Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 14-06-2011, n. 23952 Responsabilità del medico e dell’esercente professioni sanitarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 06.11.2003 il Tribunale di Latina ha condannato:

1) I.V., 2) D.M. e 3) D.L.P., alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, per il reato di cui agli artt. 41 e 589 c.p. per aver concorso a determinare la morte di D.R., dovuta a insufficienza cardio-respiratoria terminale in soggetto affetto da trauma chiuso dell’addome complicato da pancreatite post-traumatica ed occlusione intestinale, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, e segnatamente: quanto allo I. perchè in data (OMISSIS), trovandosi alla guida di autovettura, veniva a collidere con il ciclomotore condotto dalla D., che procedeva su via (OMISSIS) in località (OMISSIS), così cagionando alla stessa lesioni consistenti tra l’altro in trauma addominale chiuso, che determinavano il ricovero della stessa, per colpa consistita in imprudenza e negligenza e segnatamente nell’aver omesso, provenendo da una stradina interpoderale, di dare la precedenza a veicoli circolanti su (OMISSIS); quanto al D.L., perchè nella sua qualità di medico della divisione chirurgica dell’ospedale di (OMISSIS), ove la D. fu ricoverata successivamente all’incidente stradale, ometteva di richiedere e comunque di effettuare una TAC addominale che meglio avrebbe potuto chiarire i dubbi diagnostici; eseguiva in data (OMISSIS) un intervento in videolaparoscopia, omettendo di effettuare un intervento in laparatomia che meglio avrebbe consento di ispezionare tutti i visceri addominali; quanto al D. per aver disposto la dimissione della paziente in data (OMISSIS) senza ulteriori e necessari accertamenti nonchè esami strumentali a livello addominale, nonostante che l’ultima radiografia effettuata in data 20 maggio 1999 mostrasse un versamento endoperitonale tra il fegato e il rene, omettendo altresì di effettuare una TAC che meglio avrebbe chiarito il quadro clinico addominale; quanto al D. e al D.L. perchè, nella loro qualità di medici della divisione chirurgica dell’ospedale di (OMISSIS), cominciavano solo in data (OMISSIS) la nutrizione parentale totale, e, pertanto, con grave ritardo rispetto all’insorgenza della pancreatite che richiede l’immediato instaurarsi nella NTP. In (OMISSIS), decesso del (OMISSIS).

L’azione penale era stata promossa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma a carico anche di S.A., che veniva assolto dal Tribunale di Latina per non aver commesso il fatto in quanto in quanto egli si era limitato a svolgere mansioni di aiuto all’operazione di videolaparoscopia del 18.05.1999, e dei sanitari del "(OMISSIS)" C.G.E.A., B.F. e C.E.M., nei confronti dei quali il GUP presso il Tribunale di Roma con sentenza 10.10.2001 dichiarava non doversi procedere perchè il fatto non costituisce reato.

In parziale riforma della sentenza del tribunale, la Corte di Appello di Roma ha ridotto la pena agli imputati ed ha altresì disposto la trasmissione di copia degli atti alla Procura della Repubblica di Roma per le sue valutazioni ex art. 434 c.p.p. e segg. in ordine alla sentenza del GUP di Roma.

Con sentenza n. 34075 del 2007 la Quarta Sezione di questa Corte, decidendo sul ricorso proposto da: 1) D.L.P., 2) D. M., 3) I.V. avverso la sentenza in data 14.06.2006 della Corte di Appello di Roma, annullava la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo giudizio.

Nell’occasione questa Corte rilevava che la corte di appello, pur avendo all’udienza del primo marzo 2005 disposto a termine della discussione il rinnovo della perizia medico-legale per approfondire la valutazione della causa della morte della D. in relazione ai due ricoveri presso l’ospedale di (OMISSIS), aveva disatteso senza adeguata motivazione il giudizio dei periti, che avevano concluso la loro indagine con le seguenti affermazioni: 1) la morte della D. R. era attribuibile ad arresto cardiorespiratorio, shock diselettrolitico ed ipovolemico ed insufficienza multiorgano, conseguenti ad occlusione intestinale in soggetto con pregressa pancreatine post-traumatica; 2) nel determinismo della morte, per quanto emerso dalla documentazione sanitaria relativa ai ricoveri presso l’ospedale di (OMISSIS) e poi di (OMISSIS), non avevano influito, in maniera concausale, omissioni di diagnosi, accertamenti clinici o di cautele, nè la dimissione del nosocomio privernate il 25 maggio 1999; 3) l’alimentazione parenterale era iniziata in data 12 giugno 1999 a seguito la comparsa di liquido che fuoriusciva dal drenaggio peripancreatico, ed era continuata fino al 2 luglio 1999 (diaria clinica del (OMISSIS)) e quantomeno fino al 28 giugno precedente (a cartella infermieristica).

