Corte Costituzionale sentenza n. 341 SENTENZA 17 – 26 novembre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 48 del 1-12-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 2, commi
191 e 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2010), promosso dalla Regione Toscana con ricorso
notificato il 26 febbraio 2010, depositato in cancelleria il 3 marzo
2010 ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2010 il giudice
relatore Alessandro Criscuolo;
Uditi l’avvocato Nicoletta Gervasi per la Regione Toscana e
l’avvocato dello Stato Carlo Sica per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Toscana, con ricorso notificato il 25 febbraio
2010 presso l’Avvocatura generale dello Stato e il 26 febbraio 2010
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, poi depositato il 3
marzo 2010, ha impugnato, tra l’altro, l’art. 2, commi 191 e 240,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2010), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2009, n.
302.
1.1. – L’art. 2, comma 191, della citata legge e’ censurato
«nella parte in cui dispone che la delibera del consiglio comunale di
approvazione del protocollo d’intesa corredato dello schema
dell’accordo di programma relativo agli immobili da trasferire
costituisce variante allo strumento urbanistico generale che
prescinde dalla verifica di conformita’ con la pianificazione
sovraordinata».
Ad avviso della ricorrente, il primo periodo di detta norma viola
l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Essa osserva che il
menzionato precetto richiama la disposizione di cui all’art. 58,
comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), la quale, in senso del tutto analogo,
prevedeva che «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la
conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone
espressamente la destinazione urbanistica: la deliberazione del
consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e
valorizzazione costituisce variante allo strumento urbanistico
generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non
necessita di verifiche di conformita’ agli eventuali atti di
pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle
regioni».
La Regione Toscana precisa di avere impugnato il detto art. 58,
comma 2, in quanto lesivo delle competenze regionali in materia di
governo del territorio, nella misura in cui consentiva che la
variante, automaticamente apportata con l’approvazione del piano
delle alienazioni da parte del consiglio comunale, non necessitasse
di verifiche di conformita’ rispetto agli atti della pianificazione
provinciale e regionale, cosi’ incidendo sulla legislazione regionale
in materia di governo del territorio che, nel disciplinare il
procedimento di adozione ed approvazione degli atti di pianificazione
territoriale, ha stabilito la necessaria conformita’ urbanistica
degli atti comunali – piani e varianti – rispetto alle previsioni
degli atti regionali indicati.
La ricorrente ricorda che questa Corte, con sentenza n. 340 del
2009, ha accolto la tesi ora esposta e, per conseguenza, ha
dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del citato art. 58, comma
2, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 133 del 2008, per contrasto con l’art. 117, terzo comma,
Cost.
Ad avviso della Regione, gli argomenti esposti nella menzionata
sentenza ben possono valere con riguardo all’analoga norma censurata
in questa sede. Essa, infatti, prevede una specifica procedura per la
vendita e la valorizzazione degli immobili militari, anche attraverso
la sottoscrizione di appositi accordi di programma con i Comuni
interessati. Qualora si proceda tramite detti accordi, e’ previsto
che – ai sensi del ricordato art. 58, comma 2, del d.l. n. 112 del
2008 (gia’ dichiarato costituzionalmente illegittimo) –
l’approvazione, da parte del Comune interessato, del protocollo
d’intesa e dell’allegato accordo di programma costituisca variante,
che prescinde dalla valutazione di conformita’ con la pianificazione
sovraordinata di livello provinciale e regionale. Tale verifica di
conformita’, invece, e’ imposta dalla legge della Regione Toscana del
3 gennaio del 2005, n. 1, recante «Norme per il governo del
territorio».
Verrebbe cosi’ incisa la legislazione regionale in materia di
governo del territorio, con violazione dell’art. 117, comma terzo,
Cost.
