Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 14-06-2011, n. 23951

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.G. e G.A. propongono di ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Reggio Calabria rideterminava la pena inflitta a T. G. condannato in primo grado unitamente a Tu.Gi. e G.A. per il reato di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., e L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 4); art. 4, n. 7) per avere, agendo in concorso tra loro, reclutato cittadine italiane ed extracomunitarie per fare loro esercitare la prostituzione presso il bar "Piramide" del quale erano gestori Tu.Gi. e G., o in altri locali del circondario.

La decisione del giudice di primo grado, poi confermata in appello, si fonda sugli esiti delle intercettazioni telefoniche, sulle riprese di alcune telecamere e sulla testimonianza del maresciallo dei carabinieri che aveva condotto le indagini. Deducono in questa sede i ricorrenti:

T.G.:

1) inosservanza o erronea applicazione della L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 4); art. 4, n. 7) e art. 192 c.p.p..

Si premette che i giudici di merito hanno ritenuto integrato il reato sulla base di intercettazioni telefoniche ignorando tuttavia le interpretazioni alternative proposte dalla difesa anche nei motivi di gravame. Si ritengono non ravvisabili nella specie i requisiti del reato mancando la prova dell’acquisizione della disponibilità o del controllo delle ragazze nonchè del potere di collocazione e/o di persuasione delle donne a recarsi in un determinato luogo per esercitare la prostituzione. Si rappresenta che nella telefonata n. 419 del 2006, citata dai giudici di merito, si rileva che la donna interessata aveva declinato liberamente l’invito e che, in sostanza, l’imputato intendeva avviare unicamente un’attività di intrattenimento nel proprio locale.

2) mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione nonchè violazione dell’art. 522 c.p.p.. Si rileva che l’aggravante della L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7) che contempla il fatto in danno di più persone, pur ritenuta in sentenza dal tribunale, non è stata in realtà mai contestata, e che vi è dunque lesione dei diritti dell’imputato in quanto lo stesso non è stato messo nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l’aggravante.

3) Mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla L. n. 75 del 1958, art. 4 e art. 192 c.p.p.. Si rileva che l’aggravante ravvisata, oltre che per le ragioni esposte nel precedente motivo di ricorso, non poteva comunque trovare applicazione in quanto in tutta la vicenda processuale non esistono persone offese danneggiate dall’attività compiuta dall’imputato e non appare dunque sufficientemente motivata nel merito la sussistenza dell’aggravante medesima non potendosi attribuire ai contatti telefonici del ricorrente con le sue interlocutrici lo scopo di reclutamento.

G.A.:

1) violazione ed erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., in relazione all’art. 530 c.p.p.. Si sostiene riguardo essere la condanna conseguenza di macroscopici errori di valutazione del quadro probatorio nulla essendo emerso nei confronti dell’imputato e non avendo egli avuto contatti personali o di frequentazione con alcuno dei due coimputati ma solo contatti telefonici occasionali in numero assolutamente esiguo rispetto alla mole delle telefonate intercettate. Si contesta nel merito l’interpretazione delle telefonate fatta dai giudici di appello essendosi l’imputato limitato a chiedere ai suoi interlocutori notizie di ragazze o a lamentarsi dell’aspetto fisico di qualcuna di esse. Non vi sarebbe prova dunque nè di attività di ricerca delle ragazze nè di persuasione delle stesse a recarsi nel locale per esercitare la prostituzione.

2) violazione della L. n. 75 del 1958, art. 3 mancando il dolo specifico del reato;

3) violazione e/o falsa applicazione alla L. n. 75 del 1958, art. 4, nn. 1) e 7) non essendovi adeguati elementi di prova al riguardo.
Motivi della decisione

Va rigettato il ricorso di T.G. per le ragioni di seguito indicate.

1) Si appalesa sostanzialmente inammissibile il primo motivo di ricorso in quanto articolato su censure di merito peraltro manifestamente infondate.

I giudici di appello hanno correttamente motivato la sussistenza del reato rilevando che le indagini avevano consentito di appurare che nel locale venivano impiegate soprattutto donne di nazionalità straniera che in molte occasioni si intrattenevano con degli uomini nei pressi dell’ingresso del bar, allontanandosi poi con loro o a piedi o sulle loro automobili, rientrando successivamente accompagnate da questi ultimi.

