Cass. pen., sez. II 27-06-2008 (25-06-2008), n. 26011 Interprete – Successiva prestazione dell’ufficio di teste – Incompatibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 30.6.2006, il Tribunale di Reggio Emilia dichiarò S.K. e S.I. responsabile dei reati di sequestro di persona, rapina, nonchè S.K. responsabile del reato di lesioni, unificati i reati a ciascuno ascritti sotto il vincolo della continuazione e – concesse le attenuanti generiche equivalenti e aggravanti in relazione al delitto di rapina al solo S. I. – condannò:
– S.K. alla pena di anni 7 di reclusione ed Euro 2.000,00, di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale durante l’esecuzione della pena;
– S.K. alla pena di anni 4 mesi 4 di reclusione ed Euro 650,00, di multa, interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5;
entrambi furono condannati al pagamento in solido delle spese processuali e ciascuno a quelle di custodia in carcere.
Avverso tale pronunzia gli imputato proposero gravame e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 26.9.2007, ridusse la pena a S.K. ad anni 6 di reclusione ed Euro 1.400,00, di multa ed a S.I. ad anni 4 di reclusine ed Euro 600,00, di multa, confermando nel resto la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato S.K. deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’utilizzo ai fini della decisione di traduzioni nulle e testimonianze inutilizzabili in quanto la difesa all’udienza del 7.6.2006 aveva sostanzialmente ricusato l’interprete C. T. in quanto aveva tradotto quale interprete della polizia giudiziaria e del P.M.; inoltre era stata eccepita l’incompatibilità con l’ufficio di testimone di S.B. in quanto aveva tradotto per la polizia giudiziaria le sommarie informazioni della persona offesa; il Tribunale aveva respinto le eccezioni e la Corte territoriale aveva rigettato l’appello contro la relativa decisione;
l’art. 144 c.p.p., vieta a pena di nullità che svolga funzioni di interprete chi non può essere assunto come testimone e l’art. 197 c.p.p., vieta la testimonianza di chi abbia svolto nel procedimento la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario;
l’interprete avrebbe svolto funzioni di ausiliario sia della polizia giudiziaria che del P.M.; quanto al teste S.B. si dovrebbe ritenere l’incompatibilità con l’ufficio di testimone anche per gli ausiliari della polizia giudiziaria;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di rapina aggravata senza che l’accusa avesse provato il possesso da parte della persona offesa della somma di Euro 1.200,00, e senza che fosse stata rinvenuta la sim card asseritamene sottratta in sede di perquisizione nei confronti dell’imputato; inoltre vi sarebbe contrasto fra le dichiarazioni rese dalla persona offesa in fase di indagini preliminari ed in fase dibattimentale; peraltro la sottrazione sarebbe stata antecedente alle percosse; mancherebbe l’ingiusto profitto e si sarebbe in presenza di esercizio arbitrario delle proprie ragioni; la Corte territoriale non avrebbe analizzato compiutamente le censure mosse e non avrebbe considerato che le mere affermazioni della persona offesa (peraltro erroneamente interpretate) non potevano fondare un giudizio di responsabilità; inoltre la Corte territoriale avrebbe travisato la deposizione del Maresciallo D. ritenendo che la sim card della persona offesa fosse stata rinvenuta nella disponibilità del ricorrente, mentre tale circostanza era stata esclusa dal teste;
3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di sequestro di persona in quanto dalle deposizioni di G.A. e F.L. si dovrebbe escludere che S.P. fosse stato privato della libertà personale; le dichiarazioni della persona offesa sarebbero inattendibili anche per le contraddizioni in cui era incorso; in ogni caso difettava l’elemento soggettivo del reato ed il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni;
4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di lesioni dal momento che il teste G. ha escluso di aver sentito urla o lamenti pur abitando a breve distanza dall’abitazione di K., luogo dei fatti; le dichiarazioni della persona offesa presentavano contraddizioni e la certificazione medica non proverebbe che non vi sia stato altro accadimento intermedio, nè che le lesioni siano guarite in oltre 40 giorni e non è stata effettuata perizia;
5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche nonostante fosse stata evidenziata la formale incensuratezza dell’imputato che era un emarginato sociale, giovane, lontano dai suoi cari ed avesse tenuto un irreprensibile comportamento in carcere; è stata trascurata l’intervenuta riconciliazione con la persona offesa come evidenziato dalla remissione di querela;
6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’entità della pena inflitta.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La dedotta incompatibilità dell’interprete per aver svolto la stessa funzione su incarico della polizia giudiziaria o del P.M. non determina alcuna nullità essendo le stesse tassative.
Non sussiste incompatibilità alla prestazione dell’ufficio di testimone da parte di soggetto che abbia prestato, nello stesso procedimento, quello di interprete, non essendo una tale incompatibilità compresa tra quelle previste dall’art. 197 c.p.p., e non potendosi applicare, per analogia, il disposto di cui all’art. 144 c.p.p., comma 1, lett. d), nel quale si prevede soltanto l’ipotesi inversa della incompatibilità del testimone a prestare ufficio di interprete, stante il carattere eccezionale delle norme che limitano la capacità a testimoniare. (V. Cass. Sez. 1^ sent. n. 35696 del 20.9.2006 dep. 24.10.2006 rv 234894).
Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso sono inammissibile perchè, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione tentano di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta con L. n. 46.2006, ed inoltre è manifestamente infondato.
Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati. E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.
Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.
Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.
Nel caso in esame il giudice di appello ha travisato una circostanza (quella del rinvenimento di una sim card, in realtà non avvenuto) che non presenta carattere di decisività.
Le altre censure attengono alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti e – secondo le Sezioni Unite di questa Corte -"L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento.". (Cass. Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794).
Quanto al fatto che, sul punto, il giudice di appello si è limitato a richiamare la sentenza di primo grado, pur essendovi specifiche censure nei motivi di gravame, va ricordato che, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "in tema di motivazione della sentenza di appello, è consentita quella "per relationem", con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate a carico della sentenza del primo giudice non contengano elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso: il giudice del gravame non è infatti tenuto a riesaminare una questione formulata genericamente nei motivi di appello che sia stata già risolta dal giudice di primo grado con argomentazioni corrette ed immuni da vizi logici" (Cass. Sez. 6^ sent. 31080 del 14.6.2004 dep. 15.7.2004 rv 229229).
Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Si deve rammentare che, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, si da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda". (Cass. Sez. 1^ sent. n. 11361 del 19.10.1992 dep. 25.11.1992 rv 192381).
La Corte territoriale ha rigettato la richiesta di riconoscere le attenuanti generiche sulla scorta della gravità del fatto e della capacità a delinquere manifestata e ciò esclude vizio di motivazione.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, infatti "ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (Cass. Sez. 1^ sent. n. 3772 del 11.01.1994 dep. 31.3.1994 rv 196880).
Anche il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Infatti "in tema di determinazione della misura della pena, il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione;
infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto" (Cass. Sez. 4^, sent. n. 56 del 16 novembre 1988, dep. 5.1.1989 rv 180075).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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