T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 16-06-2011, n. 904 Armi da fuoco e da sparo Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente è titolare della licenza di porto di fucile per uso caccia fin dal 1972. Con decreto in data 29/7/2010 il Questore di Brescia gli ha negato il rinnovo del titolo abilitativo.

Il provvedimento sfavorevole si fonda su un precedente diniego del 2/10/2006, impugnato presso questo Tribunale che ha emesso sentenza di rigetto (28/1/2010 n. 1245) e sulle risultanze del certificato giudiziale, che dà conto di una condanna passata in giudicato per peculato, falsità ideologica in atti pubblici in concorso e concussione (pena di anni 3 mesi 6).

Evidenziando il duplice fatto della condanna definitiva ad una pena superiore a 3 anni per delitto non colposo e della mancanza di sufficienti garanzie di affidabilità sull’uso delle armi detenute, il Questore di Brescia ha emesso un diniego sulla domanda di rinnovo del titolo autorizzatorio. Detta statuizione sfavorevole è stata confermata dal Prefetto di Brescia – rimarcando l’assenza del requisito dell’affidabilità – in sede di esame del ricorso gerarchico.

Con l’introdotto gravame il Sig. D. impugna il provvedimento in epigrafe deducendone l’illegittimità per i seguenti profili:

a) Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, poiché il ricorrente non è stato colpito dalla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ma solo da quella temporanea, che si era già estinta alla data di deposito dell’istanza di rinnovo quando egli era rientrato nel ruolo dirigenziale di appartenenza in virtù della reintegrazione ordinata dal giudice del lavoro;

b) Violazione dell’art. 11 del R.D. 773/31, poiché la pena da assumere a fondamento per accertare l’automatismo ostativo è quella base (pari a 2 anni e 4 mesi per il reato di concussione) e non quella complessiva risultante dal vincolo della continuazione;

c) Violazione e falsa applicazione dell’art. 43 u.c. del R.D. 773/31, eccesso di potere per difetto di istruttoria ed omessa motivazione, dato che è necessaria una valutazione complessiva della personalità del soggetto destinatario del diniego e della concretezza ed attualità della sua pericolosità sociale;

d) Eccesso di potere per contraddittorietà con un precedente atto prefettizio, che il 29/9/2009 ha disposto la revoca del pregresso divieto di detenzione di armi, e nel quale si è dato conto del venir meno delle motivazioni originarie.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo la reiezione del gravame.

Alla pubblica udienza del 4/5/2011 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorrente censura la determinazione con la quale l’autorità amministrativa ha respinto il ricorso gerarchico proposto contro l’atto questorile di diniego sull’istanza di rinnovo della licenza di porto d’armi per uso caccia.

1. Osserva anzitutto il Collegio che la licenza di porto d’armi è un provvedimento ampliativo che permette l’utilizzo di un mezzo in tutti gli altri casi vietato dall’ordinamento.

Secondo il prevalente, condivisibile, orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI – 5/4/2007 n. 152; sez. IV – 8/5/2003 n. 2424; sez. IV – 30/7/2002 n. 4073; sez. IV – 29/11/2000 n. 6347), in materia di rilascio (o di revoca) del porto d’armi e di autorizzazione alla detenzione, l’autorità di pubblica sicurezza – nel perseguire la finalità di prevenire la commissione di reati e/o fatti lesivi dell’ordine pubblico – esercita un’ampia discrezionalità nel valutare l’affidabilità del soggetto di fare buon uso delle armi. L’ampio raggio di apprezzamento si estende all’indagine sulle circostanze che consiglino l’adozione di provvedimenti di sospensione o di revoca di licenze di porto d’armi già rilasciate, e l’atto autorizzatorio può intervenire soltanto in presenza di condizioni di perfetta e completa sicurezza ed a prevenzione di ogni possibile "vulnus" all’incolumità di terzi, cui può contribuire ogni aumentata circolazione di armi d’offesa.

In definitiva il provvedimento di rilascio del porto d’armi e l’autorizzazione a goderne in prosieguo richiedono che l’istante sia una persona esente da mende e al di sopra di ogni sospetto e/o indizio negativo e nei confronti della quale esista la completa sicurezza circa il corretto uso delle armi, in modo da scongiurare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività (cfr. sentenze brevi Sezione 12/6/2009 n. 1222; 31/7/2009 n. 1725; 19/11/2009 n. 2245; 28/12/2009 n. 2636; 14/1/2011 n. 42).

2. Venendo ora a fare concreta applicazione di siffatti criteri ermeneutici alla fattispecie all’esame, il Tribunale è dell’avviso che il comportamento del ricorrente sia stato oggetto di corretta valutazione da parte degli organi preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, e che pertanto siano infondate le censure di cui alle lett. c) e d) dell’esposizione in fatto.

2.1 Anzitutto l’amministrazione, nel decidere se rilasciare ovvero rinnovare una licenza relativa alle armi, è titolare di amplissima discrezionalità (dato che in proposito non è configurabile un diritto del cittadino a portare o detenere le armi stesse) e quindi può valorizzare ai fini della decisione qualunque circostanza dalla quale si possa desumere l’inaffidabilità dell’interessato.