1.2. – La Regione Toscana, inoltre, denunzia l’illegittimita’
costituzionale dell’art. 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009,
nella parte in cui dispone che l’individuazione delle situazioni a
piu’ elevato rischio idrogeologico, da risanare attraverso le risorse
di cui alla delibera del CIPE 2 (recte: 6) novembre 2009, sono
individuate dal Ministero dell’ambiente, sentite le autorita’ di
bacino e il dipartimento della protezione civile della Presidenza del
Consiglio dei ministri, per violazione dell’art. 117, terzo comma, e
dell’art. 118, primo comma, Cost., nonche’ per contrasto con il
principio di leale collaborazione e il principio di sussidiarieta’.
Dopo aver riportato il tenore della norma, la ricorrente ne
censura la prima parte perche’ l’individuazione delle situazioni a
piu’ elevato rischio idrogeologico da rimuovere e’ effettuata dal
Ministero dell’ambiente, sentite le autorita’ di bacino e la
Protezione civile, ma non la Regione. Quest’ultima, dunque, non e’
chiamata a svolgere alcun ruolo in merito alla individuazione delle
situazioni di criticita’ idrogeologica presenti nel proprio
territorio ed alla conseguente ammissione ai contributi per il
risanamento.
Ad avviso della ricorrente cio’ sarebbe lesivo delle indubbie
competenze delle Regioni in materia di governo del territorio, ai
sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., competenze certamente
coinvolte dalla previsione in esame. Al riguardo e’ richiamata la
sentenza della Corte costituzionale n. 232 del 2009, con la quale si
e’ chiarito che le attivita’ relative alla difesa del suolo, anche in
relazione alla salvaguardia per i rischi derivanti dal dissesto
idrogeologico, rientrano nella materia della tutela dell’ambiente, di
esclusiva competenza statale. Tuttavia la stessa sentenza ha
precisato che «In relazione alla possibile influenza dell’attivita’
in questione su attribuzioni regionali in materie di competenza
concorrente o residuale, e’ bensi’ necessario un coinvolgimento delle
Regioni», quanto meno prevedendo l’espressione di un parere per
quelle di volta in volta interessate ovvero attraverso quello della
Conferenza unificata; ed ha aggiunto che le competenze in materia di
difesa del suolo da parte dello Stato «sono sicuramente tali da
produrre effetti indiretti sulla materia del governo del territorio e
dunque il loro esercizio richiede un cointeressamento delle Regioni
che deve essere realizzato nella forma del parere della Conferenza
unificata».
Infine, la ricorrente osserva che, con specifico riferimento al
risanamento delle situazioni di dissesto idrogeologico, la sentenza
de qua ha stabilito che «Quanto al principio di leale collaborazione,
la sua salvaguardia e’ assicurata dalla necessita’ del parere della
Conferenza unificata per l’esercizio delle funzioni di programmazione
e finanziamento, quale risulta a seguito della declaratoria di
parziale illegittimita’ della lettera a) dello stesso art. 58, comma
3. Infatti, il parere sara’ richiesto anche in caso di programmazione
e finanziamento riguardanti la prevenzioni del rischio
idrogeologico».
Pertanto, ad avviso della Regione Toscana, alla luce dei suddetti
principi la norma censurata e’ illegittima, non prevedendo per le
Regioni alcun coinvolgimento, invece necessario per la corretta
indicazione della priorita’ degli interventi proprio in virtu’ delle
specifiche competenze regionali in merito alle caratteristiche del
rispettivo territorio e allo stretto rapporto con gli enti locali.
Anche qualora fossero addotte esigenze di sussidiarieta’ per la
rilevanza degli interventi in questione ai fini della tutela della
sicurezza dei cittadini, resterebbe pur sempre necessario prevedere
un meccanismo partecipativo delle Regioni, a salvaguardia delle
competenze di queste in materia di governo del territorio. La norma,
invece, limita la partecipazione al Dipartimento della Protezione
civile nazionale e alle autorita’ di bacino, di cui all’art. 63 del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), cioe’ alle autorita’ dei bacini nazionali, che, pero’,
non sono state costituite, sicche’ i piani straordinari introdotti
dalla norma censurata saranno adottati dal Ministero dell’ambiente
sentita la Protezione civile nazionale.
Ad avviso della ricorrente, il dubbio sulla legittimita’
costituzionale della norma non appare superabile neppure alla luce
della previsione contenuta nell’ultimo periodo di essa (che non si
contesta).
