. 13 del 2010), la Regione
Emilia-Romagna ha impugnato – in riferimento agli artt. 114, 117,
primo, secondo, quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost. – i commi 3,
4-bis, 8, 9 e 10 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 –
aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008 -, nel testo
modificato dall’art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009.
8.1. – La ricorrente premette che la privatizzazione prevista
dalle disposizioni censurate non e’ riconducibile alla materia della
tutela della concorrenza e «non ricade in specifiche competenze ne’
della Comunita’ europea, ne’ dello Stato». Si tratta invece di una
modalita’ di gestione di un bene, servizio o attivita’, attraverso un
trasferimento ai privati di risorse costituite a spese della
collettivita’, da valutarsi in termini di benefici di ritorno alla
collettivita’ stessa. Essa, dunque, si giustifica soltanto la’ dove
l’ingresso del privato sia una garanzia di maggiore efficienza della
gestione del bene privatizzato. Infatti – sempre secondo la difesa
regionale – lo Stato puo’ legiferare solo: «a) per assicurare la
concorrenza la’ dove l’ente competente decida di aprire il servizio
ai privati; b) per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni;
c) ponendo norme di principio sul coordinamento finanziario, la’ dove
si tratti di limitare il costo dei servizi rispetto al bilancio
pubblico». A fronte di cio’, le norme sul superamento della gestione
pubblica dei servizi sarebbero meramente ideologiche, in quanto
«orientate a favorire un ingiustificabile processo di "svendita"
(trattandosi di vendita obbligatoria e quindi fuori dalle condizioni
di mercato) del patrimonio pubblico capitalizzato nel valore delle
societa’ pubbliche che hanno avuto in affidamento i servizi, senza
alcuna valutazione delle conseguenze che questo processo avrebbe
sulla qualita’ dei servizi».
Ad avviso della ricorrente, e’ evidente il suo interesse ad
impugnare tali disposizioni: «a) su un piano generale onde opporre ad
una visione ideologica, priva di qualsiasi riscontro oggettivo, una
diversa interpretazione degli interessi della propria comunita’; b)
sul piano piu’ direttamente giuridico, al fine di poter esplicare la
propria competenza legislativa in materia di servizi pubblici, che e’
lo strumento con cui la Costituzione garantisce la sua autonomia
politica».
La ricorrente procede poi ad analizzare i precedenti
giurisprudenziali costituzionali in tema di servizi pubblici locali,
traendone i seguenti principi: a) l’intervento legislativo statale in
una materia come quella dei servizi pubblici locali, non
espressamente prevista nell’art. 117 Cost., si giustifica solo alla
luce della competenza esclusiva che lo Stato ha in materia di «tutela
della concorrenza», la quale, stante la sua trasversalita’, puo’
abbracciare qualsiasi attivita’ economica (sentenza n. 272 del 2004);
b) tuttavia, l’ambito di operativita’ della competenza in materia di
«tutela della concorrenza» e’ definito anche attraverso il rispetto
del principio di proporzionalita’ e adeguatezza, nel senso che
l’intervento legislativo statale non puo’ essere talmente dettagliato
da escludere qualsiasi possibilita’ di regolazione da parte della
Regione (sentenza n. 272 del 2004); c) sono costituzionalmente
illegittime sia le disposizioni statali dirette a disciplinare i
servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, sia le
disposizioni dirette a disciplinare aspetti dei servizi pubblici
locali di rilievo economico, ma con esasperato taglio applicativo e
di dettaglio (sentenza n. 272 del 2004); d) la disciplina statale
sulle modalita’ di affidamento dei servizi pubblici a rilevanza
economica e’ costituzionalmente legittima, in quanto riconducibile
alla materia della tutela della concorrenza (sentenza n. 307 del
2009); e) le competenze comunali in ordine al servizio idrico, sia
per ragioni storico-normative, sia per l’evidente essenzialita’ di
questo per la vita associata delle comunita’ stabilite nei territori
comunali, devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli
enti locali, la cui disciplina e’ stata affidata alla competenza
esclusiva dello Stato dal novellato art. 117 Cost.; cio’ non toglie,
ovviamente, che la competenza in materia di servizi pubblici locali
resti una competenza regionale, la quale risulta in un certo senso
limitata dalla competenza statale suddetta, ma puo’ continuare ad
essere esercitata negli altri settori, nonche’ in quello dei servizi
fondamentali, purche’ non sia in contrasto con quanto stabilito dalle
leggi statali (sentenza n. 307 del 2009).
8.1.1. – E’ censurato, in primo luogo – in riferimento agli artt.
114, 117, primo, secondo e quarto comma, e 118 Cost. – il comma 3 del
novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale ammette la
modalita’ di affidamento del servizio direttamente a societa’ in
house solo in via eccezionale.
La ricorrente prospetta questioni analoghe a quelle prospettate
dalla Regione Liguria nel ricorso n. 13 del 2010 in relazione alla
stessa disposizione (supra: punti 7.1.1.1. e 7.1.1.2).
Con particolare riferimento al parametro dell’art. 114 Cost., la
ricorrente precisa che la norma impugnata viola l’autonomia
organizzativa degli enti locali, quanto al miglior soddisfacimento
dei servizi di propria titolarita’.
8.1.2. – E’ censurato, in secondo luogo – in riferimento all’art.
117, sesto comma, Cost. – il comma 4-bis del novellato art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008, il quale affida al regolamento governativo
di cui al successivo comma 10 il compito di individuare una soglia
oltre la quale l’affidamento di un servizio pubblico locale in forma
derogatoria (ossia a societa’ in house), per assenza in concreto di
un mercato di riferimento, deve essere assoggettato alla funzione
consultiva e di verifica svolta dall’Autorita’ garante della
concorrenza e del mercato.
La Regione ritiene che le determinazioni relative a tale soglia
non possano che essere assunte in sede regionale, entro limiti
fissati direttamente dalla legge statale, trattandosi di determinare
un livello di efficienza del servizio, che solo a livello regionale
puo’ essere concretamente e correttamente apprezzato. Lamenta,
percio’, che e’ illegittimo spostare sulla fonte regolamentare parte
di tale disciplina, in violazione dell’evocato art. 117, sesto comma,
Cost., che consente al Governo di intervenire con fonti secondarie
solo in materie di esclusiva competenza statale. Tale non sarebbe la
fissazione della soglia in questione, perche’ «non risponde ad alcuna
logica affermare che la rilevanza o meno dell’affidamento dipenda da
un valore economico».
Osserva la stessa Regione che la soglia in questione «e’ stata
fissata, stando allo schema di regolamento approvato dal Consiglio
dei Ministri in data 17 dicembre 2009, nel valore economico del
servizio oggetto dell’affidamento superiore a 200.000,00 €, (mentre
e’ comunque richiesto il parere a prescindere dal valore economico
del servizio qualora la popolazione interessata sia superiore a
50.000 abitanti)». Si tratta – prosegue la difesa regionale – di un
limite che e’ espressione di un apprezzamento ex ante del tutto
forfettario che non e’ collegato ad alcun livello di efficienza del
servizio, «ne’ appare uno strumento in grado di fissare la
appropriatezza, la qualita’, il controllo e il rispetto dei parametri
della concorrenza e, quindi, il grado di concorrenzialita’». Sempre
secondo la ricorrente, la conseguenza negativa di tale disciplina
consiste nel fatto che «gli enti locali, accertata in concreto
l’assenza di un mercato di riferimento, se riusciranno a contenere
l’affidamento al di sotto della soglia regolamentare, potranno
tranquillamente evitare la gara e gestire in house il servizio, senza
che nessuna autorita’ tecnica possa valutare la sussistenza dei
requisiti legittimanti la deroga».
8.1.3. – Sono censurati, in terzo luogo – «per violazione degli
artt. 114, 118, 117, commi 1, 2 e 4, e 119 Cost., nonche’ del
principio di tutela dell’affidamento connesso alla responsabilita’
regionale» – i commi 8 e 9 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112
del 2008, i quali disciplinano il regime transitorio per gli
affidamenti in atto dei servizi pubblici locali di rilievo economico.
8.1.3.1. – In particolare, la ricorrente sostiene che il
censurato comma 8 e’ solo apparentemente una norma a favore della
concorrenza, perche’ «in realta’ essa introduce disposizioni piu’
rigide della normativa comunitaria di cui si afferma l’attuazione»,
incidendo pregiudizialmente nell’ambito degli investimenti, rispetto
al quale la Regione ha sempre avuto un ruolo fondamentale.
Al di la’ della violazione del principio di uguaglianza e di
liberta’ di iniziativa economica – che riguarda piu’ propriamente gli
operatori economici che hanno fatto affidamento su una certa durata
della gestione del servizio affidato – cio’ che rileva in questa sede
per la Regione ricorrente e’ la circostanza che tale disposizione
incide sull’assetto del sistema regionale degli affidamenti, ledendo
il ruolo della Regione, anche di tipo legislativo, nel definire la
durata degli affidamenti medesimi.
Vi sarebbe, quindi, una lesione della disciplina legislativa
legittimamente stabilita dalla Regione in base ai suoi livelli di
competenza (violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.) e della
responsabilita’ della Regione nei confronti del variegato panorama
delle societa’ pubbliche o semi pubbliche affidatarie dei servizi
pubblici, che a tale assetto si sono correttamente attenute.
