Corte Costituzionale sentenza n. 332 SENTENZA 15 – 24 novembre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 48 del 1-12-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 11, comma
5, e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009,
n. 31 (Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2010 e
pluriennale 2010/2012 della Regione – Legge Finanziaria 2010),
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 19-23 febbraio 2010, depositato in cancelleria il 25
febbraio 2010 ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
Udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2010 il giudice
relatore Luigi Mazzella;
Uditi l’avvocato dello Stato Amedeo Elefante per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione
Marche.

Ritenuto in fatto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in
riferimento agli articoli 117, commi primo, secondo lettera l), e
terzo, e 120, primo comma, della Costituzione, questioni di
legittimita’ costituzionale degli artt. 11, comma 5, e 57, comma 1,
della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n. 31
(Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2010 e
pluriennale 2010/2012 della Regione – Legge Finanziaria 2010).
1.1. – Quanto all’art. 11, comma 5, della citata legge regionale,
il ricorrente afferma che la norma censurata dispone che le risorse
destinate al finanziamento del trattamento economico accessorio del
personale addetto alle segreterie particolari dei componenti della
Giunta regionale, dei componenti l’Ufficio di Presidenza
dell’Assemblea legislativa regionale, del personale dei gruppi
politici, degli assistenti dei consiglieri regionali e degli autisti
hanno carattere di certezza, stabilita’ e continuita’ e confluiscono
tra quelle di cui all’art. 31, comma 2, del contratto collettivo
nazionale di lavoro del personale del comparto delle Regioni e delle
Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio
economico 2002-2003. Quest’ultimo stabilisce che l’importo e’
suscettibile di incremento in base a specifiche disposizioni
contrattuali, nonche’ per effetto di ulteriori applicazioni della
disciplina di cui all’art. 15 del contratto collettivo del 1º aprile
1999, limitatamente, pero’, agli effetti derivanti dall’incremento
delle risorse aggiuntive.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 11,
comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009,
stabilizzando, in modo generico, le risorse destinate al trattamento
accessorio del personale da esso menzionato, interverrebbe in una
materia riservata alla contrattazione collettiva e si porrebbe in
contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo III del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che
disciplina le procedure da seguire in sede di contrattazione e
prevede l’obbligo del rispetto della normativa contrattuale, con
conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., il quale riserva allo Stato la competenza legislativa in
materia di ordinamento civile.
1.2. – Con riferimento alle questioni relative all’art. 57, comma
1, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, il ricorrente
premette che tale norma dispone che, ai sensi dell’articolo 5, comma
1, lettera g), del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno dell’elettricita’) e secondo quanto previsto dal
Piano energetico ambientale regionale (PEAR), approvato con
deliberazione 16 febbraio 2005, n. 175, gli impianti per la
produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da autorizzare
nel territorio regionale devono possedere le seguenti
caratteristiche: a) capacita’ di generazione non superiore a 5 MW
termici; b) autosufficienza produttiva mediante utilizzo di biomasse
locali o reperite in ambito regionale; c) utilizzazione del calore di
processo, in modo da evitarne la dispersione nell’ambiente.
Cosi’ disponendo il legislatore regionale avrebbe ecceduto dalla
propria competenza legislativa, invadendo quella statale in
riferimento ai principi fondamentali in materia di produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, con conseguente
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Infatti, la disposizione censurata, stabilendo che gli impianti
per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da
autorizzare nel territorio regionale debbano, tra l’altro, possedere
capacita’ di generazione non superiore a 5 MW termici, si porrebbe in
contrasto con il citato art. 5, comma 1, lettera g), del d.lgs. n.
387 del 2003 (qualificabile come principio fondamentale), il quale,
in ordine alla valorizzazione energetica delle biomasse, si limita a
prevedere la possibilita’ di individuare le condizioni per la
promozione prioritaria degli impianti cogenerativi di potenza
elettrica inferiore a 5 MW, mentre la norma regionale impugnata non
stabilisce criteri di promozione prioritaria, bensi’ limiti
dimensionali cogenti, ponendosi in contrasto anche con i principi di
cui all’art. 6 della direttiva 27 settembre 2001, n. 2001/77/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno dell’elettricita’).
Inoltre, la norma impugnata contrasterebbe con il principio di
liberta’ dell’attivita’ di produzione dell’energia elettrica –
sancito all’art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il
mercato interno dell’energia elettrica) – perche’ stabilisce un
divieto di autorizzazione di impianti a biomassa (di generazione
superiore a 5 MW termici, che non abbiano autosufficienza produttiva
mediante utilizzo di biomasse locali o reperite in ambito regionale e
che non siano cogenerativi) che non trova (ne’ potrebbe trovare)
riscontro nella normativa di livello comunitario e nazionale.