Infatti, tale disposizione delinea, in materia, un ruolo della
Regione che puo’ sottoscrivere un apposito accordo di programma, ma
soltanto a fronte dell’impegno finanziario della Regione stessa
nell’intervento di risanamento. La previsione normativa, a ben
vedere, confermerebbe l’illegittimita’ costituzionale della prima
parte contestata, perche’ consentirebbe alle Regioni di partecipare
all’individuazione delle situazioni di dissesto idrogeologico da
risanare solo qualora l’Amministrazione regionale proceda al
cofinanziamento dell’intervento.
Da quanto sopra deriverebbero il contrasto della norma censurata
con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche’ la
violazione del principio di leale collaborazione e del principio di
sussidiarieta’.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e’ intervenuto nel
giudizio di legittimita’ costituzionale con memoria depositata il 6
aprile 2010, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o
infondato.
La difesa dello Stato, premesso che l’art. 2, comma 191, della
legge n. 191 del 2009 andrebbe letto insieme con i precedenti commi
189 e 190 (di cui sono riportati i disposti), sostiene che la norma
censurata si colloca nell’ambito di un complesso di disposizioni che
autorizzano il Ministro della difesa, al fine di reperire le risorse
necessarie a soddisfare le esigenze infrastrutturali e alloggiative
delle Forze armate attraverso la valorizzazione e l’alienazione degli
immobili militari, a promuovere la costituzione di uno o piu’ fondi
comuni d’investimento immobiliare, d’intesa con i Comuni con i quali
saranno sottoscritti accordi di programma per la valorizzazione di
detti immobili.
L’interveniente aggiunge che l’art. 2, comma 191, della legge n.
191 del 2009, come si pone in evidenza anche nel ricorso, e’ connesso
all’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, il cui comma 2 e’ stato pero’
dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza di questa
Corte n. 340 del 2009, emessa pochi giorni dopo l’approvazione della
legge n. 191 del 2009. Il venir meno dell’art. 58, comma 2,
renderebbe «di fatto inefficace la disposizione impugnata».
Andrebbe considerato, inoltre, che in tale materia e’ intervenuto
il decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti
concernenti enti locali), convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010, n. 42 (Disposizioni
per la funzionalita’ degli enti locali), e precisamente l’art.
4-decies di detta normativa, disposizione che «appare di indubbio
rilievo in relazione ai motivi di ricorso, andando ad incidere sul
complesso normativo sospettato di incostituzionalita’».
In ordine, poi, all’impugnazione dell’art. 2, comma 240, della
legge n. 191 del 2009, la difesa dello Stato osserva che la
disposizione destina ai piani straordinari, diretti a rimuovere le
situazioni a piu’ elevato rischio idrogeologico, le risorse, gia’
assegnate dalla delibera CIPE in data 6 novembre 2009, per interventi
di risanamento ambientale, a valere sulle disponibilita’ del Fondo
infrastrutture e del Fondo strategico per il Paese a sostegno
dell’economia reale. Tali risorse potranno essere utilizzate anche
tramite accordi di programma, sottoscritti dalle Regioni interessate
e dal Ministero dell’ambiente, con cui sara’ definita la quota di
cofinanziamento regionale destinata agli interventi di risanamento
ambientale.
La ricorrente lamenta il mancato coinvolgimento delle Regioni per
l’individuazione delle situazioni di criticita’ idrogeologica
presenti nei rispettivi territori e per la conseguente ammissione ai
contributi destinati al risanamento. Cio’ alla luce di quanto deciso
dalla sentenza di questa Corte n. 232 del 2009, con la quale si e’
stabilito che le attivita’ connesse agli interventi in tema di difesa
del suolo possono avere impatto su materie di competenza regionale,
onde sarebbe necessario un coinvolgimento delle Regioni, quanto meno
nella forma dell’espressione del parere.