8.1.3.2. – Per la ricorrente, la disposizione viola inoltre
l’art.117, primo comma, Cost., perche’ «nel diritto comunitario il
modello organizzativo dell’autoproduzione dei servizi attraverso
affidamenti in house e’ stato ritenuto in linea con i principi del
Trattato, tra cui, come noto, vi e’ quello della tutela e promozione
della concorrenza». La Regione svolge sul punto argomentazioni
analoghe a quelle svolte nel ricorso n. 12 del 2010 e sopra riportate
ai punti: 7.1.1.4., 7.1.1.5. e 7.1.2.1.
8.1.3.3. – La Regione lamenta, poi, che il comma 8 impugnato
contrasta con «il principio di pluralismo paritario istituzionale, in
violazione degli artt. 114 e 118 Cost». e cio’, perche’ la nuova
disciplina sarebbe cosi’ rigida da annullare qualsiasi autonomia
esercitabile in materia.
Sarebbe percio’ violato il principio fondamentale di
sussidiarieta’, «che richiede […] una valutazione in concreto della
situazione locale (che puo’ enormemente variare da un ambito ottimale
all’altro), anche per verificare le specifiche condizioni di mercato
in cui si svolge il servizio e in cui si "privatizza" il patrimonio
pubblico».
8.1.3.4. – Si lamenta, ancora, che il censurato comma 8 contrasta
con l’art. 119, sesto comma, Cost., secondo cui «i Comuni, le
Province le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i
principi generali determinati dalla legge dello Stato».
Per la ricorrente, le ragioni del dedotto contrasto stanno nel
fatto che le disposizioni censurate impongono «alle Amministrazioni
pubbliche di liberarsi di una quota del proprio patrimonio societario
a prescindere dalla convenienza economica dell’operazione, e quindi
dalla considerazione in concreto del tempo, delle modalita’, della
quantita’, valutazioni indispensabili ad evitare che si produca una
svendita coatta di capitali pubblici». Per come e’ strutturata la
norma – prosegue la difesa regionale – «non c’e’ alcuna possibilita’
di realizzare un ritorno economico che equilibri il depauperamento,
obbligato per legge, del patrimonio della collettivita’, e si
determina un indebolimento finanziario della governance pubblica
senza adeguata giustificazione e idonee contromisure, con evidente
violazione della norma costituzionale sull’autonomia finanziaria di
Regioni e Comuni che, per tali finalita’ costituzionalmente
riconosciute, ha espressamente ad essi attribuito un proprio
patrimonio, il quale non puo’ essere inciso per finalita’
contrastanti con la sua stessa conservazione ed ottimale gestione».
8.1.3.5. – Quanto al comma 9 dell’art. 23-bis – il quale
stabilisce che le societa’ che, in Italia o all’estero, gestiscono
servizi pubblici locali in virtu’ di affidamento diretto, di una
procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2,
lettera b), nonche’ i soggetti cui e’ affidata la gestione delle
reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti
locali, qualora separata dall’attivita’ di erogazione dei servizi,
non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori – la Regione
sostiene che esso contrasta: a) con l’art. 117, primo comma, Cost.,
perche’ il diritto comunitario prevede che le societa’ in house sia
tenuta a svolgere a favore degli enti di riferimento solo l’attivita’
prevalente, ben potendo destinare l’attivita’ residua anche al
mercato, mentre «la norma in questione trasforma il concetto di
"prevalenza" dell’attivita’ in "attivita’ esclusiva"»; b) con l’art.
117, quarto comma, Cost., perche’ reca interventi irragionevoli e non
proporzionali agli scopi di tutela della concorrenza prefissati.
In particolare, quanto a quest’ultima questione, la ricorrente
lamenta che e’ irragionevole estendere le conseguenze limitative
degli affidamenti diretti anche alle societa’ miste costituite ai
sensi del comma 2, lettera b), dell’art. 23-bis, considerato che, per
volonta’ dello stesso legislatore, tale modello di gestione e’ stato
equiparato a quello dell’esternalizzazione, nella comune categoria
delle formule ordinarie di organizzazione dei servizi pubblici locali
di rilievo economico. Non vi sarebbe, poi, ragionevole motivo «nella
scelta legislativa di escludere da tale regime limitativo, invece, le
societa’ quotate e di prevedere una specie di moratoria con
riferimento alla partecipazione alle cc.dd. prime gare». Un ulteriore
elemento di irragionevolezza starebbe nel fatto che la disposizione
non riguarda solo il gestore del servizio, «ma anche i soggetti
societari ad esso collegati e da esso controllati, i quali conservano
in ogni caso una loro autonomia soggettiva e ben potrebbero operare
in altri mercati». Conclude la ricorrente che «obiettivamente la
portata della disposizione appare un po’ eccessiva e non
proporzionata alla tutela della concorrenza: primo, perche’, un
vincolo di azione ad una societa’ non e’ di per se stesso elemento
atto a garantire la concorrenza; secondo, perche’ vale solo per le
imprese pubbliche o semi-pubbliche, ma non per quelle private, ben
potendosi verificare in concreto affidamenti di servizi a privati non
preceduti da gara (come dimostra l’esperienza, giustificabili per
ragioni di emergenza, ad esempio, nel campo dei servizi ambientali)».
8.1.4. – La Regione censura, in quarto luogo, il comma 10
dell’art 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, per violazione dell’art.
117, secondo e quarto comma, Cost., sotto il profilo della mancanza
in capo allo Stato di un titolo di competenza in materia, per motivi
analoghi a quelli gia’ espressi dalla stessa Regione nel ricorso n.
69 del 2008 avverso la previgente formulazione della disposizione.
8.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10 e n. 12
del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2.).
8.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la
Regione Emilia-Romagna ha sostanzialmente ribadito quanto gia’
sostenuto nel ricorso, insistendo nelle conclusioni gia’ rassegnate.
8.4. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato
nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazione
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 10 e n. 12 del
2010 (supra: punti 6.3. e 7.4.).
9. – Con ricorso notificato il 21 gennaio 2010 e depositato il 28
gennaio successivo (r. ric. n. 14 del 2010), la Regione Umbria ha
impugnato, in riferimento agli artt. 117, primo, secondo, e quarto
comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., i commi 2, 3, 4 e 8
dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 – aggiunto dalla
legge di conversione n. 133 del 2008 -, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009.
9.1. – La Regione − premesso che l’ art. 8 della legge reg. 5
dicembre 1997, n. 43 (Norme in attuazione della legge 5 gennaio 1994,
n. 36, recante disposizioni in materia di risorse idriche) consente,
contrariamente alla normativa censurata, la gestione in house dei
servizi pubblici − pone questioni analoghe a quelle poste dalla
Regione Liguria con il ricorso n. 12 del 2010 (supra: punto 7. e
seguenti).
9.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12 e
n. 13 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2. e 8.2.).
9.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la
Regione Umbria ha sostanzialmente ribadito quanto gia’ sostenuto nel
ricorso, aggiungendo considerazioni analoghe a quelle svolte dalla
Regione Liguria nella memoria depositata in prossimita’ dell’udienza
nel giudizio r. ric. n. 12 del 2010 (supra: punto 7.3.).
9.4. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato
nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 10, n. 12 e n. 13
del 2010 (supra: punti 6.3., 7.4. e 8.4.).
10. – Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e depositato il
29 gennaio successivo (r. ric. n. 15 del 2010), la Regione Marche ha
impugnato, in riferimento agli artt. 117, primo, quarto e sesto
comma, e 119, sesto comma, Cost., i commi 2, 3, 4 e 8 dell’art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009, nonche’ il comma
1-ter dell’art. 15 dello stesso d.l. n. 135 del 2009, nella parte in
cui tali disposizioni si applicano al servizio idrico integrato.
10.1. – La Regione osserva preliminarmente che il servizio idrico
integrato e’ disciplinato sia da disposizioni gia’ presenti nel
previgente testo dell’art. 23-bis, sia da disposizioni introdotte in
tale articolo dall’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009.
Quanto alle prime, fa riferimento: a) all’art. 23-bis, comma 10,
lettera d), ai sensi del quale il Governo era incaricato di adottare
uno o piu’ regolamenti di delegificazione al fine di «armonizzare la
nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi
pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale
per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza
economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas,
nonche’ in materia di acqua»; b) all’art. 23-bis, comma 10, lett. e)
− disposizione, quest’ultima, non piu’ vigente − in forza del quale,
sempre mediante regolamento governativo, si doveva procedere a
«disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando
il limite massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun settore per
la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse
dall’evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase
transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in
essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo
tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano
cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo».
Quanto alle seconde, la ricorrente richiama, in particolare, il
censurato comma 1-ter dell’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, il quale
prevede che «Tutte le forme di affidamento della gestione del
servizio idrico integrato di cui all’articolo 23-bis del citato
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di
autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva
proprieta’ pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta
esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine
alla qualita’ e prezzo del servizio, in conformita’ a quanto previsto
dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto
alla universalita’ ed accessibilita’ del servizio».
10.1.1. – Sono censurati, in primo luogo, i commi 2, 3 e 4
dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l’art. 15, comma 1-ter,
del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell’art. 117, sesto comma,
Cost., il quale attribuisce agli enti locali territoriali la potesta’
regolamentare «in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite».