Secondo tale perizia collegiale era da escludere con certezza, in base alle ampie argomentazioni espresse e confermate in dibattimento, un coinvolgimento di fattori pancreatici nel determinismo della morte del soggetto, ed era irrilevante causalmente il comportamento dei sanitari dell’Ospedale di (OMISSIS). Solo dopo il trasferimento all’ospedale (OMISSIS) si era manifestata una sintomatologia chiara, o quantomeno sospetta, dell’occlusione intestinale, per cui la individuazione e gestione delle successive complicanze era demandata interamente ai sanitari di tale nosocomio, ed era considerarsi irrilevante, ai fini del determinismo della morte del soggetto, il mantenimento del tubo di drenaggio in silicone da parte dei sanitari di (OMISSIS).

Rilevava nell’occasione questo Giudice che nell’attribuire determinante rilievo causale alla prematura dimissione del 25 maggio 1999 ed al trasferimento, ritenuto improvvido e immotivato, della paziente all’ospedale (OMISSIS) al termine della seconda fase di degenza il 21 gennaio successivo, la corte di merito aveva preso nettamente le distanze dalla valutazione degli esperti da lei stessa nominati facendo ricorso a proprie valutazioni non ancorate a dati tecnici e scientifici idonei a giustificare tale dissenso, incorrendo nel vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e).

Ed aggiungeva anche che nessuna adeguata considerazione risultava svolta dai giudici di appello in ordine alla sussistenza del nesso causale tra le condotte colpose ravvisate e l’evento mortale in relazione al trattamento curativo della paziente presso l’ospedale romano dove si verificò il decesso, e che non si era tenuto conto che il nesso causale può essere ravvisato solo quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva, dovendosi escludere che la conferma dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale possa essere dedotta automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica.

In sede di rinvio alla corte di appello di Roma, previa concessione delle attenuanti generiche e dell’ulteriore attenuante del risarcimento dei danni, dichiarava non doversi procedere nei confronti di 1) D.L.P., 2) D.M., 3) I. V. in ordine al diritto loro scritto in quanto estinto per intervenuta prescrizione.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il solo D. L. deducendo la violazione dell’art. 627 c.p., commi 2 e 3 nonchè art. 597 c.p., comma 3. Si rileva al riguardo il giudice di merito avrebbe dovuto limitarsi solo alla trattazione dei punti della sentenza colpita dall’annullamento e, cioè, ad applicare i principi enunciati dalla corte in materia di nesso causale, laddove la sentenza ha invece è rivisitato tutti i punti della prima decisione e di deduce anche la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta rigidità dello motivazione e l’inosservanza di legge in relazione all’art. 623 c.p.p., lett. c) e art. 129 c.p.p., comma 2, nonchè degli artt. 40 e 41 c.p..

Al riguardo si fa tra l’altro rilevare che il profilo di contraddittorietà motivazionale si rivela evidente nella parte della motivazione in cui il giudice d’appello ritiene che non si abbia motivo di dubitar dubitare della correttezza delle conclusioni dei periti, ma poi giunge invece a conclusioni opposte sostenendo che se la diagnosi fosse stata corretta e se vi fosse stata immediata applicazione del tubo di drenaggio, si sarebbe reso possibile risolvere la lesione del pancreas in tempi brevi e che, comunque, le iniziali dimissioni furono premature e ritardarono la diagnosi di pseudo cisti epatica. E si aggiunge anche che, ancora una volta, i giudici d’appello non hanno sostanzialmente indicato gli elementi per disattendere le conclusioni peritali.

Il ricorso deve essere accolto.

Le doglianze del ricorrente tendono sostanzialmente ad affermare l’errore del giudice di appello che, nel giudizio finalizzato a verificare le condizioni indicate dall’art. 129 c.p.p., non avrebbe tenuto conto di quanto affermato da questa Corte in sede rescindente.

In altre parole si sostiene che anche la valutazione sulle condizioni di applicabilità dell’art. 129 c.p.p., ricalca gli aspetti motivazionali censurati la prima volta in sede di legittimità e dunque non tiene conto di quanto deciso dalla Corte in sede di rinvio.