Ad avviso della difesa dello Stato, pero’, va posto in rilievo
che l’individuazione delle situazioni a piu’ elevato rischio
idrogeologico – rientrante nell’ambito della tutela dell’ambiente, di
competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. – e’ attivita’ preliminare rispetto agli interventi
per la difesa del suolo coordinati dal Governo e per i quali e’
richiesto il parere delle Regioni.
Tale attivita’ non potrebbe che essere svolta a livello centrale,
richiedendo l’individuazione di criteri uniformi di valutazione in
ambito nazionale e basandosi su studi scientifici volti alla
definizione delle condizioni di rischio e realizzati dalle competenti
strutture statali.
Pertanto, la disposizione censurata non violerebbe le prerogative
regionali, essendo diretta a tutelare interessi di rilevanza
nazionale, quali la prevenzione dei rischi ambientali e la
salvaguardia dell’incolumita’ della popolazione.

Considerato in diritto

1. – La Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe, ha
promosso, tra l’altro, questioni di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 2, commi 191 e 240, della legge 23 dicembre 2009, n.
191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), lamentando la
violazione degli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, della
Costituzione, nonche’ del principio di leale collaborazione e del
principio di sussidiarieta’.
2. – Riservata a separate pronunzie la decisione sulle altre
questioni di legittimita’ costituzionale sollevate con il ricorso
della Regione, si deve osservare in via preliminare, con riguardo
alla questione relativa alla legittimita’ costituzionale dell’art. 2,
comma 191, della legge n. 191 del 2009, che l’art. 2268, comma 1, n.
1083, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice
dell’ordinamento militare) ha abrogato alcuni commi del citato art. 2
della legge n. 191 del 2009, tra cui i commi 189, 190, 191, 192, 193
e 194.
Ai sensi dello stesso art. 2268 l’abrogazione decorre dalla data
di entrata in vigore del codice e del regolamento. Tale data, a norma
del successivo art. 2272, e’ stabilita in cinque mesi dopo la
pubblicazione del codice nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta l’8
maggio 2010. Pertanto l’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del
2009 e’ ormai abrogato a far tempo dall’8 ottobre 2010.
Tuttavia, avuto riguardo all’arco cronologico non breve (circa
nove mesi) durante il quale la norma e’ rimasta in vigore, nonche’ al
difetto di ogni prova in ordine alla mancata applicazione di essa
durante il periodo della sua vigenza, va escluso che possa essere
emessa una declaratoria di cessazione della materia del contendere,
onde si deve procedere allo scrutinio nel merito delle censure
avanzate in parte qua con il ricorso (ex plurimis: sentenze n. 272 e
n. 164 del 2009).
3. – La difesa dello Stato, prendendo le mosse dal rilievo che la
norma censurata si apre con il richiamo all’art. 58 del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita’, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, osserva che, con
sentenza di questa Corte n. 340 del 2009, e’ stata dichiarata
l’illegittimita’ costituzionale del comma 2 di detto articolo 58
(esclusa la proposizione iniziale, secondo cui «L’inserimento degli
immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come
patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione
urbanistica»). Tale pronuncia, ad avviso dell’Avvocatura generale,
avrebbe «di fatto» reso inefficace la disposizione impugnata in
questa sede.
La tesi non puo’ essere condivisa.
L’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, era composto da nove
commi. Di questi, soltanto il comma 2 e’ stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 340 del 2009. Le
censure mosse contro gli altri commi sono state dichiarate
inammissibili o non fondate. Ne deriva che il contenuto precettivo
del citato articolo e’ rimasto in larga parte immutato, e cio’
esclude la presunta perdita di efficacia della disposizione qui
impugnata, perdita, peraltro, soltanto affermata, ma non dimostrata
dall’interveniente.
Si deve aggiungere che il richiamo di detta disposizione all’art.
