T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 16-06-2011, n. 905 Armi da fuoco e da sparo Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente è titolare della licenza di porto di fucile per uso caccia. Con decreto in data 4/6/2010 il Questore di Bergamo ha revocato il titolo abilitativo, sulla base della pendenza di un procedimento penale per i reati di frode nelle pubbliche forniture, associazione per delinquere, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, truffa. Il Sig. B. è stato raggiunto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari, poi sostituita dall’obbligo di dimora nel Comune di residenza. Ad avviso del Questore la misura cautelare irrogata è incompatibile con il possesso di armi e in secondo luogo il beneficiario della licenza "deve offrire, sempre, ampie garanzie di fare un corretto uso delle stesse, mantenendo una condotta irreprensibile sotto ogni aspetto ed immune da mende, anche remote, vivere in modo tranquillo e trasparente, sia in famiglia che nelle relazioni con gli altri associati".

Con il ricorso all’esame il Sig. B. impugna i provvedimenti in epigrafe, deducendone l’illegittimità per i seguenti profili:

a) Violazione degli artt. 2 e 21quater della L. 241/90, eccesso di potere per ingiustizia manifesta, illogicità e contraddittorietà, in quanto l’amministrazione non ha rispettato il termine di conclusione del procedimento, che riveste natura perentoria anche ai sensi del preavviso di revoca;

b) Violazione degli artt. 11, 39 e 43 del R.D. 773/31, poiché le autorizzazioni di polizia possono essere revocate solo nel caso di abuso della persona beneficiata;

c) Violazione dell’art. 43 del T.U.L.P.S., carenza di istruttoria e di motivazione, mancanza dei presupposti, in difetto di una preventiva attività di approfondimento di tutti gli elementi di fatto che connotano la vicenda;

d) Violazione degli artt. 710 della L. 241/90 per il mancato esame delle memorie partecipative;

e) Eccesso di potere per illogicità, poiché la motivazione verte su affermazioni apodittiche, ed in particolare non si comprendono i richiami ad uno stile di vita tranquillo e all’impossibilità di acquistare munizioni;

f) Violazione degli art. 4 e 6 della L. 241/90 per incompetenza, registrandosi un’indebita frantumazione delle competenze tra una pluralità di funzionari intervenuti nel procedimento.

Parte ricorrente chiede altresì il risarcimento dei danni patiti.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo la reiezione del gravame.

Alla pubblica udienza del 4/5/2011 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorrente censura la determinazione con la quale l’autorità amministrativa ha revocato la licenza di fucile per uso caccia e la carta europea di arma da fuoco.

1. Osserva anzitutto il Collegio che la licenza di porto d’armi è un provvedimento ampliativo che permette l’utilizzo di un mezzo in tutti gli altri casi vietato dall’ordinamento.

Secondo il prevalente, condivisibile, orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI – 5/4/2007 n. 152; sez. IV – 8/5/2003 n. 2424; sez. IV – 30/7/2002 n. 4073; sez. IV – 29/11/2000 n. 6347), in materia di rilascio (o di revoca) del porto d’armi e di autorizzazione alla detenzione, l’autorità di pubblica sicurezza – nel perseguire la finalità di prevenire la commissione di reati e/o fatti lesivi dell’ordine pubblico – esercita un’ampia discrezionalità nel valutare l’affidabilità del soggetto di fare buon uso delle armi. L’ampio raggio di apprezzamento si estende all’indagine sulle circostanze che consiglino l’adozione di provvedimenti di sospensione o di revoca di licenze di porto d’armi già rilasciate, e l’atto autorizzatorio può intervenire soltanto in presenza di condizioni di perfetta e completa sicurezza ed a prevenzione di ogni possibile "vulnus" all’incolumità di terzi, cui può contribuire ogni aumentata circolazione di armi d’offesa.

In definitiva il provvedimento di rilascio del porto d’armi e l’autorizzazione a goderne in prosieguo richiedono che l’istante sia una persona esente da mende e al disopra di ogni sospetto e/o indizio negativo e nei confronti della quale esista la completa sicurezza circa il corretto uso delle armi, in modo da scongiurare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività (cfr. sentenze brevi Sezione 12/6/2009 n. 1222; 31/7/2009 n. 1725; 19/11/2009 n. 2245; 28/12/2009 n. 2636; 14/1/2011 n. 42).

2. E’ infondato il primo motivo, nella parte in cui il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2 e 21quater della L. 241/90: il superamento del termine di conclusione del procedimento – giustificabili o meno che siano le ragioni del ritardo – non si riflette ex se sulla legittimità del provvedimento finale tardivamente adottato, poiché la scadenza del ridetto termine, di natura non perentoria, non consuma il potere dell’amministrazione di provvedere (cfr. per tutte T.A.R. Trentino Alto Adige Trento – 23/2/2011 n. 52; T.A.R. Liguria Genova, sez. II – 12/7/2010 n. 5676). A conclusioni diverse non si può addivenire per il fatto che la Questura ha espressamente sostenuto, nel preavviso di revoca, che il procedimento sarebbe stato concluso nei termini di cui agli artt. 2 e 10bis della L. 241/90, dato che l’amministrazione si è limitata a richiamare la necessità di ultimare la procedura nel termine di legge, senza assumere impegni né dedurre conseguenze per l’ipotesi della sua inosservanza.

