Cass. pen., sez. II 25-06-2008 (11-06-2008), n. 25762 Individuazione fotografica – Assunzione – Legittimità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto del 26 aprile 2005 il difensore di fiducia di D.T. chiede che venga "cassata con tutte le conseguenze di legge" la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 22 marzo 2005 di conferma della decisione con la quale il Pretore di Vicenza il 1 aprile 1998 condannò la sua assistita alla pena di un anno di reclusione e L. 400.000 di multa ritenendola responsabile del reato di truffa aggravata e continuata "perchè con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, con artifizi e raggiri consistiti nell’indurre B.G. a credere di essere colpito da malocchio e di avere bisogno per liberarsene di fa benedire i propri denari e preziosi, induceva in errore l’uomo cagionandogli, al fine di trame profitto, il danno di averle consegnato una prima volta la somma di L. 50.000 ed un braccialetto d’oro e la seconda la somma di L. 31 milioni corrispondenti a tutti i suoi risparmi, di cui l’imputata si impossessava dopo aver convinto il B. ad entrare nella chiesa di (OMISSIS) per coadiuvare il rito con preghiere". In (OMISSIS), con recidiva specifica e reiterata.
La sentenza viene impugnata per i seguenti motivi.
In primo luogo per "mancanza assoluta di motivazione" in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa, e specificamente del raggiro, e in ordine alla attendibilità del testimone.
Si denunzia poi la violazione delle norme procedurali previste a pena di nullità in materia di riconoscimento, con riferimento tanto all’atto compiuto in aula che a quello avvenuto davanti alla polizia giudiziaria.
La sentenza viene infine censurata per la mancanza di motivazione in ordine alla entità della pena base e per la motivazione a sostegno della negazione delle generiche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è inammissibile perchè la motivazione tanto in ordine alla sussistenza del raggiro, quanto in ordine alla attendibilità del testimone, non può dirsi nè mancante, nè contraddittoria, nè manifestamente illogica, come richiesto dall’art. 606 c.p.p., comma 2. E’ evidente che per tale via si tenta di introdurre in sede di legittimità un terzo grado di giudizio di merito, il che non è ammissibile. Il secondo motivo denunzia una violazione procedurale, costituita dalla violazione degli artt. 213 e 214 c.p.p., perchè la ricognizione fotografica della imputata sarebbe stata effettuata in violazione di tali regole. Ma la sentenza spiega che la individuazione fotografica effettuata dalla persona offesa dinanzi alla polizia giudiziaria e reiterata in sede dibattimentale non è stata considerata ai fini della ricostruzione del quadro probatorio con il rilievo e la consistenza della ricognizione regolata dal codice. Essa tuttavia non è un atto vietato, vale a completare la deposizione testimoniale e ad integrare il quadro probatorio.
La scelta della Corte di Venezia è conforme all’orientamento consolidato della Corte di cassazione per il quale "In materia di valutazione della prova il giudice può trarre il proprio convincimento da ogni elemento purchè acquisito non in violazione di uno specifico divieto: in tal senso anche l’individuazione fotografica cui abbia proceduto la polizia giudiziaria può essere legittimamente assunta come prova, la cui certezza non dipende dal riconoscimento in sè, ma dalla attendibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia dell’imputato, si dice certo della sua identificazione (Cass., Sez. 4^, 4 febbraio 2004, n. 16902).
Ed ancora, "il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di P.G. e non regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto e, come tale, è utilizzabile nel giudizio in base al principio di non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice. La certezza della prova, infatti, non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi (nella specie, la persona offesa), avendo esaminato la foto dell’imputato, si dica certo della sua identificazione, e ciò soprattutto quando questa venga confermata al giudice (Cass., Sez. 4^, 8 ottobre 2003, n. 46024).
Le censure di mancanza di motivazione della quantificazione della pena e della scelta di non concedere le circostanze attenuanti generiche, sono manifestamente infondate perchè i giudici di merito hanno indicato le ragioni delle scelte con argomenti calibrati sul caso specifico e non formali o di stile.
Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità consegue la condanna della parte privata ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al pagamento della somma indicata in dispositivo alla Cassa delle ammende.
Quest’ultima condanna si impone in quanto, nel caso in esame, non vi sono ragioni idonee ad escludere la colpa del ricorrente nella proposizione di un ricorso inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 Euro alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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