58 del d.l. n. 112 del 2008 si rivela, in realta’, pleonastico per
quanto rileva in questa sede, perche’ il disposto del comma qui
censurato non si esaurisce in tale richiamo, ma prosegue disponendo
che «la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del
protocollo d’intesa corredato dello schema dell’accordo di programma,
di cui al comma 190, costituisce autorizzazione alle varianti allo
strumento urbanistico generale, per le quali non occorre la verifica
di conformita’ agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di
competenza delle province e delle regioni, salva l’ipotesi in cui la
variante comporti variazioni volumetriche superiori al 30 per cento
dei volumi esistenti. Per gli immobili oggetto degli accordi di
programma di valorizzazione che sono assoggettati alla disciplina
prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e’ acquisito il parere
della competente soprintendenza del Ministero per i beni e le
attivita’ culturali, che si esprime entro trenta giorni».
Come si vede, pur prescindendo dal richiamo all’art. 58 del d.l.
n. 112 del 2008, la norma censurata ha un suo autonomo contenuto
precettivo, in parte analogo a quello dettato dalla disposizione
richiamata, ma non coincidente con questa. Basta considerare che,
mentre il citato art. 2, comma 191, ha per oggetto i soli beni
immobili militari, l’art. 58 concerneva genericamente i beni
immobili; mentre la classificazione come patrimonio disponibile dello
Stato consegue, per gli immobili militari, all’inserimento degli
stessi nei decreti del Ministero della difesa, per gli altri immobili
derivava, ai sensi dell’art. 58, dall’inserimento nel piano; mentre
la verifica di conformita’ agli atti di pianificazione sovraordinata
e’ richiesta dall’art. 2, comma 191, nell’ipotesi di variante che
comporti variazioni volumetriche superiori al 30 per cento dei volumi
esistenti, la stessa verifica, ai sensi dell’art. 58, comma 2, era
richiesta nel caso di varianti che comportassero variazioni
volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal
medesimo strumento urbanistico vigente. La disposizione in esame,
dunque, e’ dotata di propria efficacia normativa, sulla quale non ha
pronunciato la sentenza n. 340 del 2009. Anche per questo profilo,
quindi, la tesi dell’Avvocatura generale e’ priva di fondamento.
3.1 – La difesa dello Stato eccepisce anche che, nella materia de
qua, e’ intervenuto l’art. 4-decies del decreto-legge 25 gennaio
2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali), convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010,
n. 42. Tale disposizione, ad avviso dell’interveniente, sarebbe «di
indubbio rilievo in relazione ai motivi di ricorso andando ad
incidere sul complesso normativo sospettato di incostituzionalita’».
Si tratta, tuttavia, di un assunto generico, perche’ non espone
alcun argomento diretto a spiegare le ragioni del rilievo attribuito
alla norma in relazione «ai motivi di ricorso». La resistente si
limita a trascrivere la norma stessa, che contiene riferimenti
all’art. 2, commi 189 e 195, della legge n. 191 del 2009, ma non al
comma 191, e soprattutto non chiarisce se e quali rapporti sussistano
tra le due disposizioni.
Da cio’ deriva l’inammissibilita’ dell’eccezione.
4. – Nel merito, la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del 2009 e’ fondata.
La norma censurata e’ stata riportata nel punto 3 che precede.
Essa, come emerge dal precedente comma 189 dello stesso art. 2,
concorre allo scopo di ottenere, attraverso la valorizzazione e
l’alienazione degli immobili militari, le risorse necessarie a
soddisfare le esigenze infrastrutturali e alloggiative delle Forze
armate, mediante la costituzione di uno o piu’ fondi di investimento
immobiliare, d’intesa con i comuni con i quali sono sottoscritti gli
accordi di programma di cui al successivo comma 190. Tuttavia essa va
ad incidere sulla materia del governo del territorio, rientrante
nella competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni, allorche’
attribuisce alla delibera del consiglio comunale, sopra indicata,
efficacia di autorizzazione alle varianti allo strumento urbanistico
generale, per le quali non occorre verifica di conformita’ agli
eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle
province e delle regioni (salva la specifica ipotesi pure prevista).
Come questa Corte ha piu’ volte osservato (ex plurimis: sentenze
n. 340, n. 237 e n. 200 del 2009), ai sensi dell’art. 117, terzo
comma, ultimo periodo, Cost., nelle materie di legislazione
concorrente lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi
fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la
normativa di dettaglio. La relazione tra normative di principio e di
dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere
criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione
degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti
obiettivi.