Infatti, da un lato, divieti generali per l’utilizzo di determinate
fonti rinnovabili sono in contrasto con il predetto principio e,
dall’altro, eventuali restrizioni o divieti di utilizzo, per essere
compatibili anche con il principio comunitario di libera circolazione
delle merci, devono fondarsi su criteri di ragionevolezza,
adeguatezza e proporzionalita’ in relazione a problemi di salute
pubblica o ambientali, da valutarsi comunque nell’ambito
dell’istruttoria per i singoli procedimenti amministrativi.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri
sussisterebbe, inoltre, lesione dell’art. 117, primo comma, Cost.,
perche’ l’art. 57, comma 1, della legge della Regione Marche n. 31
del 2009 si porrebbe in contrasto con l’ordinamento comunitario in
tema di liberta’ di stabilimento e tutela della concorrenza, violando
gli artt. 43 e 81 del Trattato 25 marzo 1957 che istituisce la
Comunita’ europea, i quali vietano, rispettivamente, le restrizioni
alla liberta’ di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel
territorio di un altro Stato membro e gli accordi consistenti nel
limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo
tecnico o gli investimenti.
Conseguentemente sussisterebbe contrasto anche con l’art. 120,
primo comma, Cost., che fa espressamente divieto al legislatore
regionale di adottare provvedimenti che ostacolino, in qualsiasi
modo, la libera circolazione delle persone e delle cose tra le
Regioni o che limitino l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque
parte del territorio nazionale.
2. – La Regione Marche si e’ costituita in giudizio e ha chiesto
che le questioni di legittimita’ costituzionale siano dichiarate
inammissibili o infondate.
2.1. – Ad avviso della Regione, la questione relativa all’art.
11, comma 5, della legge della Regione n. 31 del 2009 sarebbe
inammissibile perche’ il ricorrente in realta’ prospetterebbe due
distinte censure fondate su ricostruzioni dell’assetto costituzionale
delle competenze legislative tra esse incompatibili: la prima,
secondo la quale si verterebbe in una materia riservata alla
competenza esclusiva dello Stato, con conseguente difetto assoluto di
potesta’ legislativa in capo alle Regioni; la seconda, basata
sull’asserito contrasto in concreto tra la norma impugnata e la
disciplina statale, presupponente invece il riconoscimento di uno
spazio di operativita’ a favore della legislazione di fonte
regionale.
Un ulteriore motivo di inammissibilita’ e’ ravvisato dalla difesa
della Regione nella genericita’ della deduzione dell’asserito
contrasto con le disposizioni contenute negli artt. 40 ss. del d.lgs.
n. 165 del 2001 e nella mancata individuazione del precetto
costituzionale rispetto al quale quelle disposizioni assumerebbero
natura di parametro interposto, non potendo valere, al riguardo,
l’invocazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,
poiche’ tale precetto esclude in radice qualunque possibilita’ di
intervento da parte delle Regioni, indipendentemente dalla
conformita’ o meno delle norme regionali alla disciplina di
produzione statale.
Nel merito, la questione non sarebbe fondata, perche’ frutto di
una lettura erronea della disposizione impugnata e del quadro
normativo nel quale essa si inserisce.
In particolare, ad avviso della Regione Marche, il trattamento
economico accessorio previsto dall’art. 11, comma 5, della legge
della Regione Marche n. 31 del 2009 e’ quello gia’ disciplinato dalla
legge della Regione Marche 8 agosto 1997, n. 54 (Misure flessibili di
gestione del personale della Regione e degli Enti da essa dipendenti
e norme sul funzionamento e sul trattamento economico accessorio
degli addetti alle segreterie particolari), la quale, in particolare
all’art. 10, ha escluso il personale addetto alle strutture
organizzative di diretta collaborazione della Giunta e dell’Ufficio
di Presidenza del Consiglio regionale «dalla fruizione di tutti i
trattamenti accessori diversi dal trattamento stipendiale
fondamentale, quali compensi per lavoro straordinario, compensi per
la produttivita’ e progetti obiettivi o altri previsti dai vigenti
CCNL, per il personale delle Regioni e delle autonomie locali»,
provvedendo a «compensare l’esclusione» da tali competenze con
«un’indennita’ annua lorda» stabilita in misura forfetaria diversa in
relazione alle diverse categorie di personale. Tale disciplina, ai
sensi dell’art. 11 della medesima legge della Regione Marche n. 54
del 1997, e’ espressamente qualificata come transitoria, «in attesa
della specifica disciplina contrattuale cosi’ come previsto
dall’articolo 12, comma 1, lettera n), della legge 15 marzo 1997, n.
59».
Quest’ultima disposizione autorizzava il legislatore delegato ad
attuare, «senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai
contratti collettivi nazionali di lavoro fino ad una specifica
disciplina contrattuale», la revisione del «trattamento economico
accessorio degli addetti ad uffici di diretta collaborazione dei
Ministri, prevedendo, a fronte delle responsabilita’ e degli obblighi
di reperibilita’ e disponibilita’ ad orari disagevoli, un unico
emolumento, sostitutivo delle ore di lavoro straordinario
autorizzabili in via aggiuntiva e dei compensi di incentivazione o
similari».
