Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-05-2011) 14-06-2011, n. 23771 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il gup del Tribunale di Sanremo, con ordinanza del 24.5. 2010, successiva alla chiusura delle indagini preliminari e al decreto che dispone il giudizio, revocava la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di B.F. per il reato di cui agli artt. 338 e 339 c.p., e disponeva la misura degli arresti domiciliari nei confronti di P.M. e V. F. in luogo della misura carceraria a suo tempo applicata nei confronti di entrambi per il reato di tentata estorsione in danno di A.G., e per i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione all’interno di un locale notturno e inoltre nei confronti del P. per il reato di lesioni personali volontarie in danno dell’ A., fatto connesso all’episodio estorsivo, e per il concorso nel reato attribuito al B..

Il gup rilevava, quanto al P., il ridimensionamento del quadro accusatorio a seguito del proscioglimento dello stesso imputato dal reato di cui agli artt. 338 e 339 c.p.;originariamente attribuitogli in concorso con il B., e dai reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione; quanto al V., la non rilevante gravità dei suoi precedenti penali e la sua mancata partecipazione diretta ai fatti di violenza fisica nei confronti dell’ A.; quanto al B., infine, l’età avanzata e le non buone condizioni di salute dell’imputato, il circoscritto ambito familiare in cui si era manifestata la sua pericolosità sociale, e la possibilità che nei suoi confronti venisse applicata una pena definitiva contenuta in limiti compatibili con la concessione del beneficio della sospensione condizionale;

considerava comunque, per tutti gli imputati, il tempo trascorso dall’applicazione delle più grave misura custodiale.

2. Sull’appello del PM il Tribunale del riesame di Genova, con ordinanza del 16.11.2010, in riforma del provvedimento impugnato, disponeva nei confronti di tutti gli imputati, il ripristino della più grave misura custodiale.

3. I giudici territoriali osservavano che nei confronti di tutti gli imputati si era ormai formato il giudicato cautelare tanto in ordine alla gravità indiziaria che alle esigenze social-preventive, senza che fossero intervenuti significativi elementi di novità; rilevava, poi, particolarmente:

– quanto al B., l’accertata compatibilita delle sue condizioni di salute con il regime carcerario, e il suo ruolo dominante all’interno del clan familiare, dimostrato dal contenuto di una conversazione intercettata e dalle dichiarazioni dell’ A., contestando la prognosi sul futuro trattamento sanzionatorio a carico dello stesso imputato effettuata dal Gip;

-quanto al P., la notevole valenza sintomatica del suo pur isolato precedente penale per il reato di favoreggiamento personale, in quanto commesso nell’interesse di un associato mafioso e la negativa personalità dello stesso imputato, dimostratosi soggetto violento, pericoloso e temuto nell’ambiente sociale;

-quanto al V. infine, l’atteggiamento intimidatorio dallo stesso tenuto nei confronti di potenziali testimoni e il suo ruolo attivo nella gestione delle attività di meretricio esercitate all’interno del locale "(OMISSIS)". 4. Ricorre il difensore degli indagati, che premessa un’ampia ricostruzione della vicenda processuale e la puntuale rievocazione delle motivazioni del provvedimento del gip del 24.5. 2010, lamenta ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c), la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato il travisamento della prova e la violazione ed erronea applicazione dell’art. 299 c.p.p., comma 2, art. 274 c.p.p., lett. c), artt. 272 e 275 c.p.p..

4.1 Quanto a B.F., la difesa deduce anzitutto l’erronea identificazione del ricorrente come l’interlocutore di P.G. nella conversazione del 19.5.2009, trattandosi, in realtà, di B.F.. Sarebbero poi del tutto generiche" le indicazioni di A.G. sull’"autorevolezza" del ricorrente all’interno del proprio nucleo familiare; il tribunale avrebbe trascurato i favorevoli profili personali del ricorrente,soggetto incensurato e da sempre dedito ad oneste attività lavorative, e avrebbe impropriamente valorizzato, rispetto alle precarie condizioni di salute del ricorrente, la loro compatibilità con il regime carcerario, senza considerarle ai fini dell’attenuazione della pericolosità; tali profili soggettivi, in nessun modo valutati nel provvedimento genetico, costituirebbero poi un elemento di novità rilevante ai fini del superamento del giudicato cautelare; infine, i giudici territoriali avrebbero disatteso i principi di adeguatezza e proporzionalità delle misure cautelari personali.