Nel caso in esame la norma de qua, stabilendo l’effetto di
variante dianzi indicato ed escludendo la necessita’ che la variante
stessa debba essere sottoposta alle suddette verifiche di conformita’
(con l’eccezione indicata, che pure contempla specifiche percentuali
volumetriche), introduce una disciplina che non e’ finalizzata a
prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa
dettagliata che non lascia spazi d’intervento al legislatore
regionale, ponendosi cosi’ in contrasto con il menzionato parametro
costituzionale.
Sulla base delle considerazioni che precedono deve essere
dichiarata l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 2, comma 191,
della legge n. 191 del 2009, per contrasto con l’art. 117, comma
terzo, Cost.
La declaratoria va estesa, per coerenza logica, anche all’ultimo
periodo della norma, secondo cui «Per gli immobili oggetto degli
accordi di programma di valorizzazione che sono assoggettati alla
disciplina prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di
cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e’ acquisito il
parere della competente soprintendenza del Ministero per i beni e le
attivita’ culturali, che si esprime entro trenta giorni». Infatti, si
tratta di disposizione strettamente collegata alla precedente, come
e’ reso palese dal richiamo agli «immobili oggetto degli accordi di
programma di valorizzazione», sicche’ la caducazione di quel disposto
non ne consente l’autonoma sopravvivenza.
5. – La ricorrente ha promosso, inoltre, questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 2, comma 240, della legge n.
191 del 2009, nella parte in cui dispone che l’individuazione delle
situazioni a piu’ elevato rischio idrogeologico, da risanare
attraverso le risorse di cui alla delibera del CIPE 2 (recte: 6) del
novembre 2009, e’ compiuta dalla direzione generale competente del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
sentite le autorita’ di bacino e il dipartimento della protezione
civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tale norma
violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., e
si porrebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione e
il principio di sussidiarieta’.
La Regione contesta la prima parte della norma, lamentando che ad
essa non sarebbe attribuito alcun ruolo per l’individuazione delle
situazioni di criticita’ idrogeologica presenti nel proprio
territorio e per la conseguente ammissione ai contributi per il
risanamento. Cio’ sarebbe lesivo delle competenze regionali in
materia di governo del territorio, ai sensi dell’art. 117, terzo
comma, Cost.
L’ente territoriale menziona la sentenza di questa Corte n. 232
del 2009, con la quale sarebbe stato chiarito che le attivita’
relative alla difesa del suolo, anche con riguardo ai rischi
derivanti dal dissesto idrogeologico, rientrano nella materia della
tutela dell’ambiente, che e’ di competenza esclusiva statale. Con la
medesima sentenza, pero’, sarebbe stato precisato che, in relazione
alla possibile influenza dell’attivita’ in questione su attribuzioni
regionali in materie di competenza concorrente o residuale, sarebbe
necessario un coinvolgimento delle Regioni, quanto meno attraverso
l’espressione di un parere da parte delle stesse Regioni interessate
ovvero da parte della Conferenza unificata.
La ricorrente richiama poi altre parti della sentenza, relative
alle generali funzioni di programmazione e di finanziamento, per le
quali sarebbe stata ritenuta la necessita’ del parere della detta
Conferenza, anche in ossequio al principio di leale collaborazione.
Inoltre, rileva che, anche qualora fossero addotte esigenze di
sussidiarieta’ per la rilevanza degli interventi in questione a fini
di tutela della sicurezza e dell’incolumita’ dei cittadini, sarebbe
pur sempre necessario garantire un meccanismo partecipativo delle
Regioni, per la salvaguardia delle loro competenze in materia di
governo del territorio.
Ne’ sarebbe invocabile la prevista partecipazione delle autorita’
di bacino, perche’ queste non sarebbero state costituite, sicche’ i
piani straordinari introdotti dalla norma censurata «saranno adottati
dal Ministero dell’ambiente sentita la Protezione civile nazionale».