La ricorrente – rilevato che, secondo la disciplina impugnata, i
servizi pubblici locali che abbiano rilevanza economica possono
essere affidati in house solo in ipotesi eccezionali – lamenta che il
comma 1-ter dell’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 stabilisce
obbligatoriamente che per la gestione del servizio idrico integrato
sia scelta una delle forme di affidamento di cui al nuovo art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008. Secondo la ricorrente, la legge statale non
puo’ imporre, in via generale e astratta, ed in modo del tutto
inderogabile, la configurazione del servizio idrico integrato quale
«servizio pubblico locale avente rilevanza economica», con il
conseguente obbligo per gli enti titolari della funzione di
conformare scopi, obiettivi e missioni del servizio in questione al
perseguimento della rimunerativita’ del capitale investito o comunque
della redditivita’ per il soggetto gestore, escludendo la
possibilita’ di qualificare il servizio come «servizio pubblico
locale non avente rilevanza economica».
La stessa ricorrente si sofferma, poi, sul problema della
qualificazione di un servizio pubblico locale come «avente rilevanza
economica», ovvero come «non avente rilevanza economica».
A tale proposito – sempre per la Regione – va premesso che, come
hanno evidenziato con ampiezza di argomentazioni sia la dottrina che
la giurisprudenza amministrativa, la nozione di «servizio a rilevanza
economica» non puo’ essere intesa quale nozione volta a tracciare una
volta per tutte una linea discretiva tra diversi tipi di attivita’,
alla luce di una supposta «natura ontologica» della medesima. E cio’,
perche’ la distinzione e’ soltanto una «conseguenza del modello
gestionale scelto dall’amministrazione per la sua organizzazione». La
nozione di «attivita’ economica» dovrebbe essere ricostruita alla
luce dell’art. 2082 cod. civ., ai sensi del quale «e’ imprenditore
chi esercita professionalmente un’attivita’ economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o servizi», con la
conseguenza che il carattere dell’economicita’ e’ riferibile solo a
quelle attivita’ in grado di essere condotte in modo da produrre
degli utili e in ultima analisi l’autosufficienza nel mercato, mentre
la rilevanza economica andrebbe esclusa per quei servizi per i quali
l’amministrazione intende assicurare la copertura dei costi
ricorrendo alla fiscalita’ generale ovvero applicando prezzi
politici. Tale sarebbe anche l’orientamento della giurisprudenza
amministrativa − secondo cui debbono considerarsi privi di rilevanza
economica i servizi caratterizzati «dall’assenza di uno scopo
precipuamente lucrativo, dalla mancanza di assunzione del rischio
economico connesso alla specifica attivita’, nonche’ dalla presenza
di eventuali finanziamenti pubblici» − e della giurisprudenza
costituzionale, secondo cui i servizi pubblici locali sono dotati, o,
al contrario, privi di rilevanza economica, «in relazione al soggetto
erogatore, ai caratteri ed alle modalita’ della prestazione, ai
destinatari» (sentenza n. 272 del 2004).
In conclusione, per la difesa regionale, la qualificazione di un
servizio pubblico come servizio dotato o non dotato di rilevanza
economica non deriva dai caratteri «naturali», intrinseci al singolo
servizio; si tratta, invece, di una mera conseguenza della
valutazione schiettamente politica che l’organo o ente titolare del
servizio ha effettuato sulle modalita’ con le quali esso debba essere
organizzato e gestito.
Alla rilevanza economica del servizio – prosegue la Regione –
consegue, nell’ambito dell’ordinamento costituzionale italiano, la
soggezione alle regole poste dallo Stato in funzione della «tutela
della concorrenza», ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera
e), Cost., sempreche’ esse siano state legittimamente dettate, nel
rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalita’ in relazione
ai fini pro concorrenziali concretamente perseguiti.
In tale quadro, il censurato comma 1-ter dell’art. 15 del d.l. n.
135 del 2009 rende obbligatoria – come visto – la qualificazione del
servizio idrico integrato come servizio «avente rilevanza economica»
e, conseguentemente, il suo affidamento mediante le forme previste
dal vigente testo dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e, cosi’
facendo, viola l’evocato art. 117, sesto comma, Cost., in base al
quale tale qualificazione dovrebbe spettare alla potesta’
regolamentare degli enti locali e non al legislatore statale. Il
regime giuridico di tale potesta’ sarebbe stato chiarito dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 246 del 2006, secondo cui, «se
il legislatore regionale nell’ambito delle proprie materie
legislative dispone discrezionalmente delle attribuzioni di funzioni
amministrative agli enti locali, ulteriori rispetto alle loro
funzioni fondamentali, anche in considerazione dei principi di
sussidiarieta’, differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma
dell’art. 118 della Costituzione», tuttavia «non puo’ contestualmente
pretendere di affidare ad un organo della Regione − neppure in via
suppletiva − la potesta’ regolamentare propria dei Comuni o delle
Province in riferimento a quanto attribuito loro dalla legge
regionale medesima». Secondo la ricorrente, tale orientamento deve
essere inteso nel senso che il legislatore puo’, nell’esercizio della
propria discrezionalita’ legislativa, determinarsi circa
l’attribuzione o meno agli enti locali di una determinata funzione
amministrativa; ma, una volta che si sia determinato nel senso
dell’affidamento ad uno di questi enti della funzione in
considerazione, sorge a beneficio della potesta’ regolamentare
dell’ente locale un ambito intangibile e incomprimibile – concernente
la disciplina degli aspetti organizzativi e delle modalita’ di
svolgimento della funzione – opponibile anche alla stessa fonte
legislativa. Nel caso di specie, la normativa vigente affida la cura
del servizio idrico integrato a quella particolare «struttura dotata
di personalita’ giuridica costituita in ciascun ambito territoriale
ottimale delimitato dalla competente regione» che e’ l’Autorita’
d’ambito, «alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente
ed alla quale e’ trasferito l’esercizio delle competenze ad essi
spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa
la programmazione delle infrastrutture idriche» (art. 148, comma 1,
del d.lgs. n. 152 del 2006). Ne consegue, per la difesa regionale,
che «quell’area incomprimibile di formazione regolamentare
concernente il servizio idrico integrato non possa che essere
ricondotta alla titolarita’ congiunta degli enti locali che
obbligatoriamente fanno parte dell’Autorita’ d’ambito e come la
suddetta area incomprimibile di potesta’ normativa ricomprenda
precisamente la decisione circa la conformazione del servizio quale
dotato ovvero non dotato di rilevanza economica».
Tale essendo il quadro complessivo delle competenze, la materia
dei servizi pubblici locali rientrerebbe nell’ambito della potesta’
legislativa residuale affidata alle Regioni dall’art. 117, quarto
comma, Cost., con due limiti: il primo, rappresentato dalla potesta’
legislativa statale nell’ambito della materia di competenza esclusiva
della tutela della concorrenza; il secondo, rappresentato
dall’impossibilita’ di violare la riserva che questa disposizione
pone a beneficio della potesta’ regolamentare degli enti locali, cui
e’ congiuntamente affidato il servizio per il tramite dell’Autorita’
d’ambito, in riferimento al suo svolgimento e alla sua
organizzazione.
Ad avviso della ricorrente, si deve, inoltre, escludere la
possibilita’ che le disposizioni legislative impugnate siano
riconducibili alla competenza statale concernente le «funzioni
fondamentali» di Comuni, Province e Citta’ metropolitane, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. E cio’, per le
seguenti ragioni: a) le funzioni fondamentali non sono quelle
amministrativo-gestionali in senso proprio, consistenti nella
concreta cura di interessi, ma solo quelle in cui si esprimono la
potesta’ statutaria, la potesta’ regolamentare e la potesta’
amministrativa a carattere ordinamentale, concernente le funzioni
essenziali che attengono alla vita stessa e al governo dell’ente; b)
secondo il principio di differenziazione, di cui all’art. 118 Cost.,
la valutazione di adeguatezza rispetto allo svolgimento della
funzione che sorregge il principio di sussidiarieta’ deve tener conto
delle differenze concrete che sussistono tra enti della medesima
categoria, con la conseguenza che, nella allocazione delle funzioni
amministrative, «la legge regionale o statale, competente per
materia, dovrebbe compiere una valutazione di
adeguatezza-inadeguatezza differente per enti con caratteristiche
differenti pur se del medesimo tipo, ad esempio, ritenendo adeguati
allo svolgimento della funzione i Comuni con piu’ di x abitanti, ed
inadeguati i Comuni con x o meno di x abitanti»; c) il principio di
differenziazione altro non e’ che una particolare declinazione del
principio di uguaglianza; d) lo Stato e’ comunque dotato della
competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e
inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere
sostitutivo straordinario ex art. 120, secondo comma, Cost., per
garantire l’effettivita’ di questi ultimi; e) la sentenza della Corte
costituzionale n. 307 del 2009 – nella quale si legge che «le
competenze comunali in ordine al servizio idrico […] devono essere
considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali» – precisa
che l’evocazione del parametro di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost., deve essere ritenuta «inconferente» rispetto a
norme concernenti «le modalita’ di affidamento dei servizi pubblici
locali a rilevanza economica», le quali trovano il loro fondamento,
invece, nell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e cio’ in
quanto «la regolamentazione di tali modalita’ non riguarda un dato
strutturale del servizio ne’ profili funzionali degli enti locali ad
esso interessati (come, invece, la precedente questione relativa alla
separabilita’ tra gestione della rete ed erogazione del servizio
idrico), bensi’ concerne l’assetto competitivo da dare al mercato di
riferimento».