Tale disciplina, per gli uffici di diretta collaborazione dei
ministeri, e’ attualmente contenuta nell’art, 14, comma 2, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche), il quale stabilisce che «con decreto adottato
dall’autorita’ di governo competente, di concerto con il Ministro del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e’
determinato, in attuazione dell’articolo 12, comma 1, lettera n)
della legge 15 marzo 1997, n. 59, senza aggravi di spesa e, per il
personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro,
fino ad una specifica disciplina contrattuale, il trattamento
economico accessorio, da corrispondere mensilmente, a fronte delle
responsabilita’, degli obblighi di reperibilita’ e di disponibilita’
ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri
e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consiste in un unico
emolumento, e’ sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario,
per la produttivita’ collettiva e per la qualita’ della prestazione
individuale».
Pertanto il modello di disciplina del trattamento accessorio del
personale degli uffici di diretta collaborazione assunto sia a
livello statale per i ministeri, sia dalla Regione Marche per i
propri organi politici prevedeva, per il personale di diretta
collaborazione dei vertici politici dell’amministrazione, una
normativa transitoriamente derogatoria rispetto a quella generalmente
fissata dalla contrattazione collettiva per il restante personale, in
attesa di una specifica disciplina contrattuale.
Tanto premesso, la difesa regionale afferma che l’art. 11, comma
5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, dopo aver
stabilito che le risorse finanziarie stanziate per il trattamento
economico accessorio del personale degli uffici di diretta
collaborazione «hanno carattere di certezza, stabilita’ e
continuita’», dispone che tali risorse «confluiscono tra quelle di
cui all’articolo 31, comma 2, del contratto collettivo nazionale di
lavoro del personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie
locali per il quadriennio normativo 2002/2005 e il biennio economico
2002/2003».
A sua volta, l’art. 31 del contratto collettivo del 22 gennaio
2004 appena citato disciplina le c.d. "risorse decentrate", ossia «le
risorse finanziarie destinate alla incentivazione delle politiche di
sviluppo delle risorse umane e della produttivita’», stabilendo che
esse «vengono determinate annualmente dagli enti con effetto dal 31
dicembre 2003 ed a valere per l’anno 2004, secondo le modalita’
definite dal presente articolo» (comma 1). Il successivo comma 2
dello stesso art. 31 individua «le risorse aventi carattere di
certezza, stabilita’ e continuita’ determinate nell’anno 2003»,
aggiungendo che il relativo importo resta confermato ed «e’
suscettibile di incremento ad opera di specifiche disposizioni dei
contratti collettivi nazionali di lavoro nonche’ per effetto di
ulteriori applicazioni della disciplina dell’art. 15, comma 5, del
CCNL del 1° aprile 1999 limitatamente agli effetti derivanti
dall’incremento delle dotazioni organiche».
Ad avviso della Regione Marche, il legislatore regionale ben
poteva incrementare l’importo delle c.d. "risorse decentrate",
aggiungendovi quelle relative al trattamento economico accessorio del
personale addetto agli uffici di diretta collaborazione gia’ previsto
dalla legge della Regione n. 54 del 1997, poiche’ l’art. 31, comma 2,
del contratto collettivo del 22 gennaio 2004 e’ diretto solamente a
costituire un presidio minimo a garanzia dell’importo delle risorse
in questione, mediante la specifica previsione delle fonti di
finanziamento che necessariamente debbono confluire nel fondo delle
"risorse decentrate" e, altresi’, mediante la previsione degli
incrementi cui obbligatoriamente l’ente interessato debba
considerarsi assoggettato. Il contratto collettivo, invece, non vieta
in alcun modo che l’ente interessato provveda spontaneamente ad
incrementare l’importo delle "risorse decentrate" oltre la misura
minima obbligatoria contrattualmente stabilita.
La difesa regionale menziona, quindi, le disposizioni
contrattuali che prevedono che le «risorse decentrate siano dirette a
promuovere miglioramenti dei livelli di efficienza dei servizi
erogati dall’ente pubblico e a premiare la qualita’ delle prestazioni
lavorative» (art. 17 del contratto collettivo del 1° aprile 1999;
art. 18 dello stesso contratto collettivo, come sostituito dall’art.
37 del contratto collettivo del 22 gennaio 2004; art. 5 del contratto
collettivo del 31 luglio 2009).
