Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-05-2011) 15-06-2011, n. 24030

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.A. ricorre, a mezzo del suo difensore (avverso la sentenza 28 giugno 2010 della Corte di appello di Bari, la quale, in parziale riforma della sentenza di assoluzione emessa dal G.U.P. del Tribunale di Trani in data 16.9.2008, appellata dalla costituita parte civile P.G. e dal P.M., ha dichiarato l’imputato colpevole del reato di calunnia), deducendo vizi e violazioni nella motivazione della decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

La parte civile P., a sua volta, ha depositato una memoria nella quale si sono ribaditi i profili di inammissibilità e comunque di infondatezza dell’impugnazione del B..

1.) I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

Avverso la pronuncia della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso l’imputato articolando quattro motivi di gravame.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della mancata esposizione della imputazione essendo la sentenza d’appello impugnata priva della contestazione.

Il motivo è palesemente infondato considerato che il tenore dell’accusa è ripreso testualmente e nella sua integrità nella narrativa della decisione impugnata.

Con un secondo motivo si lamenta l’omessa e/o errata notifica all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello ( art. 161 c.p.p., art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 179 c.p.p.).

Il motivo è palesemente infondato, non solo per la sua genericità C’assoluta mancanza dei presupposti di legge") non essendo stati specificati e precisati i termini della dedotta invalidità, la quale in ogni caso poteva al massimo realizzare una mera irregolarità, nella specie sanata.

Con un terzo motivo si prospetta difetto di motivazione nella errata affermazione della penale responsabilità dell’imputato per insussistenza del fatto-reato contestato; errata valutazione delle prove ( art. 192 c.p.p.) e acquisizione illegittima di documenti ( art. 191 c.p.p., in relazione all’art. 238 c.p.p.).

Con un quarto motivo si evidenzia l’apparenza della motivazione in punto di affermazione di colpevolezza.

I motivi terzo e quarto non superano la soglia dell’ammissibilità.

A parte la genericità della doglianza circa l’illegittima acquisizione e utilizzazione di documenti, per i quali si deduce apprezzamento "in malam partem", nella specie ci si trova di fronte ad una decisione ampia, articolata, con inferenze e passaggi logici corretti e adeguati, in relazioni ai quali la corte distrettuale ha dato contezza dell’erroneo giudizio del primo giudice, spiegando nel dettaglio la dinamica della vicenda e i dati documentali di riferimento e riscontro.

In tale quadro argomentativo la sentenza del giudice civile, 23 marzo 2010 del Tribunale di Trani, è stata utilizzata come elemento "ad adiuvandum" in un giudizio di penale responsabilità che aveva già basi adeguate e sufficienti per una pronuncia di colpevolezza del B., la cui denuncia è risultata essere stata strumentalmente proposta per paralizzare l’azione civile del P., diretta al recupero dell’assegno protestato (con atto del notaio Cicolani in data 8.7.2004).

E ciò per la gravata sentenza, nel tentativo dell’imputato di versare al P. un prezzo inferiore a quello complessivamente convenuto per la cessione d’azienda e per le spese già sostenute per la stagione estiva 2004, queste ultime convenzionalmente determinate nella scrittura integrativa contestualmente sottoscritta in Euro 10.300,00, con conseguente obbligazione di dover corrispondere la somma complessiva di Euro 15.300,00.

Trattasi di conclusioni ineccepibili, aderenti alle acquisizioni processuali e non modificabili per effetto delle critiche dell’impugnazione, intese ad avvalorare una diversa e più favorevole lettura del compendio probatorio, inammissibili in sede di giudizio di legittimità.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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