Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-05-2011) 15-06-2011, n. 24086 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza emessa il 23 settembre 2010 il Tribunale di Reggio Calabria rigettava la richiesta di riesame del provvedimento che aveva applicato la misura cautelare della custodia cautelare in carcere a R.G., indagato del delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen., per avere organizzato e diretto nel Comune di (OMISSIS) un’articolazione territoriale dell’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta.

Il Tribunale desumeva i gravi indizi di colpevolezza da una conversazione intercettata, avvenuta il (OMISSIS), nel corso della quale C.G., esponente di vertice dell’associazione criminale, confidava a un affiliato che l’indagato gli aveva annunciato l’intenzione di conferire una carica a tale R. M. e che, per favorire la decisione, lo stesso, insieme con P.V., si era recato a visita da O.D., altro dirigente dell’associazione. Il Tribunale aggiungeva che l’indagato, il giorno (OMISSIS), aveva partecipato a un convegno mafioso tenutosi in un ristorante di (OMISSIS), durante il quale era stata attribuita a D.R. la carica di "santista".

Contro l’ordinanza ricorre per cassazione la difesa, che denuncia mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, censurando: che non è stato fornito alcun indizio sull’esistenza e operatività della presunta consorteria diretta dall’indagato; che non è stato spiegato come l’indagato, che proviene e risiede in un paese della Locride (Antonimina), possa essere il capo della consorteria radicata a (OMISSIS), paese del mandamento ionico; che non sono state prese in esame le deduzioni difensive con cui, tra l’altro, si sosteneva la casualità della presenza dell’indagato nel ristorante di (OMISSIS) il giorno (OMISSIS). Conclude pertanto per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

2. Il ricorso è infondato.

Il Tribunale del riesame ha assolto il dovere di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, perchè ha indicato e valutato gli elementi fattuali dai quali, applicando massime di esperienza comunemente condivise (la prerogativa di conferire cariche sociali e di partecipare a riunioni associative in cui le cariche stesse vengono attribuite designa univocamente l’appartenenza del soggetto che quella prerogativa esercita, al livello organizzativo dell’associazione medesima), ha tratto il ragionevole convincimento della qualificata probabilità di colpevolezza.

Le obiezioni sollevate dalla difesa avverso la suddetta conclusione sono prive di pregio.

La pretesa di conoscere attività e imprese del "locale" che sarebbe organizzato dal ricorrente è incompatibile con la natura necessariamente sommaria delle indagini preliminari ed è destinata a trovare adeguata soddisfazione nel corso dell’istruzione dibattimentale, bastando, in questa fase procedimentale, sapere che l’indagato è gravemente indiziato di partecipazione, come organizzatore, di un’associazione di tipo mafioso.

L’apparente illogicità dell’accusa, che attribuisce all’indagato la qualifica di organizzatore e capo di un’articolazione territoriale della più ampia associazione per delinquere pur non essendo costui nato o residente nel luogo, è risolta dallo stesso ricorrente, quando, per difendersi dall’accusa di avere partecipato alla riunione presso il ristorante di (OMISSIS), assume di essere abituale frequentatore di quell’esercizio pubblico abitandovi nelle vicinanze.

Infine le deduzioni difensive sulla casualità della presenza dell’indagato nel predetto ristorante il giorno (OMISSIS), sono state implicitamente confutate dal giudice a quo, che ha valutato la contiguità temporale tra la riunione mafiosa e l’ora di ingresso e di uscita dell’indagato dal ristorante come indicativa della sua partecipazione alla riunione medesima.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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