In conclusione, a parere della Regione Marche, si deve escludere
che il legislatore regionale abbia invaso il campo di disciplina del
rapporto di lavoro riservato alla contrattazione collettiva e la
competenza legislativa statale nella materia dell’ordinamento civile,
perche’ la norma impugnata, senza alcun maggiore onere per la spesa
pubblica, si e’ limitata a disporre che le risorse finanziarie
destinate al trattamento economico accessorio del personale degli
uffici di diretta collaborazione degli organi politici regionali
assumano quei caratteri di certezza, stabilita’ e continuita’ tali da
consentirne la confluenza tra le c.d. "risorse decentrate" previste
nel vigente contratto collettivo nazionale di comparto da distribuire
secondo i criteri di premialita’ rispetto alla effettiva qualita’ e
quantita’ della prestazione lavorativa e come strumenti di
incentivazione della produttivita’ e di miglioramento dei servizi
cosi’ come disciplinati dalla contrattazione collettiva.
Ne conseguirebbe, da un lato, il pieno riconoscimento da parte
della Regione del ruolo che la legislazione statale vigente assegna
alla contrattazione collettiva e, dall’altro, un’anticipazione
(ancorche’ solo parziale) dell’adeguamento dell’ordinamento regionale
ai nuovi principi fondamentali stabiliti nel decreto legislativo 27
ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in
materia di ottimizzazione della produttivita’ del lavoro pubblico e
di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), e, in
particolare, dell’art. 31, comma 2, di tale decreto legislativo che
prevede espressamente che «le regioni, anche per quanto concerne i
propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e
gli enti locali, nell’esercizio delle rispettive potesta’ normative,
prevedono che una quota prevalente delle risorse destinate al
trattamento economico accessorio collegato alla performance
individuale venga attribuita al personale dipendente e dirigente che
si colloca nella fascia di merito alta e che le fasce di merito siano
comunque non inferiori a tre».
Del resto, un’eventuale pronuncia di accoglimento della questione
determinerebbe un nuovo dispiegamento della vis normativa degli artt.
9, 10 e 11 della legge della Regione Marche n. 54 del 1997, con tutti
gli effetti ad essi connessi di perdurante sottrazione al regime
della contrattazione collettiva e di attribuzione forfetaria del
trattamento economico accessorio del personale addetto agli uffici di
diretta collaborazione degli organi politici.
2.2. – Quanto alla questione relativa all’art. 57, comma 1, della
legge della Regione Marche n. 31 del 2009, la Regione sostiene
anzitutto che le censure con le quali il Presidente del Consiglio dei
ministri lamenta la violazione del diritto comunitario sarebbero
inammissibili.
In particolare, quanto all’asserito contrasto della norma «con i
principi di cui all’art. 6 della direttiva 2001/77/CE», il ricorrente
avrebbe omesso di indicare il parametro costituzionale necessario a
configurare la questione di costituzionalita’. Invece, quanto alla
doglianza concernente la violazione dell’art. 117, primo comma,
Cost., il ricorrente ha individuato, quali norme comunitarie
interposte, gli artt. 43 e 81 del Trattato CE, ormai non piu’ vigenti
a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e
sostituiti, rispettivamente, dagli artt. 49 e 101 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea.
Nel merito, la Regione Marche afferma che il presupposto
interpretativo dal quale muove la controparte (e secondo cui dalla
disposizione censurata si ricaverebbe il divieto di autorizzazione
per gli impianti alimentati a biomasse che non possiedano le
caratteristiche individuate nella disposizione medesima) sarebbe
erroneo.
Infatti, proprio nel rispetto della logica della «promozione
prioritaria degli impianti cogenerativi di potenza elettrica
inferiore a 5 MW» di cui all’art. 5, comma 1, lettera g), del d.lgs.
n. 387 del 2003 e sulla base degli indirizzi contenuti nel PEAR, il
legislatore regionale ha fissato una volta per tutte le condizioni e
le caratteristiche degli impianti alimentati a biomasse in presenza
delle quali il rilascio della relativa autorizzazione deve
considerarsi automatico, eliminando in via generale e astratta, per
gli impianti dotati di determinati requisiti, qualunque potere
discrezionale dell’autorita’ competente al rilascio
dell’autorizzazione e anche il potere della medesima autorita’ di
imporre specifiche prescrizioni per la realizzazione e l’esercizio
del singolo impianto. Rimarrebbe del tutto impregiudicata la
possibilita’ di autorizzare secondo le ordinarie procedure
amministrative gli impianti che non presentino quei requisiti.
In questo senso la norma censurata sarebbe coerente con la logica
dell’art. 6 della direttiva n. 2001/77/CE, attuata in Italia con il
d.lgs. n. 387 del 2003, ai sensi del quale «gli Stati membri o gli
organismi competenti individuati dagli Stati membri valutano
l’attuale quadro legislativo e regolamentare esistente delle
procedure di autorizzazione o delle altre procedure di cui
all’articolo 4 della direttiva 96/92/CE applicabili agli impianti di
produzione di elettricita’ da fonti energetiche rinnovabili allo
scopo di: – ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo
all’aumento della produzione di elettricita’ da fonti energetiche
rinnovabili, – razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno
livello amministrativo, – garantire che le norme siano oggettive,
trasparenti e non discriminatorie e tengano pienamente conto delle
particolarita’ delle varie tecnologie per le fonti energetiche
rinnovabili».
