Cass. pen., sez. I 27-06-2008 (04-06-2008), n. 25954 Aggravante del metodo mafioso non contestata nel giudizio di cognizione e ritenuta in sede esecutiva per effetto della continuazione con reato ostativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RILEVATO IN FATTO E IN DIRITTO
1. – Con ordinanza, deliberata il 14 novembre 2007 e depositata il 23 novembre 2007, la Corte di assise di appello di Catania, in funzione di giudice della esecuzione, pronunciando sulla opposizione del condannato A.S.G., ha confermato l’ordinanza 14 novembre 2007 di rigetto della richiesta di applicazione del condono alle pene inflitte all’opponente per il delitto di omicidio tentato, e per i connessi reati relativi alle armi e di estorsione aggravata, giusta sentenza della ridetta Corte territoriale 29 maggio 2001 (irrevocabile il 15 novembre 2002).
Il giudice a quo – in relazione a quanto assume rilievo nel presente giudizio – ha motivato: la sentenza in parola ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati giudicati e il delitto di associazione di tipo mafioso, pel quale A. aveva riportato precedente condanna il 22 novembre 1999; il riconoscimento della unicità del disegno criminoso col delitto associativo e la commissione dei reati nell’ambito relativo, ergo "avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero la fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso", dimostrano – a dispetto di una interpretazione meramente formalistica – la ricorrenza della aggravante prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, "anche in assenza di una formale contestazione"; non può, pertanto, essere applicato il condono, il quanto la legge elude dal beneficio il delitto associativo e tutti i reati per i quali ricorre l’anzidetta aggravante a affetto speciale.
2. – Ricorre per cassazione il condannato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Santino Garufi, mediante atto del 14 dicembre 2007, col quale dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione alla L. 31 luglio 2006, n. 241, art. 1 e art. 81 c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, invocando il principio della scindibilità della continuazione, ai fini della applicazione di benefici ai singoli reati compresi nel vincolo, e obiettando che il condono deve essere applicato in difetto della "formale contestazione" di alcuna aggravante ostativa.
3. – Il procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, con atto del 19 febbraio 2008, censura la "visione sostanzialistca del reato dai nebulosi – e dunque rischiosi – tracciati" che informa l’ordinanza impugnata, e rileva: la continuazione non costituisce "veicolo giuridico di trasmissione" delle circostanze aggravanti; nè è certamente consentito al giudice della esecuzione superare il dato formale delle aggravanti non contestate e, comunque, non ritenute dal giudice della condanna; infatti, se sul piano processuale deve escludersi l’ammissibilità di "criptoimputazioni" (posto che la contestazione di una aggravante costituisce espressione del "potere di azione"), correlata si palesa sul piano del diritto sostanziale l’esclusione della possibilità di "aggravanti tacite", silenti e inerti al momento del giudizio e, tuttavia, rilevanti ed efficaci nella fase della esecuzione; certamente non è indispensabile che il Pubblico Ministero – beninteso contestando gli elementi di fatto che integrano una aggravante – la enunci espressamente con i relativi riferimenti normativi; ma è pur sempre necessario che il giudice della cognizione, riqualificando l’imputazione, la ritenga e la affermi, espressamente e formalmente; epperò "il termine ricorre, usato inavvedutamente nell’art. 1 del D.P.R. n. 241 del 2006 (recte:
della L.), non può che richiamare una contestazione formale dell’aggravante, in quanto la diversa interpretazione "scardinerebbe" due principi del sistema processuale, quello della azione penale e quello della "netta distinzione di competenze funzionali tra il giudice della cognizione e il giudice della esecuzione". 4. – Il ricorso è, nei termini che seguono, fondato.
Non è pertinente il richiamo al principio della scissione del reato continuato.
Nel caso di specie il motivo del rigetto della richiesta di condono non risiede in alcun elemento proprio della fictio juris della continuazione, come e. g. il dies ad quem del reato continuato in relazione al termine di concessione dell’indulto.
Il giudice della esecuzione ha, invece, preso spunto dal riconoscimento della continuazione tra (a) il delitto di omicidio tentato e i reati connessi già uniti dalla continuazione interna e suscettibili di condono e (b) il delitto di associazione di tipo mafioso escluso dal beneficio L. 31 luglio 2006, n. 241, ex art. 2, comma 1, lett. a), n. 10, e, dopo aver inquadrato i delitti anzidetti sub (a), non esclusi quoad titulum dall’indulto, nel contesto associativo e nella unità del disegno criminoso che aveva avvinto tutti i reati, ha valutato che il condannato perpetrò il delitto di sangue per agevolare la attività della associazione mafiosa e, dunque – pur in difetto della contestazione – nel concorso, sul piano storico e criminologico, della aggravante a effetto speciale di cui alla D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203; epperò ha argomentato che la ricorrenza de facto della aggravante de qua ostasse alla applicazione dell’indulto.
Ma siffatta decisione integra la inosservanza della legge penale.
Proprio in termini, con riferimento a fattispecie sostanzialmente analoga – il giudice dell’esecuzione, "sul rilievo della ritenuta continuazione, in sede di cognizione, tra reati ostativi e reati non ostativi alla concessione dell’indulto, aveva … esteso l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 ai reati …, per i quali la pena era condonabile, senza che nel giudizio tale circostanza fosse mai stata contestata all’imputato" – questa Corte (Sez. 1, 29 novembre 2007, n. 46994, Molitierno, massima n. 238176) ha fissato il seguente principio di diritto:
In caso di reato continuato, ai fini dell’applicazione dell’indulto (nella specie di quello elargito con L. 31 luglio 2006, n. 241), il giudice dell’esecuzione è vincolato alla qualificazione dei reati operata nel provvedimento irrevocabile e alle circostanze formalmente ritenute dal giudice della cognizione.
Nella condivisione dei perspicui rilievi, formulati dal Procuratore generale nel pregevole parere, è appena il caso di ribadire quanto segue.
Non è certo in discussione "il potere-dovere – del giudice della esecuzione – di interpretare il giudicato e renderne espliciti il contenuto e i limiti, individuando, attraverso l’esame della sentenza irrevocabile, tutti gli elementi cognitivi idonei a consentire la definizione di questioni poste in executivis" (v. da ultimo: Cass., Sez. 1, 21 gennaio 2005, n. 11512, Spinelli, massima n. 231267).
Per i limiti intriseci e strutturali che connotano la fase della esecuzione alla luce del principio della intangibilità del giudicato, la attività interpretativa del giudice resta, però, rigorosamente circoscritta entro i confini invalicabili del "fatto contestato nell’imputazione e accertato nella sentenza", siccome giuridicamente qualificato nella pronuncia passata in giudicato (Cass., Sez. 1, 17 febbraio 2005, n. 13404, Spadola, massima n. 231260), restando preclusa la possibilità di valutare e qualificare i fatti "in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice del merito" (Cass., Sez. 1, 11 gennaio 1990 (ud. 22 novembre 1989), n. 3001, Coccone, massima n. Rv. 182969; Sez. 6, 28 giugno 1994, n. 3106, Stivala, massima n. 199149), atteso che tanto comporterebbe la (non consentita) rideterminazione della res judicata (Cass., Sez. 1, 31 gennaio 2006, n. 6362, Zungri, massima n. 233442).
Conseguono l’annullamento della ordinanza impugnata e il rinvio alla Corte di assise di appello di Catania, in funzione di giudice della esecuzione, per nuovo esame nella osservanza del principio di diritto sopra enunciato.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di assise di appello di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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