L’attività visiva è stata correttamente integrata con l’analisi del contenuto delle intercettazioni telefoniche in cui si faceva riferimento a "un bar dove non si gioca a carte, un bar speciale", alla circostanza che le ragazze dovessero fare sesso con i clienti e logicamente si sottolinea anche, come in una occasione una delle ragazze si era lamentata con il suo interlocutore rumeno che il locale in questione era un bar di prostitute e che Daniel aveva mentito.

Tali risultanze correttamente hanno indotto i giudici di appello a ritenere inattendibili le spiegazioni dell’imputato che, anche in difformità di quanto sostenuto da Tu.Gi., aveva spiegato la presenza delle ragazze con l’intento di aiutarle in quanto connazionali di una donna rumena con la quale aveva una relazione.

Correttamente, infine, la corte di merito spiega che il delitto di reclutamento di prostitute si esaurisce e si consuma concretamente nell’attività di ricerca da persona da ingaggiare o in quella di persuasione delle medesime legarsi in un determinato luogo per l’esercizio della prostituzione a nulla rilevando, a tale fine, che a siffatta attività sia seguito l’effettivo esercizio della prostituzione (ex plurimis Sez. 6, n. 4137 del 07/12/2006 Rv.

235605).

2) quanto al secondo motivo correttamente richiamano i giudici di merito gli arresti della Corte secondo cui la pluralità di fatti di sfruttamento o favoreggiamento nei confronti di più prostitute non concreta una molteplicità di reati, ma realizza un unico delitto di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione altrui, aggravata a norma della L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 7, perchè commesso in danno di più persone, sempre che si tratti di attività svolta nel contesto di uno stesso rapporto intersoggettivo; ciò in quanto solo in questo caso l’azione antigiuridica nei confronti di più prostitute può essere considerata unica. (Sez. 3, n. 14019 del 30/09/1986 Rv. 174573).

Sostanzialmente, pertanto, come correttamente rilevato dai giudici di appello, si deve ritenere che il tribunale abbia proceduto a una riqualificazione essendo stata contestata in origine la continuazione tant’è che nel calcolo della pena non si fa più riferimento ad un aumento della pena base per la continuazione ma solo per l’aggravante di cui all’art. 4, n. 7).

Nè può negarsi che l’aggravante che sia stata in fatto contestata stante la menzione di una pluralità di donne dedite alla prostituzione già nella originaria contestazione, e non prevedendo l’aggravante l’identificazione delle persone.

3) Rimane così assorbito anche il terzo motivo di ricorso.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

E’ da ritenere invece fondato il ricorso di G.A..

Dinanzi alla corte di appello l’imputato si era doluto della mancata assoluzione rilevando che il maresciallo S., principale teste d’accusa, aveva risposto negativamente alla domanda se il G. avesse effettivamente reclutato le ragazze e che non erano indicate le fonti di convincimento circa la responsabilità dell’imputato.

I giudici di appello hanno risposto a tali rilievi con motivazione certamente incongrua e contraddittoria.

Non solo, infatti, non si sono curati di indicare le ragioni per le quali hanno ritenuto ininfluente la testimonianza del maresciallo, ma hanno motivato la conferma della decisione di condanna di primo grado facendo riferimento ad elementi privi di valenza probatoria o comunque contraddittori rispetto alle conclusioni raggiunte. Si fa riferimento, infatti, in motivazione a due conversazioni telefoniche con il coimputato T.G. nelle quali si faceva riferimento ad una certa L. da impiegare nel bar del T. che oltre a non essersi prostituita veniva descritta per il suo aspetto fisico, per nulla avvenente ed incapace di costituire un’attrazione. Ora a prescindere dal fatto che, come correttamente rilevato dal ricorrente nulla viene detto in sentenza sulla frequenza dei contatti con il coimputato e che la sporadicità di essi nel tempo induce ad escludere piuttosto che a confermare l’esistenza di un’attività comune, non si chiarisce in sentenza come il compendio motivazionale concernente la L. si possa conciliare con la declaratoria di responsabilità dell’imputato, a questo punto meramente assertiva.

Rimangono così assorbiti gli altri motivi dedotti e, dunque, limitatamente alla posizione del ricorrente G., la decisione dei giudici di appello deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad opera della corte di appello di Reggio.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Reggio Calabria limitatamente alla posizione dell’imputato G.A.. Rigetta il ricorso di T. G. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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