4.2. Nei confronti di P.M., la difesa lamenta l’ingiustificata svalutazione, da parte dei giudici del riesame, del ridimensionamento del quadro accusatorio a carico dell’imputato, e l’immotivato apprezzamento del pericolo di inquinamento probatorio sulla base di un messaggio telefonico scambiatosi tra due testimoni;

4.3. Riguardo al V., infine, si sottolinea in ricorso l’ingiustificata valutazione del pericolo di inquinamento probatorio in relazione allo stato del procedimento penale, e la mancanza di un’adeguata indagine sul pericolo di reiterazione dei reati.
Motivi della decisione

5. E’ fondato il ricorso proposto nell’interesse del B..

Secondo l’accusa, il ricorrente si sarebbe "pesantemente" quanto illecitamente attivato, insieme al genero P.G. (poi prosciolto da questa stessa imputazione), per ottenere dal Comune di (OMISSIS) il rilascio della licenza per una sala giochi richiesta da una società facente capo formalmente a Pe.Lu., moglie di P.M., ma alla quale era interessato l’intero gruppo familiare. Il Tribunale del riesame, oltre a rilevare la formazione del giudicato cautelare in punto di gravità indiziaria, alla stregua di una valutazione confermata dal rinvio a giudizio del B. per il reato di cui agli artt. 338 e 339 c.p., cita il contenuto della conversazione del 19.5.2009, nel corso della quale il ricorrente avrebbe dimostrato una significativa "supremazia" all’interno del clan familiare, occupandosi con autorevolezza dei problemi giudiziari di P.R..

5.1. Va intanto rilevato, conformemente alle deduzioni difensive, l’errore in cui sono incorsi i giudici territoriali nell’identificazione del ricorrente come l’interlocutore di P.G. nella conversazione del 19.5.2009, nel corso della quale è in effetti un altro B. ( F.), li che si preoccupa della difesa tecnica di P.R. nel procedimento penale che riguardava quest’ultimo.

5.2. Il giudicato cautelare non impedisce di rilevare che l’incisività dell’intervento del ricorrente sugli amministratori locali appare attenuata, nella sua "pesantezza", dalla forma soltanto implicita della condotta intimidatoria dell’imputato, testualmente indicata dalla stessa accusa nella formulazione del capo di imputazione, dal momento che il ricorrente si sarebbe soltanto lamentato di un presunto atteggiamento persecutorio di un assessore comunale nei confronti della sua famiglia, e la minaccia sarebbe piuttosto riferibile, (implicitamente o indirettamente), alla forza intimidatrice derivante dalla "convinzione" nel contesto sociale, dell’appartenenza dello stesso ricorrente e dei suoi familiari, ad una non meglio identificata associazione di tipo mafioso.

5.3. Peraltro, la presunta "mafiosità" del ricorrente non si è tradotta in corrispondenti, specifiche qualificazioni giuridiche, non essendo stata nemmeno contestata l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e in questi termini indefiniti resta aperta la questione, da approfondire nella sede processuale del vaglio dibattimentale dell’ipotesi accusatoria, se e in quale misura il ricorrente avesse nel tempo con condotte concrete suscitato la propria fama criminale, per poi "spenderla" strumentalmente per la consumazione del reato di cui agli artt. 338 e 339 c.p., o se si tratti di una reputazione "incolpevole", al limite corrispondente ad un pregiudizio etnico nei suoi confronti (l’imputato è di origine (OMISSIS), essendo nato ad (OMISSIS)) più o meno diffuso nell’ambiente di (OMISSIS) o addirittura circoscritto al più limitato ambito istituzionale che costituisce lo scenario del fatto di reato.

5.4. Ma è soprattutto vero che la supposta aureola mafiosa del B. finisce paradossalmente con il costituire un argomento a suo favore, sotto il profilo delle esigenze cautelari, posto che non risulta che il ricorrente se ne sia in qualunque modo avvalso dopo la realizzazione dei fatti addebitatigli, per condizionare lo sviluppo delle indagini, per quanto nel procedimento siano coinvolti anche altri esponenti del suo clan familiare, e nonostante l’assoluta libertà di movimento consentitagli dalla incondizionata revoca della misura restrittiva nei suoi confronti. In questo caso, il non breve tempo trascorso dal momento della restituzione del ricorrente allo stato di libertà, costituisce quindi un significativo elemento di novità rispetto alla valutazione del pericolo di reiterazione dei reati, per l’assenza medio tempore di condotte significative dell’insistenza del ricorrente nella "implicita" strumentalizzazione del suo (latente e non caratterizzato giuridicamente, ma in ipotesi socialmente riconoscibile) profilo criminale associativo. E’ vero poi che si tratta di dati di valutazione non riferibili al momento della revoca della misura, ma nello spirito del favor libertatis, e nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo, è ormai ius receptum che il sindacato giurisdizionale ex art. 310 c.p.p. in materia di provvedimenti di cautela personale, deve tener conto di tutti gli elementi di novità sopravvenuti anche nel corso del procedimento impugnatorio (Cass. Sez. un. 31.2004, Donelli; sez. 2 9.2.2006 Ianno).