La ricorrente prosegue osservando che gli aspetti del servizio
idrico integrato rilevanti ai fini del riparto di competenze
normative sono almeno tre: a) quello – di competenza dello Stato ex
art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – connesso all’«assetto
competitivo da dare al mercato di riferimento», ove il servizio
idrico sia strutturato in modo tale da avere rilevanza economica; b)
quello – nel sistema accolto dalla sentenza n. 307 del 2009, di
competenza dello Stato, in forza dell’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost. – inerente ai «profili funzionali degli enti locali
ad esso interessati», tra i quali la «separabilita’ tra gestione
della rete ed erogazione del servizio idrico»; c) quello – assegnato
dall’art. 117, sesto comma, Cost., alla potesta’ regolamentare locale
– concernente la strutturazione del servizio come avente o non avente
rilevanza economica.
La ricorrente propone, poi, un’interpretazione adeguatrice delle
disposizioni censurate, nel senso che, ove il comma 1-ter dell’art.
15 del d.l. n. 135 del 2009 si riferisce a «tutte le forme di
affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui
all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008», norma
che a sua volta si riferisce ai servizi dotati di rilevanza
economica, esso non impone affatto che il servizio idrico integrato
debba per definizione intendersi dotato di rilevanza economica. Il
comma 1-ter potrebbe cioe’ interpretarsi nel senso che il servizio
idrico integrato e’ sottoposto alla disciplina dell’art. 23-bis solo
nei casi in cui «gli enti competenti abbiano scelto di organizzarlo
in modo da conferirvi rilevanza economica».
A sostegno della percorribilita’ di una simile opzione
interpretativa, la Regione deduce un argomento fondato
sull’evoluzione storica della disciplina, rilevando che, prima
dell’entrata in vigore dell’art. 23-bis, la materia dell’affidamento
della gestione del servizio idrico integrato era regolata dall’art.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006 mediante rinvii recettizi all’art. 113
del d.lgs. n. 267 del 2000. Da tali rinvii si poteva desumere che il
legislatore imponesse alle Autorita’ d’ambito territorialmente
competenti la conformazione del servizio idrico integrato
necessariamente come «servizio pubblico a rilevanza economica»,
perche’ il citato art. 113 regolava l’affidamento di tale categoria
di servizi. Proprio l’abrogazione del suddetto art. 113 ad opera
dell’art. 23-bis citato avrebbe – a detta della ricorrente – fatto
venire meno tale necessaria conformazione del servizio idrico.
La ricorrente conclude l’illustrazione del primo motivo di
ricorso rilevando, sul piano processuale, che: a) nel giudizio in via
principale, sono ammissibili «questioni interpretative del tipo di
quella qui proposta»; b) sono ammissibili censure «avverso una legge
statale, che invochino quale parametro norme costituzionali poste a
presidio di competenze degli enti locali», per la strettissima
connessione tra competenze regionali e locali, che sussiste nel caso
di specie, perche’ «il riconoscimento agli enti locali della
competenza, ex art. 117, sesto comma, Cost., a decidere circa la
conformazione del servizio idrico integrato come servizio avente o
non avente rilevanza economica determina rispettivamente il contrarsi
o il riespandersi dell’ambito di applicazione delle norme regionali
adottate in materia di servizi pubblici locali».
10.1.2. – Per il caso in cui la Corte costituzionale non volesse
accogliere la ricostruzione del servizio idrico integrato come
riconducibile alla potesta’ regolamentare degli enti locali ex art.
117, sesto comma, Cost., la Regione sostiene che le norme censurate,
«con particolare riferimento alla disciplina dei profili di
configurazione strutturale del servizio idrico integrato», violano
l’art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la
potesta’ legislativa residuale nella materia dei servizi pubblici
locali.
La ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale che
riconduce la disciplina dei servizi pubblici locali alla competenza
legislativa esclusiva regionale e sottolinea che – come gia’
osservato – «la qualificazione di un servizio come avente o non
avente rilevanza economica dipende dalle caratteristiche che si
intendano conferire al modo in cui esso e’ organizzato e gestito»,
con la conseguenza di escludere titoli di competenza dello Stato in
materia. In particolare, dalla citata sentenza della Corte
costituzionale n. 307 del 2009, si desumerebbe che il «dato
strutturale del servizio» ricade nella competenza legislativa
regionale.
10.1.3. – La ricorrente censura, in terzo luogo, le stesse
disposizioni, per violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., il
quale attribuisce alle Regioni la potesta’ legislativa residuale
nella materia dei servizi pubblici locali.
Sostiene la Regione che la disciplina statale non potrebbe
trovare il suo titolo di legittimazione nell’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., perche’ la potesta’ legislativa statale in materia
di tutela della concorrenza «e’ riferibile solo alle disposizioni di
carattere generale che disciplinano le modalita’ di gestione e
l’affidamento dei servizi pubblici locali di "rilevanza economica"» e
«solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme
regionali»; con la conseguenza che non sono censurabili, in
riferimento ai servizi pubblici aventi rilevanza economica, solo ed
esclusivamente tutte quelle norme statali «che garantiscono, in forme
adeguate e proporzionate, la piu’ ampia liberta’ di concorrenza
nell’ambito di rapporti – come quelli relativi al regime delle gare o
delle modalita’ di gestione e conferimento dei servizi – i quali per
la loro diretta incidenza sul mercato appaiono piu’ meritevoli di
essere preservati da pratiche anticoncorrenziali».
Secondo la difesa regionale, per valutare se la normativa statale
rispetti il principio di proporzionalita’, e’ necessario accertare se
esista la possibilita’ di una regolazione diversa e meno invasiva per
l’autonomia regionale, la quale raggiunga i medesimi scopi di tutela
della concorrenza perseguiti con la disciplina oggetto del giudizio.
Nel caso di specie – prosegue la ricorrente – e’ agevole rendersi
conto che il parametro della proporzionalita’ della disciplina non e’
rispettato, perche’ lo standard di tutela garantito dalla normativa
censurata sarebbe ugualmente assicurato da una disciplina meno
invasiva delle competenze regionali, che non contenga una specifica
indicazione delle condizioni che giustificano l’affidamento in house.
In particolare, la Regione osserva che la giurisprudenza comunitaria
ha ritenuto non contrastante con il diritto comunitario, e con
l’esigenza di tutelare la concorrenza, la disciplina nazionale
italiana previgente rispetto a quella oggi in discussione, la quale
non individuava specificamente le ipotesi in cui si doveva
eccezionalmente ritenere ammissibile il ricorso all’affidamento in
house. Ne consegue, secondo la Regione, che le norme impugnate
violano il principio di proporzionalita’ quale delineato dalla
giurisprudenza costituzionale. Tale conclusione sarebbe avvalorata
anche da un concorrente argomento, desumibile dal censurato comma 8
dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale prevede la
cessazione «automatica» delle «gestioni in essere alla data del 22
agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia
di cosiddetta "in house"». Tale previsione – a detta della difesa
regionale – mostrerebbe con chiarezza che il legislatore statale ha
inteso escludere la legittimita’ della scelta dell’in house providing
in situazioni compatibili con la tutela della concorrenza, in quanto
conformi al diritto comunitario.
Sempre secondo la ricorrente, i parametri di «generalita’» e
«proporzionalita’» sopra illustrati sono anche direttamente violati
dal censurato comma 8 dell’art. 23-bis del d.lgs. n. 112 del 2008,
per l’estremo dettaglio «nella indicazione dei tempi e delle
modalita’ di cessazione delle presenti gestioni pure conformi alla
disciplina in house posta dal diritto comunitario» e perche’, per
raggiungere il fine di garantire effettivita’ e tempestivita’
all’entrata a regime della nuova normativa introdotta non era affatto
necessario comprimere i poteri decisionali delle Regioni e degli enti
locali. Ad avviso della ricorrente, «sarebbe risultata piu’ che
sufficiente, infatti, una normativa che prevedesse uno spettro di
date entro il quale le singole Regioni potessero compiere le proprie
scelte, ovvero un meccanismo di adeguamento progressivo ai nuovi
standard».
Tali considerazioni – ribadisce la Regione – varrebbero anche se
la «Corte ritenesse di aderire all’interpretazione costituzionalmente
orientata delle disposizioni impugnate (nel senso che l’art. 15,
comma 1-ter, lascerebbe del tutto impregiudicata la questione della
conformazione del servizio idrico integrato quale servizio avente o
non avente rilevanza economica)». Infatti, nel caso in cui si
ritenesse di accogliere la suddetta interpretazione restrittiva della
normativa impugnata, «le norme oggetto della presente questione di
legittimita’ costituzionale disciplinerebbero comunque nel dettaglio,
e ben oltre i limiti che pone l’art. 117, secondo comma, lett. e),
Cost., l’affidamento del servizio idrico integrato che fosse stato
conformato − dalla potesta’ regolamentare locale, ovvero dalla
legislazione regionale − in modo tale da far assumere al medesimo
rilevanza economica».
10.1.4. – La ricorrente censura, in terzo luogo, il comma 1-ter
dell’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell’art. 119,
sesto comma, Cost., il quale prevede che «i Comuni, le Province, le
Citta’ metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio,
attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello
Stato».