La Regione Marche aggiunge che la prospettata interpretazione
dell’art. 57, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2009 non e’
smentita dal successivo comma 3 del medesimo art. 57, il quale
dispone che «gli impianti di cui al comma 1 sono autorizzabili,
previa valutazione da parte della Regione, anche in deroga a quanto
previsto nel medesimo comma 1 se riguardano i progetti di
riconversione industriale di cui all’articolo 2 del decreto-legge 10
gennaio 2006, n. 2 (Interventi urgenti per i settori
dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonche’ in materia
di fiscalita’ d’impresa), convertito con modificazioni nella legge 11
marzo 2006, n. 81, e hanno le seguenti caratteristiche: a) esistenza
del piano industriale che preveda una dimensione dell’impianto
coerente con le esigenze della riconversione; b) preminente interesse
di carattere generale sul piano occupazionale; c) utilizzo di nuove
tecnologie ecosostenibili; d) valorizzazione delle produzioni in una
organizzazione di filiera corta».
Infatti, anche tale disposizione, anziche’ esprimere un divieto
di autorizzabilita’ di tutti gli impianti diversi da quelli da essa
contemplati, contiene una norma promozionale e semplificatoria delle
procedure di autorizzazione per impianti che, pur non presentando le
caratteristiche di cui all’art. 57, comma 1, posseggano altri
requisiti espressamente predeterminati dalla stessa norma in esame,
ma la cui sussistenza in concreto richiede una valutazione a
carattere discrezionale affidata direttamente alla Regione.
In conclusione, ad avviso della resistente, essendo possibile
attribuire all’art. 57, comma 1, legge della Regione Marche n. 31 del
2009 un significato conforme ai parametri costituzionali invocati dal
ricorrente, le relative questioni di legittimita’ costituzionale
promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri debbono essere
dichiarate non fondate.
3. – In prossimita’ dell’udienza di discussione, la Regione
Marche ha depositato una memoria nella quale insiste nelle
conclusioni rassegnate nell’atto di costituzione, ribadendo anche le
argomentazioni ivi contenute.
La Regione aggiunge, a proposito della questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 57, comma 1, legge della Regione Marche n.
31 del 2009, che tale disposizione e’ conforme agli obblighi piu’
recentemente previsti dal legislatore dell’Unione europea che,
all’art. 13, paragrafo 1, della Direttiva 23 aprile 2009, n.
2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla
promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante
modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e
2003/30/CE), impone agli Stati membri di adottare misure dirette ad
assicurare, tra l’altro, la semplificazione delle procedure
amministrative e di autorizzazione relativamente agli impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili e a quelli alimentati da
biomasse.
La difesa regionale evidenzia, inoltre, che la norma impugnata
non deroga alla disciplina statale dei procedimenti autorizzatori
posta dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, con conseguente
eterogeneita’ della presente fattispecie rispetto a quelle su cui si
e’ espressa la Corte costituzionale e relative a norme regionali che
invece introducevano quelle deroghe.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso
questioni di legittimita’ costituzionale degli articoli 11, comma 5,
e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n.
31 (Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2010 e
pluriennale 2010/2012 della Regione – Legge Finanziaria 2010).
2. – Quanto alla questione relativa all’art. 11, comma 5, della
citata legge regionale, occorre delineare il quadro normativo e di
contrattazione collettiva nel quale si inserisce la disposizione
impugnata.
Il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto
di impiego e’ contrattualizzato e’ definito dai contratti collettivi
(art. 45, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche»). Tuttavia la stessa normativa
statale dispone che per determinate categorie di personale (e,
precisamente, per i «dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri e
dei Sottosegretari di Stato»), il trattamento accessorio e’
costituito, «fino ad una specifica disciplina contrattuale», da un
unico emolumento determinato «con decreto adottato dall’autorita’ di
governo competente», il quale «e’ sostitutivo dei compensi per il
lavoro straordinario, per la produttivita’ collettiva e per la
qualita’ della prestazione individuale» (art. 14, comma 2, del d.lgs.
n. 165 del 2001).