5.5. La valutazione dei giudici territoriali sul ruolo di presunto capo clan del B., in parte è smentita dall’errore relativo alla conversazione del 19.5.2009, in parte non appare adeguatamente supportata, allo stato, dalle generiche indicazioni dell’ A., tanto più considerando che il ricorrente non risulta in alcun modo coinvolto nei fatti di reato ai danni del predetto A., nè nelle pressioni esercitate nei suoi confronti dal V. dopo l’avvio delle indagini.

5.6 A tali considerazioni può allora utilmente aggiungersi il rilievo dell’età avanzata e delle non buone condizioni di salute dell’imputato, dovendosi a quest’ultimo riguardo condividere le censure difensive volte a sottolineare che la questione non era stata dedotta nei termini della compatibilità delle esigenze di cura dell’imputato con il regime carcerario, ma sotto il profilo di una corrispondente attenuazione della sua pericolosità. 5.7 Infine, l’approfondimento dibattimentale dell’accusa potrebbe realmente condurre ad esiti non particolarmente sfavorevoli all’imputato, almeno in punto di trattamento sanzionatorio, anche sotto questo profilo il ripristino della misura custodiale apparendo non adeguato alle circostanze del caso concreto.

6. Non appaiono invece in alcun modo censurabili sotto il profilo logico-giuridico, le valutazioni del tribunale in ordine alla spiccata pericolosità sociale del P. e del V..

6.1. Riguardo al P., i giudici territoriali sottolineano l’attitudine alla violenza dallo stesso rivelata in occasione del fatto estorsivo in danno dell’ A. e la "qualità" del suo pur isolato precedente penale, trattandosi del reato di favoreggiamento nei confronti di un soggetto poi condannato per il reato di associazione mafiosa. Non infondatamente, invero, anche la personalità del favorito è stata valorizzata dai giudici territoriali, riverberando sulla valutazione di relazioni potenzialmente criminogene del ricorrente negli ambienti della delinquenza organizzata, di là dal singolo fatto di reato.

6.2. Quanto al V., il provvedimento impugnato sottolinea congniamente già sotto il profilo della pericolosità sociale, prima ancora che ai fini della valutazione del pericolo di inquinamento probatorio, le sue condotte di intimidazione nei confronti di potenziali testimoni, ma anche il suo attivo coinvolgimento in traffici di prostituzione, che costituisce in effetti espressione di "professionalità" criminale, motivata dagli stessi scopi di lucro del delitto di tentata estorsione in danno dell’ A.. Ma anche in punto di valutazione del pericolo di inquinamento probatorio le valutazioni dei giudici territoriali appaiono esenti da vizi logico- giuridici, in particolare con riguardo alla completezza del materiale probatorio acquisito ad indagini preliminari ormai concluse. In tema di misure cautelari personali, infatti, la valutazione del pericolo di inquinamento probatorio va effettuata con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già individuate, a nulla rilevando il fatto che le indagini siano in stato avanzato ovvero risultino già concluse, atteso che l’esigenza di salvaguardare la genuinità della prova non si esaurisce all’atto della chiusura delle indagini preliminari, dovendo considerarsi il rischio della dispersione dibattimentale delle prove (Corte di Cassazione n. 13896 11/02/2010 SEZ. 6 Cipriani).

6.3 A fronte delle logiche e coerenti valutazioni dei giudici territoriali, le censure difensive svolte nell’interesse del V. e del P. finiscono quindi con l’esprimere soltanto un diverso apprezzamento di merito circa l’esclusiva adeguatezza della più grave misura custodiale a salvaguardare le esigenze cautelari desumibili dalla personalità degli imputati ma anche dal titolo dei reati loro ascritti, dovendo in questo caso valere il principio che l’attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta soltanto dal decorso del tempo, in assenza di ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine alla situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (ex plurimis Cass. Sez. fer. 14.9.2005 D’Alessandro).

Alla stregua delle precedenti considerazioni l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di B. F. limitatamente alle esigenze cautelari. Vanno invece rigettati i ricorsi di P.M. e V.F. con le statuizioni sulle spese. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nei confronti di B. F. limitatamente alle esigenze cautelari. Rigetta i ricorsi di P.M. e V.F., che condanna al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 28 reg. esec. c.p.p..

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