Il decorso di 4 mesi tra il preavviso e l’atto finale di revoca si riflette sotto il profilo che sarà affrontato nel prosieguo.

3. Con le doglianze di cui alle lett. b) e c) dell’esposizione in fatto parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 11, 39 e 43 del R.D. 773/31, poiché le autorizzazioni di polizia possono essere revocate solo nel caso di abuso della persona beneficiata; si duole inoltre della violazione dell’art. 43 del T.U.L.P.S., della carenza di istruttoria e di motivazione e della mancanza dei presupposti, in difetto di una preventiva attività di approfondimento di tutti gli elementi di fatto che connotano la vicenda. Sostiene il Sig. B. che:

o il procedimento penale riguarda ipotesi di reato non violente, che non presuppongono l’uso delle armi;

o non è stata emessa alcuna condanna ma si registra la mera pendenza di un procedimento penale;

o la Questura non disponeva del provvedimento cautelare nel testo integrale, ma solo dei suoi estremi;

o il Tribunale dell’Aquila in data 14/7/2010 ha rimosso ogni misura cautelare disposta in precedenza (doc. 6);

o non è stata compiuta alcuna indagine sul possesso dei requisiti previsti dal T.U.L.P.S. né sui comportamenti in contrasto con la normativa vigente, preannunciati con la notizia di avvio procedimento.

Dette prospettazioni sono fondate.

3.1 Il Collegio condivide certamente il concetto ripetutamente affermato (cfr. per tutte Consiglio di Stato, sez. VI – 3/3/2010 n. 1245) per cui in materia di armi nel nostro ordinamento non sono tutelate posizioni di diritto soggettivo ed il porto d’arma non costituisce un diritto assoluto: esso rappresenta un’eccezione al normale divieto di portare armi, ammessa solo a favore di persone per le quali esiste perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse in modo da evitare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività, dovendo essere garantita anche l’intera generalità dei consociati sull’assenza di pregiudizi alla loro incolumità.

L’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione in materia – circa fatti che ad un ragionevole apprezzamento possono indurre ad ipotizzare un uso improprio dell’arma e quindi far ritenere carente l’affidabilità del soggetto – è sindacabile dal giudice sotto il profilo dell’abnormità e del travisamento del fatto o dell’inattendibilità della valutazione, quali risultano dalla motivazione del provvedimento.

3.2 Nella fattispecie l’amministrazione si è limitata a prendere atto degli sviluppi di un’indagine in corso e tuttavia – per sua stessa ammissione – non ha preso cognizione del contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare né degli atti di indagine e non ha espresso una specifica valutazione in ordine ai riflessi del procedimento penale sull’affidabilità del ricorrente. Il rilievo espresso circa l’incompatibilità della sua posizione con la titolarità del porto d’armi, per essere egli sottoposto a misure restrittive della libertà personale, aveva già subito un primo ridimensionamento alla data di redazione del provvedimento (per l’avvenuta trasformazione degli arresti domiciliari in obbligo di dimora), ed in seguito è stato ulteriormente sminuito in seguito alla revoca della misura dell’obbligo di dimora disposta dal Tribunale dell’Aquila il 14/7/2010. Tale evento, seppur successivo alla formazione dell’atto impugnato, precede tuttavia la sua notifica di oltre 2 mesi, e dunque poteva ragionevolmente indurre la Questura a riformulare il giudizio all’epoca sommariamente enunciato.

Il Collegio è consapevole che le figure di reato addebitate al ricorrente sono molto gravi e tuttavia la concreta dinamica degli eventi – con il progressivo venir meno di esigenze di natura cautelare – l’omessa documentazione circa eventuali ulteriori sviluppi dell’inchiesta (dalla data degli arresti domiciliari sono trascorsi ormai 2 anni), la mancanza di una connessione diretta degli episodi delittuosi ipotizzati con l’impiego di armi e munizioni accompagnate dal difetto di una specifica valutazione del quadro fattuale impongono una rilettura degli eventi alla luce di una puntuale attività istruttoria.

Le riflessioni condotte refluiscono anche sulla censura di eccesso di potere per illogicità, ed è condivisibile l’affermazione per cui la motivazione non fornisce elementi esaustivi a sostegno della dichiarata perdita di affidabilità nell’uso delle armi.

4. L’accoglimento delle predette doglianze consente di soprassedere sull’esame dei vizi formali quali la violazione delle garanzie partecipative e l’incompetenza.

5. In conclusione il gravame è fondato e deve essere accolto, mentre deve essere dichiarata inammissibile la domanda risarcitoria, in difetto di qualunque elemento di prova dedotto a sostegno.

Le spese di giudizio possono essere compensate, in ragione dell’obiettiva risonanza della vicenda e dei fatti molto gravi addebitati al ricorrente.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato per le ragioni enunciate in motivazione.

Dichiara inammissibile la domanda risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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