In senso analogo alla normativa statale dispone quella della
Regione Marche. Infatti, secondo l’art. 10 della legge della Regione
Marche 8 agosto 1997, n. 54 (Misure flessibili di gestione del
personale della Regione e degli Enti da essa dipendenti e norme sul
funzionamento e sul trattamento economico accessorio degli addetti
alle segreterie particolari), i dipendenti assegnati alle segreterie
particolari dei componenti della Giunta regionale e dell’Ufficio di
Presidenza del Consiglio regionale e gli autisti sono esclusi dalla
fruizione di tutti i trattamenti accessori diversi dal trattamento
stipendiale fondamentale, quali compensi per lavoro straordinario,
compensi per la produttivita’ e progetti obiettivi o altri previsti
dal contratto collettivo per il personale delle Regioni e delle
autonomie locali (commi 1 e 7); per compensare tale esclusione, al
personale in questione e’ corrisposta un’indennita’ annua lorda
erogata in 12 rate mensili e fissata dalla stessa legge (commi 2 e
8).
L’art. 11 della legge della Regione Marche n. 54 del 1997
stabilisce – al pari della normativa statale – che il trattamento in
questione ha natura transitoria, in attesa che venga adottata la
specifica disciplina contrattuale.
Passando all’esame dei contatti collettivi del comparto Regioni
ed autonomie locali (che sono quelli che qui interessano), essi hanno
costantemente disciplinato il trattamento accessorio.
Con l’art. 31 del contratto collettivo nazionale di lavoro
sottoscritto il 22 gennaio 2004 (relativo al quadriennio 2002-2005),
e’ stato, poi, stabilito che le risorse che in precedenza erano
destinate al finanziamento della gran parte delle voci del
trattamento accessorio che avessero carattere di certezza, stabilita’
e continuita’, sarebbero confluite in un unico importo (comma 2). La
stessa clausola contrattuale individuava le risorse dirette a
costituire tale unico importo e prevedeva come esso avrebbe potuto
essere incrementato negli anni successivi (art. 31, comma 2, ultimo
periodo, e comma 3; art. 32).
Intervenendo in un simile quadro normativo e di contrattazione
collettiva, l’art. 11, comma 5, della legge della Regione Marche n.
31 del 2009 dispone che le risorse destinate al finanziamento del
trattamento accessorio delle categorie di personale regionale di cui
all’art. 10 della legge della Regione Marche n. 54 del 1997 hanno
carattere di certezza, stabilita’ e continuita’ e confluiscono nel
citato importo unico previsto dall’art. 31, comma 2, del contratto
collettivo del 22 gennaio 2004.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma,
stabilizzando, in modo generico, le risorse destinate al trattamento
accessorio del personale da esso menzionato, interverrebbe in una
materia riservata alla contrattazione collettiva e si porrebbe in
contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo III del d.lgs. n.
165 del 2001, che disciplina le procedure da seguire in sede di
contrattazione e prevede l’obbligo del rispetto della normativa
contrattuale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost., il quale riserva allo Stato la competenza
legislativa in materia di ordinamento civile.
3. – L’art. 57, comma 1, della legge della Regione. Marche n. 31
del 2009 dispone che «ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera g),
del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta
da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell’elettricita’) e secondo quanto previsto dal Piano energetico
ambientale regionale (PEAR), approvato con Delib.G.R. 16 febbraio
2005, n. 175, gli impianti per la produzione di energia elettrica
alimentati da biomasse da autorizzare nel territorio regionale devono
possedere le seguenti caratteristiche: a) capacita’ di generazione
non superiore a 5 MW termici; b) autosufficienza produttiva mediante
utilizzo di biomasse locali o reperite in ambito regionale; c)
utilizzazione del calore di processo, in modo da evitarne la
dispersione nell’ambiente».
In sostanza, la disposizione fissa i requisiti che debbono essere
posseduti dagli impianti per la produzione di energia elettrica
alimentati da biomasse affinche’ possano essere autorizzati nel
territorio della Regione Marche.
Il Presidente del Consiglio dei ministri censura la norma
affermando che essa viola vari parametri costituzionali.
Precisamente: l’art. 117, terzo comma, Cost. (perche’ si verte nella
materia di competenza concorrente della produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia e la norma regionale contrasta
con i principi fondamentali posti dalla legislazione statale); l’art.
117, primo comma, Cost. (per contrasto con gli artt. 43 e 81 del
Trattato 5 marzo 1957 che istituisce la Comunita’ europea, i quali
vietano, rispettivamente, le restrizioni alla liberta’ di
stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un
altro Stato membro e gli accordi consistenti nel limitare o
controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli
investimenti); l’art. 120, primo comma, Cost. (che vieta al
legislatore regionale di adottare provvedimenti che ostacolino, in
qualsiasi modo, la libera circolazione delle persone e delle cose tra
le Regioni o che limitino l’esercizio del diritto al lavoro in
qualunque parte del territorio nazionale).
4. – La Regione Marche ha sollevato eccezioni di inammissibilita’
rispetto ad entrambe le questioni di legittimita’ costituzionale.
4.1. – Con riferimento a quella relativa all’art. 11, comma 5,
della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, la difesa regionale
sostiene che la questione sia inammissibile perche’ formulata in
termini contraddittori e generici.