Infine, il dubbio sulla legittimita’ costituzionale della detta
norma non sarebbe superabile neppure alla luce dell’ultimo periodo di
essa (che non si contesta), secondo cui le risorse ivi previste
possono essere utilizzate anche attraverso accordi di programma
sottoscritti dalla Regione interessata e dal Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare che definiscono, altresi’,
la quota di cofinanziamento regionale. Invero, tale disposizione
contemplerebbe la possibilita’ per la Regione di sottoscrivere un
accordo di programma soltanto a fronte del suo impegno finanziario
nell’intervento di risanamento. E cio’ starebbe a significare che le
Regioni non avrebbero alcun ruolo in ordine alle situazioni nelle
quali non si provveda tramite accordo di programma e tuttavia esse
abbiano gia’ provveduto a finanziare progetti di risanamento.
5.1. – Va premesso che, con l’art. 17, comma 2-bis, del
decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la
cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella
Regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel
territorio della Regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti
relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla
protezione civile), aggiunto dalla legge di conversione 26 febbraio
2010, n. 26, le risorse assegnate per interventi di risanamento
ambientale con l’art. 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009, pari
a 1.000 milioni di euro, sono state ridotte per l’anno 2010 di 100
milioni di euro, per le finalita’ indicate nel citato art. 17, con
conseguente modifica in parte qua della norma censurata. Tale
modifica, pero’, e’ priva di rilevanza sulla questione promossa dalla
Regione Toscana, perche’ non ha alcuna incidenza sulla parte di detta
norma oggetto dell’impugnazione, che quindi va esaminata nel merito.
5.2. – La questione non e’ fondata.
Questa Corte ha gia’ chiarito – e la stessa ricorrente lo ricorda
– che le attivita’ relative alla difesa del suolo, anche con riguardo
alla salvaguardia per i rischi derivanti da dissesto idrogeologico,
rientrano nella materia della tutela dell’ambiente, di esclusiva
competenza statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost. (ex plurimis: sentenze n. 254, n. 246 e n. 232 del 2009).
In particolare, e’ stato posto in luce che la materia «tutela
dell’ambiente» ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto
riferito ad un bene, cioe’ l’ambiente, e finalistico, perche’ tende
alla migliore conservazione del bene stesso (ex plurimis: sentenze n.
315, n. 225 e n. 12 del 2009; n. 104 del 2008; n. 378 e n. 367 del
2007). In ragione di cio’, sullo stesso bene «ambiente» possono
concorrere piu’ competenze, che restano distinte tra loro
perseguendo, autonomamente, le loro specifiche finalita’ attraverso
la previsione di diverse discipline. Infatti, da una parte sono
affidate allo Stato la tutela e la conservazione dell’ambiente,
mediante la fissazione di livelli «adeguati e non riducibili di
tutela» (sentenze n. 315 e n. 61 del 2009); dall’altra, compete alle
Regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina
statale, esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a
regolare la fruizione dell’ambiente, evitandone compromissioni o
alterazioni. In questo senso e’ stato affermato che la competenza
statale, allorche’ sia espressione della tutela dell’ambiente,
costituisce «limite» all’esercizio delle competenze regionali (ex
plurimis: sentenza n. 315 del 2009).
In questo quadro, venendo al caso in esame, va rilevato che
l’art. 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009 e’ censurato nella
parte relativa all’individuazione delle situazioni a piu’ elevato
rischio idrogeologico, affidata alla competente direzione generale
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
sentiti le autorita’ di bacino e il dipartimento della protezione
civile, senza coinvolgimento delle Regioni. Orbene, tale
individuazione si risolve in attivita’ di carattere conoscitivo,
aventi natura anche tecnica, attinenti alla struttura, alla
composizione, alle condizioni dei terreni, secondo metodologie e
criteri uniformi, idonei a riconoscere la possibilita’ che un
determinato territorio sia esposto a pericolo sotto il profilo
idrogeologico. Si tratta, dunque, di attivita’ finalizzate in via
esclusiva alla tutela dell’ambiente, onde non e’ ravvisabile la
necessita’ di un coinvolgimento regionale.
