Cass. pen., sez. VI 25-06-2008 (19-06-2008), n. 25828 Mancanza – Nullità – Esclusione – Fattispecie in tema di mandato di arresto europeo – Principio dell’immutabilità del giudice

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Catania ha dichiarato sussistenti le condizioni per la consegna all’autorità giudiziaria polacca di C.B., nei cui confronti il Tribunale Circoscrizionale di Tarnobrzeg, in data 21 dicembre 2006, aveva emesso un mandato di arresto europeo per i reati di favoreggiamento e truffa.
2. – C.B. ha presentato personalmente ricorso per Cassazione.
Con il primo motivo ha dedotto la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 17 in relazione all’art. 525 c.p.p., comma 2, eccependo la nullità della sentenza impugnata in quanto emessa in una differente composizione rispetto alla sezione e al collegio che aveva istruito il procedimento con la richiesta di acquisizione della documentazione integrativa.
Con altro motivo ha dedotto la violazione della L. n. 6 del 2005, art. 17 in relazione all’art. 125 c.p.p., commi 1 e 2 e art. 101 Cost., comma 1, sostenendo l’inesistenza o quanto meno la nullità della sentenza, non preceduta dalla formula "In nome del popolo italiano".
3. – In data 13 giugno 2008 l’avvocato Luigi Vulcano, difensore d’ufficio di C.B., ha depositato una memoria in cui ribadisce i motivi presentati nel ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. – I motivi proposti nel ricorso sono manifestamente infondati.
4.1. – Il principio contenuto nell’art. 525 c.p.p., comma 2, che la ricorrente assume violato, è rivolto ad assicurare l’immutabilità e l’identità del giudice che ha disposto l’acquisizione della prova con quello che ha proceduto alla sua assunzione. La norma vuole garantire che ad assumere la decisione siano gli stessi magistrati che hanno assistito all’acquisizione delle prove: si tratta, quindi, di una disposizione diretta a tutelare l’effettività del principio di oralità e del contraddittorio, che caratterizzano il dibattimento, luogo di formazione della prova ed infatti il principio in questione riguarda la sentenza pronunciata a seguito di "dibattimento", anche se, secondo qualche orientamento (Sez. 6, 15 maggio 1997, n. 408, Lania), può estendersi anche alla pronuncia conclusiva del procedimento camerale.
Di certo non può comprendere un caso, come quello all’esame, nel quale è incontestato che, ricevuti i documenti richiesti, la Corte abbia, pur nella diversa composizione, ma nella pienezza del contraddittorio tra le parti e della completa conoscenza del materiale istruttorio disponibile, proceduto alla trattazione della domanda di estradizione (Sez. 6, 1 aprile 2004, n. 22693, Vasile).
D’altra parte, la giurisprudenza ha sempre escluso la violazione dell’art. 525 c.p.p., comma 2 nei casi in cui il diverso giudice collegiale abbia valutato prove documentali di cui sia stata disposta, in precedenza, l’acquisizione da parte del medesimo organo collegiale diversamente composto (Sez. 6, 10 luglio 2000, n. 9446, D’Ambrosio), in quanto trattandosi di prove precostituite risulta irrilevante il provvedimento di acquisizione in precedenza disposto.
Nel caso di specie non vi è stata alcuna attività istruttoria che abbia implicato la necessità di assunzione di prove, in quanto nel corso del procedimento si è provveduto solo ad acquisire la documentazione richiesta dalla L. n. 69 del 2005 sul mandato d’arresto, con la conseguenza che il mutamento di un membro del collegio appare evenienza del tutto irrilevante e comunque inidonea a determinare la nullità della sentenza impugnata.
4.2. – Per quanto riguarda l’altro motivo, si rileva che nessuna norma prevede un’ipotesi di nullità della sentenza collegata alla mancanza della formula "in nome del popolo italiano".
L’art. 125 c.p.p. prevede due requisiti formali della sentenza: il primo è quello cui fa riferimento il comma 2 dell’art. citato, relativo al fatto che la sentenza deve essere pronunciata in nome del popolo italiano; il secondo requisito, contenuto nel comma 3, richiede l’obbligo di motivazione. Ma solo con riferimento a quest’ultimo requisito è prevista la sanzione di nullità della sentenza, non anche per l’altro. Nè si rinviene tra le disposizioni generali in materia di nullità un’ipotesi di invalidità dell’attosentenza dipendente dalla mancata indicazione della formula in questione.
Invero, la validità giuridica della sentenza non dipende dalla presenza sul documento dell’intestazione "in nome del popolo italiano", ma dalla effettiva provenienza da un organo legittimato ad adottarla nel rispetto delle regole che presiedono alla sua emanazione.
5. – Alla manifesta infondatezza dei motivi dedotti consegue l’inammissibilità del ricorso, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
La Cancelleria provvedere agli adempimenti previsti dalla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
Riserva la motivazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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