In particolare, la Regione afferma che il ricorrente in realta’
prospetterebbe due distinte censure fondate su ricostruzioni
dell’assetto costituzionale delle competenze legislative tra esse
incompatibili: la prima, secondo la quale si verterebbe in una
materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato, con
conseguente difetto assoluto di potesta’ legislativa in capo alle
Regioni; la seconda, basata sull’asserito contrasto in concreto tra
la norma impugnata e la disciplina statale, che presuppone invece il
riconoscimento di uno spazio di operativita’ a favore della
legislazione di fonte regionale.
Un ulteriore motivo di inammissibilita’ e’ ravvisato dalla difesa
regionale nella genericita’ della deduzione dell’asserito contrasto
con le disposizioni contenute negli artt. 40 ss. del d.lgs. n. 165
del 2001 e nella mancata individuazione del precetto costituzionale
rispetto al quale quelle disposizioni assumerebbero natura di
parametro interposto, non potendo valere, al riguardo, l’invocazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiche’ tale
precetto esclude in radice qualunque possibilita’ di intervento da
parte delle Regioni, indipendentemente dalla conformita’ o meno delle
norme regionali alla disciplina di produzione statale.
4.1.1. – L’eccezione non e’ fondata.
La censura non e’ contraddittoria ne’ generica.
Infatti dal ricorso emerge con chiarezza che il Presidente del
Consiglio dei ministri imputi alla Regione di aver invaso un campo
(quello dell’ordinamento civile) riservato in via esclusiva allo
Stato. Il richiamo alle disposizioni del d.lgs. n. 165 del 2001 e’
operato non tanto per denunciare un autonomo vizio della norma
impugnata, consistente nel contrasto tra quest’ultima e la normativa
statale, quanto piuttosto per confermare come anche da quest’ultima
si ricavi, in modo incontrovertibile, che si tratta di aspetti
oggetto di contrattazione collettiva e, dunque, appartenenti alla
materia dell’ordinamento civile.
4.2. – Rispetto alla questione di legittimita’ costituzionale
avente ad oggetto l’art. 57, comma 1, della legge della Regione
Marche n. 31 del 2009, la Regione ha eccepito preliminarmente che, in
merito all’asserito contrasto della norma con i principi di cui
all’art. 6 della direttiva 27 settembre 2001, n. 2001/77/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno dell’elettricita’), il ricorrente avrebbe omesso di
indicare il parametro costituzionale necessario a configurare la
questione di costituzionalita’.
4.2.1. – L’eccezione non e’ fondata.
Lo Stato ha menzionato i principi espressi dalla predetta norma
comunitaria, non quale autonomo parametro interposto di un precetto
costituzionale non identificato, ma semplicemente per sottolineare
che le previsioni della norma statale interposta – l’art. 5, comma 1,
lettera g), del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno dell’elettricita’) – sono conformi ai principi della
legislazione comunitaria.
5. – Nel merito, la questione relativa all’art. 11, comma 5,
della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 e’ fondata.
Tale norma stabilisce che le risorse destinate al finanziamento
del trattamento accessorio dei dipendenti addetti alle segreterie
particolari dei componenti della Giunta regionale e dell’Ufficio di
Presidenza del Consiglio regionale e degli autisti – categorie di
personale sottratte all’operativita’ delle voci di trattamento
accessorio definite dalla contrattazione collettiva – confluiscono
nelle risorse previste dalla contrattazione medesima per finanziare
quelle voci. La disposizione, quindi, sopprime sostanzialmente lo
speciale regime del trattamento economico accessorio, in precedenza
previsto per gli impiegati addetti alle segreterie particolari e per
gli autisti, con la conseguenza che anche ad essi si applica il
trattamento accessorio disciplinato dal contratto collettivo che
viene ad essere esteso, in questa maniera, a lavoratori che
originariamente non ne erano destinatari.
Questa Corte ha gia’ dichiarato l’illegittimita’ costituzionale
di norme regionali che determinavano il trattamento economico di
alcune categorie di dipendenti pubblici (sentenza n. 189 del 2007),
affermando che in tal modo esse si ponevano in contrasto con il
generale principio, secondo il quale il trattamento economico dei
dipendenti pubblici, il cui rapporto di lavoro e’ stato
"privatizzato", deve essere disciplinato dalla contrattazione
collettiva. Principio fondato sull’esigenza, connessa al precetto
costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformita’ nel
territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che
disciplinano i rapporti fra privati.
In conclusione, la norma oggetto della presente questione,
attribuendo a determinati dipendenti regionali un certo trattamento
accessorio in luogo di quello precedentemente goduto, tocca un
aspetto essenziale del regime giuridico del rapporto contrattuale di
lavoro subordinato che lega i dipendenti pubblici al loro ente di
appartenenza (nella fattispecie, alla Regione). Essa interviene a
disciplinare i reciproci diritti ed obblighi delle parti di natura
economica, che sono sicuramente riconducibili alla materia
dell’ordinamento civile, di esclusiva competenza statale.