Peraltro, va considerato che le Regioni non restano estranee a
tali attivita’, dal momento che e’ previsto il parere delle autorita’
di bacino, di cui all’art. 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), e successive modificazioni.
Dette autorita’ sono istituite in ciascun distretto idrografico (di
cui al successivo art. 64 d.lgs. citato, che prevede la ripartizione
in distretti dell’intero territorio nazionale), e tra i loro organi
sono contemplate le Conferenze istituzionali permanenti (art. 63,
comma 2), alle quali partecipano, tra gli altri, i Presidenti delle
Regioni e delle Province autonome il cui territorio e’ interessato
dal distretto idrografico o gli assessori dai medesimi delegati. Alle
Conferenze istituzionali permanenti e’ affidata l’adozione degli atti
di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle autorita’ di
bacino, sicche’ tramite questi enti ben possono essere rappresentati
eventuali profili attinenti alle attribuzioni regionali in materia di
governo del territorio (sentenza n. 232 del 2009, punto 13.5 del
Considerato in diritto).
La denunziata violazione delle competenze della ricorrente,
garantite dagli artt. 117 e 118 Cost., nonche’ dei principi di leale
collaborazione e di sussidiarieta’, dunque, non sussiste.
Ne’ giova addurre che le autorita’ di bacino, previste dal d.lgs.
n. 152 del 2006 e successive modificazioni, non sono state (ancora)
costituite. Invero, con l’art. 1, comma 1, del decreto-legge 30
dicembre 2008, n. 208 (Misure straordinarie in materia di risorse
idriche e di protezione dell’ambiente), convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2009, n.
13, si e’ stabilito che le autorita’ di bacino, di cui alla legge 18
maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e
funzionale della difesa del suolo), sono prorogate fino alla data di
entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri che, a norma dell’art. 63, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152
del 2006, deve disciplinare il trasferimento delle funzioni, del
personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie e regolamentare
il periodo transitorio.
Pertanto, le precedenti autorita’ di bacino hanno continuato a
svolgere le loro funzioni e continueranno a farlo fino all’effettiva
costituzione dei nuovi organismi (sentenza n. 232 del 2009, punto
13.4 del Considerato in diritto). E, per quanto qui rileva, si deve
soltanto osservare che anche per i predetti enti, disciplinati dalla
legge n. 183 del 1989, era previsto che il principale organo fosse il
comitato istituzionale (art. 12 legge cit.), composto (tra gli altri)
dai Presidenti delle Giunte regionali delle Regioni il cui territorio
fosse interessato dal bacino idrografico, ovvero da assessori dagli
stessi delegati, onde valgono le considerazioni dianzi svolte circa
la possibilita’ di veicolare nel procedimento descritto dalla norma
censurata eventuali profili di interesse regionale.
Infine, alla ricorrente non giova il richiamo alla citata
sentenza n. 232 del 2009, sia perche’, nel caso in esame, una sede di
partecipazione per le Regioni e’ prevista, sia perche’, come risulta
dagli stessi passaggi argomentativi trascritti nel ricorso regionale,
il coinvolgimento e’ ritenuto necessario per le funzioni di
programmazione e di finanziamento, mentre l’impugnazione promossa in
questa sede riguarda l’attivita’, preliminare ad esse, diretta ad
individuare le situazioni a piu’ elevato rischio idrogeologico,
cioe’, come sopra si e’ visto, un’attivita’ che si iscrive a pieno
titolo nella tutela dell’ambiente, rientrante nell’esclusiva
competenza statale.
Da quanto sopra consegue che la suddetta questione di
legittimita’ costituzionale deve essere dichiarata non fondata.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunzie la decisione sulle restanti
questioni di legittimita’ costituzionale, sollevate dalla Regione
Toscana con il ricorso in epigrafe;
Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 2, comma
191, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2010);
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 2, comma 240, della citata legge n. 191 del 2009, promossa
dalla Regione Toscana, in riferimento agli articoli 117, secondo
comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonche’ al principio
di leale collaborazione e al principio di sussidiarieta’, con il
ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2010.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 26 novembre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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