Quanto all’evocato parametro, la Regione osserva: «a) che la
proprieta’ pubblica regionale e locale ha uno specifico fondamento
costituzionale e, pertanto, partecipa a pieno titolo alla definizione
delle sfere di autonomia costituzionalmente garantita dei rispettivi
enti, risultando "imposto" al legislatore statale l’obbligo di
prevedere l’attribuzione a tali enti di un proprio patrimonio; b) che
una volta avvenuta l’attribuzione del patrimonio alla proprieta’
delle Regioni e degli enti locali territoriali, secondo i principi
generali fissati dalla legge dello Stato, tale proprieta’ pubblica
deve considerarsi naturalmente assoggettata al regime giuridico del
demanio e del patrimonio indisponibile o disponibile sulla base delle
ordinarie norme del codice civile (in specie, degli artt. 823, 824,
826, 828 e 829); c) che al legislatore statale la Costituzione
riconosce titoli di legittimazione per la sola disciplina dei
"principi generali" per l’attribuzione di tali beni e per il relativo
regime giuridico, riconducibile alla materia "ordinamento civile",
nel quale e’ senza dubbio ricompresa la regolazione dei limiti e
delle modalita’ di alienazione dei suddetti beni nelle forme
negoziali, ma non certo il potere di disciplinare la sottrazione dei
medesimi al patrimonio delle autonomie territoriali».
In tale quadro si inscrive il regime proprietario delle risorse e
delle infrastrutture idriche, disciplinato dagli artt. 143, 144 del
d.lgs. n. 152 del 2006. Secondo tali disposizioni, le risorse idriche
debbono considerarsi di proprieta’ dello Stato e facenti parte del
demanio statale necessario di cui al primo comma dell’art. 822 cod.
civ., mentre le infrastrutture idriche possono essere di proprieta’
pubblica di tutti gli enti territoriali e, qualora lo siano in
concreto, appartengono al demanio eventuale dello Stato, delle
Regioni o degli enti locali, ai sensi degli artt. 822, secondo comma,
e 824, primo comma, cod. civ., risultando percio’ assoggettati al
regime giuridico stabilito dall’art. 823 anche per quanto concerne la
loro tutela. La Regione osserva che a tali norme debbono poi essere
aggiunte anche quelle contenute nell’art. 153, comma 1, e nell’art.
151, comma 2, lettera m), dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, le
quali stabiliscono, rispettivamente, che «le infrastrutture idriche
di proprieta’ degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono
affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della
gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne
assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal
relativo disciplinare» (art. 153, comma 1) e che «l’obbligo di
restituzione, alla scadenza dell’affidamento, delle opere, degli
impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in
condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione» (art.
151, comma 2, lettera m).
Lamenta la ricorrente che la norma censurata si limita a
prevedere il «rispetto» del «principio» «di piena ed esclusiva
proprieta’ pubblica delle risorse idriche», senza assicurare in alcun
modo la salvaguardia, ne’ sotto il profilo formale, ne’ sotto il
profilo sostanziale, della proprieta’ pubblica delle «infrastrutture
idriche», le quali ben possono essere di proprieta’ delle Regioni e
degli enti locali ed essere, per cio’ stesso, assoggettate al regime
del demanio regionale o locale. Formula, percio’, «due distinte ed
autonome questioni di legittimita’ costituzionale».
10.1.4.1. − Da un primo punto di vista – sostiene la Regione –
«e’ del tutto evidente che la normativa impugnata, imponendo agli
enti locali di conformare necessariamente il servizio idrico
integrato come servizio a rilevanza economica e, su questa base,
rendendone obbligatorio l’affidamento della relativa gestione
(infrastrutture comprese) a soggetti privati, ponendo altresi’ una
clausola di salvaguardia a tutela della «piena ed esclusiva
proprieta’ pubblica» a favore delle sole risorse idriche appartenenti
al demanio statale, determina il sostanziale "svuotamento" della
proprieta’ pubblica dei beni appartenenti al demanio idrico regionale
e locale; beni che risulteranno, per espresso disposto del richiamato
art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, necessariamente e ope
legis "affidati in concessione d’uso gratuita" al gestore privato del
servizio idrico integrato». Tale lettura del dato normativo
troverebbe conferma nella menzionata clausola di salvaguardia della
proprieta’ pubblica delle risorse idriche che il legislatore statale
ha avvertito la necessita’ di introdurre e che, ovviamente,
risulterebbe del tutto inutile qualora la disciplina impugnata non
implicasse la sostanziale espropriazione a favore dei privati dei
beni appartenenti al demanio idrico.
10.1.4.2. – La Regione sostiene, poi, che, anche a voler accedere
a quell’interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale
la disciplina in esame non imporrebbe affatto di conformare il
servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica (con i
relativi vincoli in ordine alle modalita’ di gestione e al necessario
affidamento a soggetti privati), la violazione della evocata norma
costituzionale – posta a garanzia del patrimonio delle Regioni e
degli enti locali territoriali – risulterebbe evidente per la mancata
previsione di una specifica clausola di salvaguardia a favore della
proprieta’ pubblica delle infrastrutture idriche di cui le Regioni e
gli enti locali siano in concreto titolari; clausola che, per essere
effettiva e corrispondere alla norma costituzionale, non potrebbe
limitarsi a fare salvo il solo profilo della titolarita’ formale del
bene, dovendo bensi’ consistere nella previsione della necessita’ del
consenso esplicito, da parte dell’ente titolare della proprieta’
delle infrastrutture interessate dal servizio idrico integrato,
rispetto alla scelta concernente l’eventuale conformazione del
servizio come servizio a rilevanza economica e il conseguente suo
affidamento a soggetti privati.
10.1.5. – Sono censurati, in quarto luogo – in riferimento
all’art. 117, primo comma, Cost. – i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008 e l’art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135
del 2009, nella parte in cui si riferiscono al servizio idrico
integrato, perche’ determinano «la violazione di quelle peculiari
norme poste dal diritto comunitario in relazione ai servizi di
interesse generale».
La ricorrente evoca, quali parametri interposti, gli artt. 14 e
106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (gia’ artt. 16
e 86 del Trattato CE). Secondo la prima di queste due disposizioni,
«fatti salvi l’articolo 4 del trattato sull’Unione europea e gli
articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione
dell’importanza dei servizi di interesse economico generale
nell’ambito dei valori comuni dell’Unione, nonche’ del loro ruolo
nella promozione della coesione sociale e territoriale, l’Unione e
gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell’ambito del
campo di applicazione dei trattati, provvedono affinche’ tali servizi
funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche
e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti». La
seconda disposizione, al paragrafo 2, prevede che: «Le imprese
incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale
o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme
dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti
in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in
linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.
Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura
contraria agli interessi dell’Unione».
Ad avviso della Regione, da tali norme comunitarie risulterebbe
che, «per perseguire gli obiettivi di coesione e solidarieta’
sociali, fatti propri anche dall’Unione europea, il diritto di questo
ordinamento esclude che ai servizi di interesse generale debbano
senz’altro applicarsi le norme del mercato interno». E, anzi, nella
materia considerata avrebbero predominanza gli obiettivi di coesione
sociale sottostanti ai servizi di interesse generale: quali che siano
le cause che impediscono al sistema concorrenziale di mercato di
raggiungere in modo soddisfacente e generalizzato questi obiettivi,
siano esse di diritto o di fatto, non devono essere applicate le
norme del mercato interno a questi servizi. L’eccezionalita’ del
trattamento giuridico dei servizi di interesse generale e’ confermata
– per la ricorrente – dalla Comunicazione della Commissione al
Parlamento europeo al Consiglio, al Comitato economico e sociale
europeo e al Comitato delle Regioni – Libro bianco sui servizi di
interesse generale – COM (2004) 374. In questo documento, infatti, si
evidenzia che «i servizi di interesse economico generale non sono
soggetti alla applicazione delle norme del Trattato nella misura in
cui cio’ risulti necessario per consentire di adempiere il loro
compito di interesse generale», il quale dunque «prevale […]
sull’applicazione delle norme del Trattato».
Tra i servizi di interesse generale – prosegue la Regione – e’
annoverabile anche il servizio idrico integrato, sia in base alla
Risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006, che dichiara
l’acqua «bene comune dell’umanita’», sia in base al gia’ citato Libro
bianco della Commissione sui servizi di interesse generale, nel
quale, al paragrafo 3.4., si menziona esplicitamente il servizio
idrico tra i servizi di interesse generale.
Le ragioni del dedotto contrasto delle norme censurate con
l’evocato parametro risiederebbero, dunque, nel fatto che esse,
«conformando il servizio idrico come servizio necessariamente a
rilevanza economica, abbiano imposto la applicazione delle regole del
mercato interno in via generale per tutto il territorio nazionale,
prescindendo del tutto dalle diverse condizioni e circostanze che
nelle diverse realta’ possono ravvisarsi». Cio’ che risulta precluso
dal diritto comunitario, in definitiva, non e’ la scelta di un
determinato modello per la conformazione dei servizi di interesse
generale, ma l’adozione di decisioni generalizzate che non siano in
grado di tenere conto delle peculiarita’ in cui i servizi devono
essere svolti. Tale conclusione emergerebbe espressamente dal
richiamato Libro bianco della Commissione europea sui servizi di
interesse generale, ove, al par. 4.3, si afferma che «le autorita’
pubbliche competenti degli Stati membri sono sostanzialmente libere
di decidere se fornire in prima persona un servizio di interesse
generale o se affidare tale compito ad un altro ente (pubblico o
privato)», e dalla citata Risoluzione del Parlamento europeo del 15
marzo 2006, secondo cui la gestione delle risorse idriche deve
basarsi «su un’impostazione partecipativa e integrata che coinvolga
gli utenti e i responsabili decisionali nella definizione delle
politiche in materia di acqua a livello locale e in modo
democratico».