Va, dunque, dichiarata l’illegittimita’ costituzionale dell’art.
11, comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 per
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della
Costituzione.
6. – Anche la questione di legittimita’ costituzionale dell’art.
57, comma 1, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 e’
fondata.
La norma impugnata disciplina una particolare tipologia di
impianti di produzione di energia. Si verte, pertanto, in materia di
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, oggetto
di competenza legislativa concorrente.
Orbene, la previsione di limiti generali alla possibilita’ di
realizzare impianti di produzione di energia alimentati da biomasse
e’ riconducibile, non gia’ alla disciplina di dettaglio, bensi’ a
quella attinente ai principi fondamentali della materia. Essa,
pertanto, e’ preclusa alle Regioni.
Nella fattispecie, poi, la norma regionale si pone in netto
contrasto con la disciplina statale. Invero, il d.lgs. n. 387 del
2003 (testo normativo che esprime principi fondamentali in materia di
produzione, trasporto e distribuzione dell’energia: sentenze n. 194,
n. 168, n. 124 e n. 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del 2006),
all’art. 5, prevede l’istituzione di una commissione per la
predisposizione di una relazione contenente le indicazioni necessarie
per la valorizzazione energetica delle biomasse, dei gas residuati
dai processi di depurazione e del biogas. In particolare, il comma 1,
lettera g), della norma richiede alla commissione di indicare «le
condizioni per la promozione prioritaria degli impianti cogenerativi
di potenza elettrica inferiore a 5 MW».
La normativa statale certamente esprime un favor per gli impianti
con capacita’ generativa inferiore a 5 MW, ma non contiene alcun
divieto di realizzazione di impianti con capacita’ di generazione di
energia superiore a quel limite. Invece, la norma regionale impugnata
richiede, quale condizione per la concessione dell’autorizzazione
alla costruzione, che l’impianto abbia una capacita’ generativa non
superiore a 5 MW termici.
La tesi sostenuta dalla difesa della Regione, secondo la quale la
norma censurata si limiterebbe a fissare le condizioni e le
caratteristiche degli impianti alimentati a biomasse in presenza
delle quali il rilascio della relativa autorizzazione dovrebbe
considerarsi automatico, restando impregiudicata la possibilita’ di
autorizzare, secondo le ordinarie procedure amministrative, gli
impianti che non presentino quei requisiti, e’ contraddetta dal testo
della disposizione.
La norma, infatti, afferma testualmente che «gli impianti per la
produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da autorizzare
nel territorio regionale devono possedere le seguenti
caratteristiche: a) capacita’ di generazione non superiore a 5 MW
termici (…)», per cui gli impianti che posseggono una capacita’
generativa superiore a 5 MW termici non possono essere autorizzati.
La disposizione non configura, quindi, una semplice promozione per la
realizzazione di impianti aventi capacita’ di generazione inferiore a
5 MW, ma esprime un vero e proprio divieto di autorizzazione per
impianti dotati di capacita’ generativa maggiore.
L’art. 57, comma 1, legge della Regione Marche n. 31 del 2009,
contrastando con il principio fondamentale in materia di produzione
di energia espresso dall’art. 5, comma 1, lettera g), del d.lgs. n.
387 del 2003, e’ dunque illegittimo per violazione dell’art. 117,
terzo comma, della Costituzione.
7. – La dichiarazione di illegittimita’ costituzionale deve
essere estesa, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, ai
commi 2 e 3 dell’art. 57 della legge della Regione Marche n. 31 del
2009.
In particolare, il comma 2 rende inapplicabile uno dei limiti
previsti al comma 1 (quello relativo all’utilizzazione del calore di
processo) agli impianti alimentati a biogas. Il comma 3, poi, prevede
che siano autorizzabili, in deroga a quanto previsto nel comma 1, gli
impianti che riguardano i progetti di riconversione industriale di
cui all’art. 2 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2 (Interventi
urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della
pesca, nonche’ in materia di fiscalita’ d’impresa), convertito in
legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 11 marzo 2006, n.
81, purche’ posseggano certe caratteristiche stabilite dallo stesso
comma 3. Si tratta di norme che, introducendo deroghe ai limiti
previsti dalla disposizione dichiarata illegittima, non conservano
alcuna autonomia, una volta venuta meno la disposizione della quale
costituiscono parziale deroga.
8. – Restano assorbiti gli altri profili di illegittimita’
costituzionale denunciati dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale degli artt. 11, comma 5,
e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n.
31 (Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2010 e
pluriennale 2010/2012 della Regione – Legge Finanziaria 2010);
Dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimita’ costituzionale dell’art.
57, commi 2 e 3, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2010.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Mazzella

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 24 novembre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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