Nello specifico, questa Sezione ha recentemente affermato (sentenza 16/3/2010 n. 1245), proprio con riferimento alla vicenda che ha coinvolto parte ricorrente (la quale aveva impugnato un precedente atto sfavorevole) che "non è infatti controverso in causa che L.D. all’epoca del provvedimento in questione avesse riportato una condanna a pena non lieve per una serie di reati contro il patrimonio, la pubblica fede e la pubblica amministrazione, ovvero per peculato, truffa, abuso d’ufficio e falso ideologico,….. I titoli di reato in questione, ciò posto, non presuppongono di necessità una condotta violenta, ma implicano comunque un atteggiamento di vita alquanto disinvolto per quel che concerne il rispetto della legge, così come è confermato anche dai caratteri concreti della vicenda per la quale si procedette in sede penale".

2.2 Il ricorrente sottolinea l’ampio lasso temporale nel frattempo trascorso, rispetto ad una condanna riguardante un fatto (principale) risalente al 1990 e reati satelliti commessi nel 1998, per cui il giudizio di inaffidabilità sarebbe inattuale, ed in aggiunta:

o gli eventi non sono collegati all’utilizzo di armi:

o la condanna è stata dichiarata estinta;

o gode ormai pienamente dei diritti civili e politici;

o è stato reintegrato nel posto di lavoro;

o ha ottenuto un provvedimento prefettizio di segno favorevole.

2.3 L’impostazione non merita condivisione.

Ribadisce il Collegio il concetto ripetutamente affermato (cfr. per tutte Consiglio di Stato, sez. VI – 3/3/2010 n. 1245) per cui in materia di armi nel nostro ordinamento non sono tutelate posizioni di diritto soggettivo ed il porto d’arma non costituisce un diritto assoluto: esso rappresenta un’eccezione al normale divieto di portare armi, ammessa solo a favore di persone per le quali esiste perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse in modo da evitare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività, dovendo essere garantita anche l’intera generalità dei consociati sull’assenza di pregiudizi alla loro incolumità.

L’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione in materia – circa fatti che ad un ragionevole apprezzamento possono indurre ad ipotizzare un uso improprio dell’arma e quindi far ritenere carente l’affidabilità del soggetto – è sindacabile dal giudice sotto il profilo dell’abnormità e del travisamento del fatto o dell’inattendibilità della valutazione, quali risultano dalla motivazione del provvedimento.

Nella fattispecie i fatti addebitati al ricorrente, seppur datati, evocano una condotta non assolutamente tranquilla ed irreprensibile, la quale non si è sviluppata in un atto istantaneo, ma si è perpetuata per un intervallo temporale non indifferente, rispetto al quale il giudice penale ha ricostruito una fattispecie di reato continuato. Pertanto, se da un lato gli effetti penali sono ormai esauriti, il giudizio di affidabilità non coincide perfettamente con gli stessi, ma rileva sul piano amministrativo per escludere anche il semplice dubbio che il soggetto interessato possa usare in modo indebito le armi che chiede di adoperare. In un caso ove si registrano gravi fatti di reato perpetrati nel tempo, non è irragionevole mantenere fermo per una congrua soglia temporale il giudizio di inaffidabilità, al fine di raggiungere un accettabile livello di sicurezza sul buon utilizzo di strumenti potenzialmente idonei ad offendere. In quest’ottica non giova il richiamo al provvedimento prefettizio del 29/9/2009, il quale riguarda la semplice "detenzione" delle armi, mentre il rilascio del porto di fucile è finalizzato al ben diverso concreto utilizzo del medesimo a scopo di caccia: per questo non merita apprezzamento l’ultimo motivo di ricorso.

3. Sono peraltro infondati anche i profili di cui alle lett. a) e b) dell’esposizione in fatto.

Al di là dell’applicazione della sola interdizione temporanea dai pubblici uffici, rileva nella fattispecie la disposizione di cui all’art. 11 comma 1 del T.U.L.P.S., ai sensi del quale le autorizzazioni di polizia debbono essere negate, tra l’altro, a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione.

L’effetto ostativo è ricollegato dal legislatore alla condanna complessiva riportata, senza distinguere in alcun modo tra la pena base ed i reati satelliti contemplati nel regime del reato continuato. Il Testo unico, nella materia dell’uso delle armi contrassegnata da regole ispirate ad una particolare cautela, ha inteso valorizzare il trattamento sanzionatorio determinato dal giudice in relazione ad una determinata fattispecie criminosa, sia essa sviluppata in un singolo episodio ovvero in un disegno più ampio. La giurisprudenza invocata da parte ricorrente (in particolare Corte di Cassazione, sez. I penale – 26/6/2007 n. 27700; sez. VI penale – 13/2/2006 n. 17542) ha affrontato la questione della determinazione dell’entità della pena al diverso fine dell’applicazione della sanzione accessoria dell’interdizione perpetua (ovvero temporanea) dai pubblici uffici, e comunque la ratio ispiratrice della disciplina penale è ben diversa da quella dettata a fini amministrativi, già identificati al precedente punto 1.

In conclusione il gravame è infondato e deve essere respinto.

Le spese di giudizio possono essere compensate, in ragione dell’ampio lasso temporale comunque decorso dalla data dei fatti criminosi.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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