La ricorrente osserva poi che la tendenza che matura nel contesto
delle istituzioni comunitarie e’ esattamente opposta rispetto
all’indirizzo del legislatore italiano e richiama, a tale scopo, la
Risoluzione dell’1l marzo 2004 del Parlamento europeo, la quale
afferma che «essendo l’acqua un bene comune dell’umanita’, la
gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle
norme del mercato interno».
La questione di legittimita’ costituzionale – conclude la difesa
regionale – risulterebbe svuotata del suo significato ove questa
Corte si risolvesse ad interpretare le disposizioni impugnate nel
senso di ritenerle applicabili soltanto nel caso in cui sia stata
compiuta l’opzione (affidata alla libera determinazione degli enti
titolari dell’erogazione del servizio idrico integrato) a favore
della conformazione del servizio come servizio a rilevanza economica,
senza pregiudicare dunque tale scelta.
10.2. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12,
n. 13 e n. 14 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2., 8.2. e 9.2.).
10.3. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la
Regione Marche ha sostanzialmente ribadito quanto gia’ dedotto nel
ricorso e ha replicato ai rilievi della controparte.
La ricorrente premette che la difesa statale prende in
considerazione, tra le censure proposte, soltanto quelle concernenti
la violazione della competenza legislativa regionale di cui al quarto
comma dell’art. 117 Cost., in materia di servizi pubblici locali,
nonche’ la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., delle quali
si limita a sostenere l’inammissibilita’, rilevando che la Regione
lamenterebbe «genericamente l’illegittimita’ costituzionale di leggi
statali», nonche’ «la contrarieta’ delle stesse all’ordinamento
comunitario», senza «indicare specificatamente la lesione di una
competenza ad essa attribuita». A tali rilievi, la Regione replica di
avere articolato dettagliati motivi di ricorso in relazione a tutte
le censure proposte.
Con riferimento alle singole questioni prospettate, la difesa
regionale precisa che: a) «solo ed esclusivamente nei casi in cui
l’attivita’ di prestazione del servizio sia conformata dai poteri
pubblici competenti in modo tale da creare la possibilita’ di un
utile – intendendo questa espressione nel modo piu’ ampio possibile –
si e’ dinanzi ad un mercato concorrenziale», con la conseguenza che,
«senza la possibilita’ di una qualche remunerativita’ o utilita’ per
chi si accolla lo svolgimento del servizio non e’ possibile neanche
immaginare in astratto l’esistenza di un mercato concorrenziale»; b)
in relazione al servizio idrico, l’autorita’ competente puo’
facilmente individuare le motivazioni che giustifichino, nelle
diverse situazioni di fatto, la conformazione del servizio come
servizio senza rilevanza economica, da un lato, perche’ si tratta di
garantire un diritto fondamentale dell’uomo quale il diritto
all’acqua e dunque di garantire a tutti la disponibilita’ di un bene
che non deve necessariamente essere assoggettato al regime di
mercato, dall’altro, perche’ va valutata, con riferimento alle
specifiche situazioni territoriali e locali, l’eventuale assenza di
imprese disponibili a offrire i servizi o comunque la necessita’ di
garantire il servizio a prezzi non in grado di remunerare
un’attivita’ svolta in forma imprenditoriale; c) deve essere escluso
che la conformazione del servizio idrico integrato quale servizio
avente o non avente rilevanza economica sia riconducibile alla
competenza esclusiva della legge statale in virtu’ dell’art. 117,
secondo comma, lettera p), Cost., perche’ l’art. 14 del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitivita’ economica), convertito dalla legge 30
luglio 2010, n. 122, al comma 27, dispone che siano «considerate
funzioni fondamentali dei comuni le funzioni di cui all’articolo 21,
comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42», il quale a sua volta,
alla lettera e), esclude da tali funzioni il servizio idrico
integrato; d) nel diritto tedesco spetta alle municipalita’ la scelta
– tra numerosi modelli organizzativi possibili – del modo in cui il
servizio idrico deve essere gestito; e) anche negli altri principali
ordinamenti europei «la responsabilita’ del servizio idrico – in
particolar modo in relazione alla attivita’ di distribuzione – e’
affidata alle istituzioni esponenziali delle comunita’ locali
(Francia, Portogallo, Spagna, Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio,
Danimarca)», le quali non sono tenute a conformare il servizio idrico
come un servizio a rilevanza economica.
10.4. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato
nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazione
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi nn. 10, 12, 13 e 14
del 2010 (supra: punti 6.3., 7.4., 8.4. e 9.4.).
11. – Con ricorso notificato il 29 gennaio 2010 e depositato lo
stesso giorno (r. ric. n. 16 del 2010), la Regione Piemonte ha
impugnato – in riferimento agli artt. 5, 114, 117, primo, secondo,
terzo, quarto e sesto comma, e 118, Cost., anche con riferimento agli
artt. 3 e 97, Cost. – i commi 2, 3, 4 e 8 dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008 – nel testo modificato dall’art. 15,
comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009 – nonche’ il comma 1-ter
del citato art. 15.
11.1. – La ricorrente, premessa una sintetica ricostruzione del
quadro normativo, formula diverse questioni.
11.1.1. – Sono censurati, in primo luogo – in riferimento agli
artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, quarto e sesto comma, e 118
Cost. – i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112
del 2008, nonche’ il comma 1-ter dell’art. 15 del decreto-legge n.
135 del 2009.
11.1.1.1. – Quanto alla dedotta violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost., la Regione premette che non appare possibile
«confondere il principio di concorrenza posto dal Trattato
dell’Unione europea, che disciplina i comportamenti delle
amministrazioni pubbliche una volta che abbiano deciso di rivolgersi
al mercato delle imprese, con l’idea di prevalenza o preferenza per
il mercato nell’organizzazione dei servizi pubblici indicata dalla
disciplina statale in esame, nella quale l’in house providing e’
configurata come un residuo negletto o un cattivo surrogato».
Il parametro evocato sarebbe, percio’, violato, perche’ il
diritto comunitario non consente che il legislatore nazionale spinga
la tutela della concorrenza fino comprimere il «principio di liberta’
degli individui o di autonomia – del pari costituzionale – degli enti
territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita’ di
operare ogni qualvolta la scelta che ritengono piu’ opportuna: cioe’
se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori
oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di
diversamente configurare l’offerta delle prestazioni di servizio
pubblico». In tal senso si e’ espresso – prosegue la ricorrente –
l’ordinamento comunitario, laddove «ha ritenuto in contrasto con la
disciplina europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori
pubblici (allora legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva
limitato la scelta tra i due criteri europei d’aggiudicazione degli
appalti». L’attuazione del diritto comunitario non consentirebbe al
legislatore interno di esprimere un autonomo indirizzo politico,
perche’ essa puo’ comportare solo «l’adozione di norme
esecutive (secundum legem)», con l’impossibilita’ di spingersi sino a
norme «integrative (praeter legem), tali cioe’ da ampliare, senza
derogarli, i contenuti normativi espressi attraverso la
legislazione». Nel caso di specie, «nessuna delle disposizioni
comunitarie vigenti infatti impone – come invece pretende l’art.
23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi commi secondo e
terzo – agli Stati membri l’attribuzione ad imprese terze come forma
ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi pubblici
locali».
11.1.1.2. – Quanto al parametro dell’art. 117, quarto comma,
Cost., esso sarebbe violato, perche’ le norme impugnate recano una
disciplina che non e’ riconducibile alla materia della tutela della
concorrenza, ma alla potesta’ legislativa residuale delle Regioni.
Con tali disposizioni, infatti, il legislatore statale «riconosce che
entrambe le forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici
(soggetto scelto con gara, organizzazione in house providing) sono
conformi all’ordinamento europeo ed in particolare alla disciplina
sulla concorrenza, ma con la norma nazionale giunge sino ad
individuare come forma preferenziale "ordinaria" l’affidamento del
servizio ad imprese terze, mentre relega la possibilita’
dell’affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via
d’eccezione».
Quanto ad altri eventuali titoli di competenza legislativa
statale, la Regione rileva, innanzi tutto, che la disciplina del
censurato art. 23-bis, cit. «e’ in tutto o in parte sostitutiva
dell’art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000» e ha percio’ per oggetto
unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza
economica, e non le prestazioni da assicurare agli utenti, con la
conseguenza che non puo’ essere richiamata la materia dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
rileva, inoltre, che la disciplina censurata non e’ riconducibile
alla potesta’ esclusiva statale in materia di funzioni fondamentali
di Comuni, Province e Citta’ metropolitane (art. 117, secondo comma,
lettera p, Cost.), «giacche’ la gestione dei predetti servizi non
puo’ certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed
indefettibile dell’ente locale».
In conclusione – sempre secondo la ricorrente – l’opzione tra le
diverse modalita’ di gestione del servizio pubblico «e’ una tipica
scelta d’organizzazione, in particolare di buon andamento del
servizio pubblico (art. 97, primo comma, Cost.), che proprio in
quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi oggetto
della disciplina dell’art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008,
cit., non puo’ riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla
legislazione regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti
territoriali minori (art. 117, sesto comma, Cost.)». Alle Regioni
spetta, inoltre «la legittimazione ad impugnare le leggi statali in
via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con
il riferimento alla prospettata lesione da parte della legge
nazionale della potesta’ normativa degli enti territoriali, con
affermazione della regione come ente di tutela avanti alla Corte
costituzionale del "sistema regionale delle autonomie territoriali"
(art. 114, secondo comma, Cost.)».