Tali rilievi appaiono effettivamente fondati.

Con la precedente decisione questa Corte aveva rilevato che secondo la perizia collegiale (redatta in appello dai dottori C. L. e A.L.) era da escludere con certezza, in base alle ampie argomentazioni espresse e confermate in dibattimento, un coinvolgimento di fattori pancreatici nel determinismo della morte del soggetto, ed era irrilevante causalmente il comportamento dei sanitari dell’Ospedale di (OMISSIS), Solo dopo il trasferimento all’ospedale (OMISSIS) si era manifestata una sintomatologia chiara, o quantomeno sospetta, dell’occlusione intestinale, per cui la individuazione e gestione delle successive complicanze era demandata interamente ai sanitari di tale nosocomio, ed era considerarsi irrilevante, ai fini del determinismo della morte del soggetto, il mantenimento del tubo di drenaggio in silicone da parte dei sanitari di (OMISSIS).

E si stigmatizzava che nell’attribuire determinante rilievo causale alla prematura dimissione del 25 maggio 1999 ed al trasferimento, ritenuto improvvido e immotivato, della paziente all’ospedale (OMISSIS) al termine della seconda fase di degenza il 21 gennaio successivo, il giudice di appello aveva preso nettamente le distanze dalla valutazione degli esperti da lui stesso nominati facendo ricorso a proprie valutazioni non ancorate a dati tecnici e scientifici idonei a giustificare tale dissenso.

La nuova sentenza di appello riproduce queste discrasie.

Dopo avere ripercorso la concatenazione degli eventi, venendo al giudizio controfattuale richiesto da questa Corte in sede di annullamento con rinvio, il giudice di appello si limita ad osservare che "se la diagnosi fosse stata corretta e soprattutto, immediata, l’applicazione del tubo di drenaggio, indipendentemente dal successivo comportamento dei sanitari romani, avrebbe innegabilmente consentito di risolvere la lesione del pancreas in tempi brevi in quanto il versamento di liquido era nella sua fase iniziale e, conseguentemente, il presidio sarebbe stato rimosso prima di provocare l’occlusione intestinale".

E’ di tutta evidenza, quindi, come la decisione da ultimo impugnata continui a discostarsi dalla perizia collegiale che aveva escluso il coinvolgimento di fattori pancreatici nel determinismo della morte del soggetto, senza peraltro indicarne le ragioni.

E, soprattutto, per quanto direttamente rileva in questa sede, anche ai fini della valutazione circa la sussistenza del reato richiesta dall’art. 129 c.p.p., continua a fare leva su argomentazioni in contrasto con la perizia collegiale, pur affermandone la correttezza delle conclusioni.

In diritto si deve senz’altro ritenere che, ove nelle more della celebrazione del nuovo giudizio intervenga una causa estintiva del reato, quale, nella specie, la prescrizione, le motivazioni con le quali la Corte ha disposto l’annullamento della precedente decisione di merito devono comunque orientare le valutazioni del giudice di merito in sede di rinvio seppure nei più circoscritti limiti della valutazione connessa all’applicazione dell’art. 129 c.p.p..

L’art. 627 c.p.p., comma 3 impone infatti al giudice del rinvio di uniformarsi su ogni questione di diritto decisa.

Il punto è stato già affrontato da questa Corte che ha ritenuto, infatti, sussistere la violazione del principio di diritto posto dalla Corte di cassazione ( art. 627 c.p.p., comma 3) nel caso in cui – annullata parzialmente la sentenza per illegittima e carente motivazione nella parte concernente l’attribuibilità soggettiva del reato – il giudice di rinvio affronti la questione, relativa alla parte annullata, solo incidentalmente, per giustificare il diniego di assoluzione nel merito, adottando le medesime argomentazioni in precedenza censurate dalla Corte, e, quindi, applichi la prescrizione (Sez. 1, n. 40386 del 16/09/2004 Rv. 230620).

Si impone, pertanto, l’annullamento della decisione impugnata per una nuova valutazione questa volta rilevante per la verifica delle condizioni indicate dall’art. 129 c.p.p. che tenga conto di tutti gli elementi di valutazione sin qui processualmente acquisiti.

L’annullamento va disposto con rinvio al giudice di appello imponendosi alla luce di quanto rilevato una nuova valutazione di merito preclusa alla Corte.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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