11.1.2. – Sono censurati, in secondo luogo – in riferimento agli
artt. 3, 97, 117, primo, secondo, terzo e quarto comma, e 118 Cost. –
i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008.
11.1.2.1. – Quanto ai parametri degli artt. 3 e 97 Cost., la
ricorrente rileva che essi sarebbero violati perche’ la disciplina
dell’affidamento del servizio pubblico locale contenuta nelle
disposizioni censurate risulta lesiva della «competenza delle regioni
e degli enti locali ove le s’intenda come disciplina ulteriore
rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo che da
tempo prevede il dovere di motivazione degli atti amministrativi
(art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in
attuazione del principio costituzionale di motivazione delle scelte
della amministrazioni pubbliche quanto meno nella cura di pubblici
interessi». Tale ulteriore disciplina, da intendersi come «deroga
alla disciplina generale sul procedimento e la motivazione degli atti
amministrativi» si porrebbe in violazione del principio di
ragionevolezza, poiche’ non e’ ravvisabile nel caso in esame alcun
interesse pubblico prevalente capace di fondare sia l’esenzione dal
generale dovere di motivazione per l’affidamento ad imprese terze,
sia la limitazione dei casi sui quali puo’ essere portata la
motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative. La
denunciata invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti
territoriali minori e’ addirittura enfatizzata – prosegue la Regione
– dalla precisazione che le disposizioni impugnate «prevalgono» su
tutte le «discipline di settore con esse incompatibili» e, in
particolare, su quelle della Regione Piemonte relative al servizio
idrico integrato (legge regionale 13 dicembre 1997, n. 13) e al
sistema integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
(legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24), che non limitano la scelta
tra le forme di gestione dei servizi compatibili con il diritto
comunitario.
La ricorrente non esclude, peraltro, che dell’art. 23-bis, commi
1 e 4, si possa dare «un’interpretazione adeguatrice capace di
sorreggere una sentenza interpretativa di rigetto della questione di
costituzionalita’ proposta ove s’intenda che tali disposizioni non
deroghino alla disciplina generale sul procedimento amministrativo,
dovendo l’amministrazione motivare qualunque scelta della forma di
gestione del servizio pubblico locale […] secondo
un’interpretazione che espunge dalle norme qualsiasi preferenza o
prevalenza in astratto di una forma di gestione sull’altra».
Anche seguendo tale percorso interpretativo, permarrebbe comunque
– ad avviso della Regione – l’illegittimita’ costituzionale parziale
dell’art. 23-bis, commi 3 e 4, decreto-legge n. 112 del 2008, «per
avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza normativa
della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi nella
definizione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art.
117, commi quarto e sesto, Cost.) poiche’ una parte della norma
prevede una disciplina particolare del procedimento di affidamento
della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui
l’in house providing».
A tali considerazioni la difesa regionale aggiunge che i commi
censurati contengono «norme di dettaglio cosi’ puntuali che non
sarebbero neppure compatibili con una competenza esclusiva dello
Stato […] e in violazione del principio di ragionevolezza (ex art.
3, secondo comma, Cost.) poiche’ della legge impugnata non si
comprendono le ragioni di una disciplina differenziata per l’ambito
locale dei pubblici servizi».
11.1.2.2. – Quanto ai parametri «dell’art. 117, commi primo,
secondo, terzo, quarto, Cost. con riferimento agli articoli 114, 117,
sesto comma, e 118, commi primo e secondo, Cost.», la ricorrente
rileva che essi sarebbero violati perche’ le disposizioni impugnate
ledono «l’autonomia costituzionale propria dell’intero sistema degli
enti locali», limitando la «capacita’ d’organizzazione e di autonoma
definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento
dei servizi pubblici locali». Secondo la Regione, in particolare, la
scelta delle forme di gestione ed affidamento del servizio pubblico
deve informarsi a valutazioni di efficienza, efficacia ed
economicita’ «che ciascuna organizzazione pubblica non puo’ che
esprimere con riferimento ai proposti standard di qualita’ che
intende offrire agli utenti, involgendo percio’ questioni di pura
autorganizzazione degli enti territoriali». In particolare, la
legislazione statale puo’ legittimamente imporre una determinata
forma di gestione di un servizio pubblico solo procedendo in via
preliminare ad avocare allo Stato la competenza sull’organizzazione
della gestione dei servizi sinora considerati locali.
11.1.2.3. – Quanto al parametro «dell’art. 117, secondo comma,
Cost. con riferimento all’art. 3, Cost.», la ricorrente sostiene che
la disciplina contenuta nei censurati commi 2, 3 e 4, anche ove fosse
ritenuta di tutela della concorrenza, difetterebbe di
proporzionalita’ e adeguatezza.
In particolare, la difesa regionale afferma che solo le
disposizioni di legge statale a «carattere generale che disciplinano
le modalita’ di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica» trovano il proprio «titolo di legittimazione»
nell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della
concorrenza») e «solo le predette disposizioni non possono essere
derogate da norme regionali». Tali considerazioni varrebbero, a
maggior ragione, per le disposizioni in esame, perche’ esse
stabiliscono «una disciplina immediatamente autoapplicativa ove
senz’altro pongono un criterio o principio di preferenza
nell’attribuzione ad imprese terze dei servizi pubblici locali».
11.1.3. – La ricorrente censura, in terzo luogo, il comma 8
dell’art. 23-bis, il quale intacca, senza indennizzo alcuno, il
patrimonio che gli enti locali hanno legittimamente realizzato o
acquisito mediante l’affidamento in house della gestione di servizi
pubblici locali, in conformita’ sia all’ordinamento comunitario sia a
quello interno.
11.1.3.1. – Lamenta la stessa ricorrente che la disposizione
impugnata viola gli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., «in
ragione di una generalizzata cessazione anticipata al 31 dicembre
2011 disposta ex lege per tutti gli affidamenti in house providing,
anche di quelli effettuati dagli enti territoriali in conformita’
all’ordinamento comunitario e italiano, con grave svalutazione dei
valori di mercato dei corrispettivi di cessione delle partecipazioni
a causa della simultanea attuazione su tutto il territorio nazionale
dell’alienazione del 40% di un numero rilevante di societa’ in mano
agli enti locali, che − unitamente agli affidamenti illegittimi − per
il solo servizio idrico integrato ammontano a circa n. 60 complessi
aziendali, di cui alcuni con valorizzazioni patrimoniali di notevole
consistenza (Torino, Milano, Bologna, le Regioni Puglia e Sardegna,
ecc.)». L’irragionevolezza della norma sarebbe anche nel fatto di
trattare in modo uguale fattispecie significativamente diverse e di
non aver scaglionato nel tempo il ricorso al mercato. Oltre a cio’,
la disposizione irragionevolmente realizza una sanatoria ex lege di
affidamenti illegittimi, «lesivi della concorrenza che la stessa
legge qui impugnata proclama di voler riaffermare, anche di quelli
piu’ eclatanti in difetto di ogni evidenza pubblica, ivi compresi
quelli gia’ oggetto di una sentenza di annullamento non ancora
passata in giudicato, persino ove sia stata incidentalmente
contornata da una pronuncia in tal senso della Corte di Giustizia
delle Comunita’ Europee». Si tratterebbe cioe’ di una norma che si
pone in contraddizione con i primi commi dello stesso art. 23-bis, i
quali realizzano un indirizzo politico ispirato alla "ultra
concorrenzialita’".
11.1.3.2. – Per la Regione, la stessa disposizione viola altresi’
gli artt. 5, 114, 117, secondo e sesto comma, 118, Cost., «anche con
riferimento all’art. 3, Cost.», i quali garantiscono l’autonomia
costituzionale della Regione Piemonte e degli enti locali, perche’ –
stabilendo la cessazione degli affidamenti rilasciati con procedure
diverse dall’evidenza pubblica salvo quelli conformi ai vincoli
ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova
disciplina – «cancella d’un tratto la legittimita’ […] di tutte le
gestioni di servizio pubblico in capo a societa’ mista ove la gara
per la scelta del socio privato – pure avvenuta con procedura
conforme all’ordinamento europeo ed italiano – abbia avuto ad oggetto
unicamente la partecipazione finanziaria, con acquisto di quote di
capitale, eventualmente accompagnate da patti parasociali allegati ai
bandi gara per l’individuazione di taluni amministratori in accordo
con il socio pubblico, non importa ora se minoritario o prevalente».
Cio’ determina una lesione della competenza degli enti territoriali
«sull’organizzazione degli stessi anche con riferimento ad enti
strumentali […] o a partecipazioni di minoranza».
11.2. – Con separata istanza, la Regione Piemonte ha richiesto la
riunione del procedimento con quello introdotto con il ricorso n. 77
del 2008.
11.3. – Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12,
n. 13, n. 14 e n. 15 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2., 8.2.,
9.2. e 10.2.).
11.4. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza la
Regione Piemonte ha sostanzialmente ribadito quanto gia’ sostenuto
nel ricorso, aggiungendo che, poiche’ la definizione della questione
di costituzionalita’ dipende dall’interpretazione del diritto
dell’Unione europea, appare possibile «ritenere che la Corte
costituzionale – ove non accolga i motivi di ricorso […] – debba
proporre la seguente questione pregiudiziale avanti la Corte di
giustizia […]: "se sia conforme al diritto europeo – al principio
di concorrenza ed al principio d’autonomia degli enti territoriali
(art. 5 Trattato) – la norma dello Stato italiano che impone
l’attribuzione a terzi come forma ordinaria e preferenziale
d’affidamento dei servizi pubblici locali, e la norma che relega la
rilevanza giuridica dell’in house providing ai soli casi d’eccezione
tassativamente individuati dal legislatore statale stesso con una
conseguente limitazione dei casi ammessi dalla giurisprudenza

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni
di legittimita’ costituzionale promosse dalle Regioni Emilia-Romagna
(ricorso n. 69 del 2008) e Liguria (ricorso n. 72 del 2008), nonche’
dal Presidente del Consiglio dei ministri (ricorso n. 51 del 2010);
Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 23-bis, comma
10, lettera a), prima parte, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria) – articolo aggiunto dalla legge di
conversione 6 agosto 2008, n. 133 – sia nel testo originario, sia in
quello modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge 25
settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di
obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di
giustizia delle Comunita’ europee), convertito, con modificazioni,
dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, limitatamente alle parole:
«l’assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali al patto di stabilita’ interno e»;
Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 4, commi 1, 4,
5, 6 e 14, della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39
(Istituzione della Autorita’ d’Ambito per l’esercizio delle funzioni
degli enti locali in materia di risorse idriche e gestione dei
rifiuti ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 –
Norme in materia ambientale);
Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 1,
della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
della Regione Campania – Legge finanziaria anno 2010);
Dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 23-bis, nel testo
originario, nonche’ dei commi 2, 3 e 4 dello stesso art. 23-bis, nel
testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del
2009, promosse, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.,
dalla Regione Piemonte, con i ricorsi indicati in epigrafe;
Dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis, sia nel testo
originario (ricorso n. 77 del 2008) sia nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, nonche’ del
comma 10 dello stesso articolo, nel testo originario, promosse, in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dalla Regione Piemonte, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis, nel testo
modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009,
promossa, in riferimento all’art. 117, primo, secondo e quarto comma,
Cost., dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale del comma 8 dell’art. 23-bis, nel testo originario,
promossa, in riferimento agli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118
Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso n. 77 del 2008 indicato
in epigrafe;
Dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale del comma 8 dell’art. 23-bis, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, promosse,
con i ricorsi indicati in epigrafe: in riferimento all’art. 117,
primo comma, Cost., dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna (ricorso
n. 13 del 2010); in riferimento agli artt. 117, primo e secondo
comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., dalle Regioni Liguria
(ricorso n. 12 del 2010) e Umbria; in riferimento agli artt. 114,
117, quarto comma, e 118 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso
n. 13 del 2010); in riferimento agli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto
comma, e 118, Cost., dalla Regione Piemonte (ricorso n. 16 del 2010;
questione riportata al punto 13.6. del Considerato in diritto);
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale del comma 9 dell’art. 23-bis, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, promossa,
in riferimento all’art. 117, primo e quarto comma, dalla Regione
Emilia-Romagna, con il ricorso n. 13 del 2010 indicato in epigrafe;
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge n. 135
del 2009, nella parte in cui si riferisce al servizio idrico
integrato, promossa, in riferimento all’art. 119, sesto comma, Cost.,
dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, nel testo originario, promossa, in riferimento all’art. 117,
quarto comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso n. 77 del
2008 indicato in epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dei commi 2, lettera b), e 3 dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del
decreto-legge n. 135 del 2009, promosse, in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., dalle Regioni
Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, nel testo originario, promosse, con i ricorsi indicati in
epigrafe: in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla
Regione Liguria (ricorso n. 72 del 2008); in riferimento agli artt. 3
e 117, secondo comma, Cost., dalla Regione Piemonte (ricorso n. 77
del 2008);
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008) e in quello
modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009
(ricorso n. 16 del 2010), promosse, in riferimento agli artt. 114,
117, primo, secondo, terzo, quarto e sesto comma, e 118, primo e
secondo comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge
n. 135 del 2009, promosse, con i ricorsi indicati in epigrafe: in
riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. e agli artt. 3, comma 1,
4, commi 2 e 4, della Carta europea dell’autonomia locale di cui alla
legge 30 dicembre 1989, n. 439 (Ratifica ed esecuzione della
convenzione europea relativa alla Carta europea dell’autonomia
locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985), dalle Regioni
Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria; in riferimento all’art.
117, secondo e quarto comma, Cost., dalla Regione Toscana; in
riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo e secondo
comma, Cost., dalle Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e
Umbria; in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla
Regione Piemonte, (ricorso n. 16 del 2010);
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dei commi 2, 3, 4 e 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge
n. 135 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma,
Cost., dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008
– nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n.
135 del 2009 – e dell’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge n. 135
del 2009, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma,
Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso n. 16 del 2010 indicato
in epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008
– nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n.
135 del 2009 – e dell’art. 15, comma 1-ter, del medesimo
decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in cui si riferiscono al
servizio idrico integrato, promosse, in riferimento all’art. 117,
primo comma, Cost. e agli artt. 14 e 106 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea, nonche’ all’art. 117, secondo
comma, lettera e), quarto e sesto comma, Cost., dalla Regione Marche,
con il ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
del comma 3 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel
testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del
2009, promossa, in riferimento agli artt. 117, primo comma, Cost. e
agli artt. 3, comma 1, 4, commi 2 e 4, della Carta europea
dell’autonomia locale, nonche’ agli artt. 117, quarto comma, e 118,
primo e secondo comma, Cost., dalla Regione Emilia-Romagna, con il
ricorso n. 13 del 2010 indicato in epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dei commi 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008,
sia nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008) sia nel testo
modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009
(ricorso n. 16 del 2010), promosse, in riferimento agli artt. 3 e
117, quarto e sesto comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
del comma 4-bis dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008,
nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135
del 2009, promossa, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost.,
dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 13 del 2010 indicato
in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
del comma 7 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel
testo originario, promossa, in riferimento agli artt. 117, quarto
comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., dalle Regioni
Emilia-Romagna (ricorso n. 69 del 2008) e Liguria (ricorso n. 72 del
2008), con i ricorsi indicati in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
del comma 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel
testo originario, promossa, in riferimento agli artt. 3, 41, 114,
117, secondo comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso n.
77 del 2008 indicato in epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
del comma 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel
testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del
2009, promosse, con i ricorsi indicati in epigrafe: in riferimento
all’art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e quarto comma,
Cost., dalla Regione Toscana; in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera e), e quarto comma, Cost., dalle Regioni Liguria
(ricorso n. 12 del 2010) e Umbria; in riferimento agli artt. 117,
quarto comma, e 119, sesto comma, Cost., dalla Regione
Emilia-Romagna, (ricorso n. 13 del 2010); in riferimento agli artt.
3, 5, 42, 114, 117, secondo e sesto comma, e 118 Cost., dalla Regione
Piemonte, con il ricorso n. 16 del 2010;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
del comma 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 – nel
testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del
2009 – questione riportata al punto 13.7. del Considerato in diritto,
promossa, in riferimento agli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto comma,
e 118 Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso n. 16 del 2010
indicato in epigrafe.
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
del comma 10, lettere a), seconda parte, e b), dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo originario, promosse, con i
ricorsi indicati in epigrafe: in riferimento all’art. 117, sesto
comma, Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 69 del 2008),
Liguria (ricorso n. 72 del 2008) e Piemonte (ricorso n. 77 del 2008);
in riferimento agli artt. 3, 117, secondo e quarto comma, e 120
Cost., dalla Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008);
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
del comma 10, lettere a), seconda parte, e b), dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 15,
comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, promossa, in riferimento
all’art. 117, secondo e quarto comma, Cost., dalla Regione
Emilia-Romagna, con il ricorso n. 13 del 2010 indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Gallo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 17 novembre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Allegato

Ordinanza letta all’udienza del 5 ottobre 2010

Rilevato che la Regione Campania risulta essersi costituita nel
giudizio di cui al ricorso n. 51 del 2010 sulla base di
autorizzazione a resistere conferita, con decreto dirigenziale n. 231
del 26 marzo 2010, del coordinatore dell’Area generale di
coordinamento – Avvocatura, su proposta del dirigente del settore
contenzioso amministrativo e tributario della Regione medesima;
che, a norma dell’art. 32, secondo comma, della legge n. 87
del 1953 – cui si conforma l’art. 51, comma 1, lettera f), della
legge regionale 28 maggio 2009, n. 6 (Statuto della Regione Campania)
-, «La questione di legittimita’ costituzionale, previa deliberazione
della Giunta regionale […], e’ promossa dal Presidente della
Giunta»;
che nella competenza ad autorizzare la promozione dei giudizi
di costituzionalita’ deve ritenersi compresa anche la deliberazione
di costituirsi in tali giudizi, data la natura politica della
valutazione che i due atti richiedono (ex multis, ordinanza letta
all’udienza del 25 maggio 2010 e relativa al giudizio deciso con la
sentenza n. 225 del 2010);
che, pertanto, la costituzione della Regione Campania e’
inammissibile.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’inammissibilita’ della costituzione della Regione
Campania.

Francesco AMIRANTE, Presidente

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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