Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-05-2011) 15-06-2011, n. 24000 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 5.10.2010 il Tribunale di Napoli rigettava la domanda di riesame proposta da A.V. indagato del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) avverso il decreto di sequestro preventivo di un immobile sito a (OMISSIS) disposto dal GIP in data 2.08.2010.

Rilevava il Tribunale che, all’esito d’ispezioni effettuate dai VVUU, era stata accertata, nel sopralluogo del (OMISSIS), la realizzazione non prevista dalla DIA di 10 bagni annessi alle 11 stanze realizzate all’interno dell’immobile con cambio di destinazione d’uso da civile abitazione a struttura turistica recettiva.

Nel sopralluogo del (OMISSIS), eseguito nel medesimo immobile, era stata riscontrata la realizzazione di soppalchi con travi e assi di legno, alcuni non ancora ultimati, per i quali non era stato richiesto il permesso di costruire.

Entrambi gli interventi costituivano ristrutturazione edilizia che necessita del permesso di costruire stante che, il primo, aveva comportato un mutamento della destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico (l’una inquadrandosi nella categoria dell’edilizia residenziale; l’altra nella categoria delle strutture turistico ricettive) e che il secondo, con la realizzazione dei soppalchi realizzati attraverso la divisione in altezza dei vani, aveva determinato un incremento della superficie utile.

Proponeva ricorso per cassazione l’indagato denunciando violazione di legge; mancanza e manifesta illogicità della motivazione sulla ritenuta sussistenza del fumus, che non era ravvisabile non essendo certo il mutamento della destinazione d’uso, dato che l’aspetto esteriore dell’edificio non era stato alterato e che le divisioni interne non avevano snaturato la destinazione residenziale.

Non era, inoltre, ravvisabile il periculum in mora.

Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

Va, anzitutto, ribadito che, in tema di misure cautelari reali e di sequestro preventivo, l’ipotesi accusatoria deve corrispondere, per costante giurisprudenza di questa Corte, a una fattispecie astratta sicuramente prevista dalla legge come reato, sicchè, quando nella fase delle indagini preliminari sia stato indicato un fatto inquadrarle nel reato per il quale è stato disposto il sequestro, in sede di riesame del provvedimento, l’ipotesi di reato, verificabile sotto il profilo probatorio soltanto nel giudizio di merito, deve essere valutata sul piano dell’astrattezza.

Per il mantenimento del sequestro basta, quindi, la puntuale enunciazione di un’ipotesi di reato che renda necessaria la limitazione o l’esclusione della disponibilità delle cose che siano pertinenti a tale reato.

Soltanto quando l’enunciazione sia manifestamente illogica oppure quando la configurabilità del reato appaia impossibile il giudice del riesame, cui è attribuita pienezza di cognizione che gli consente di prendere in considerazione, oltre che i dati fattuali acquisiti, anche elementi difensivi sopravvenuti, è tenuto a revocare il sequestro.

Nel caso in esame nessuna delle suddette ipotesi ricorre, sicchè è legittimo il disposto sequestro preventivo del complesso immobiliare eseguito dall’indagato, la cui condotta è sicuramente riconducibile sub specie iuris anche alla fattispecie di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) alla stregua degli accertamenti eseguiti emergendo dagli stessi:

– che era stata modificata la destinazione d’uso di un immobile distribuito in 11 stanze, originariamente adibito a residenza, con la realizzazione, non assistita di titoli abilitativi, di 10 bagni;

– che, con la realizzazione di 10 vani igienici, l’originaria destinazione residenziale dell’immobile era stata radicalmente mutata in quella turistica-ricettiva con aggravamento del carico urbanistico della zona (cfr. Sezione 4 n. 34976/2010 RV. 248345);

– che nel medesimo edificio erano stati eseguiti soppalchi con travi e assi di legno, alcuni non ancora ultimati, per i quali non era stato richiesto il permesso di costruire.

Corretta, quindi, è la qualificazione del fatto come ristrutturazione edilizia che consiste nella trasformazione di un organismo edilizio mediante un insieme sistematico di opere che portino a un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente con interventi che comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti.

Tale attività di ristrutturazione può attuarsi attraverso una serie d’interventi che si caratterizzano per la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate analiticamente ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo Cassazione Sezione 3 n. 35897/2008.

Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002 assoggetta a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d’uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A).

Nella specie, tanto è stato correttamente riscontrato sia per la modifica della destinazione d’uso di un edificio a vocazione residenziale che è stato adibito a struttura turistica-ricettiva alterando in tal modo il complessivo assetto del territorio comunale attuato mediante lo strumento urbanistico al quale è affidata la pianificazione delle diverse destinazioni d’uso del territorio e l’assegnazione a ciascuna di esse di determinate quantità e qualità di servizi cfr. Sezione 3 n. 24096/2008 RV. 240726 sia per la realizzazione di soppalchi che richiedeva il conseguimento del permesso di costruire avendo la ristrutturazione comportato aumento delle superfici cfr. Cassazione Sezione 3, n. 35177/2002, Cinquegrani, RV. 222740: "Alla stregua della vigente disciplina urbanistica, ivi compresa quella dettata dalla L. 21 dicembre 2001, n. 443, art. 1, comma 6, lett. b) e di quella contenuta nel T.U. approvato con D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1 e art. 10, comma 1 le opere interne e gli interventi di ristrutturazione edilizia, come pure quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo necessitano di concessione edilizia (permesso di costruire), ogni qua volta comportino mutamento di destinazione d’uso tra categorie d’interventi funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico qualora debbano essere realizzati nei centri storici, anche nel caso in cui comportino mutamento di destinazione d’uso interno di una categoria omogenea".

Conseguentemente è stato ritenuto che il mutamento di destinazione d’uso di un immobile, attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie (cd. strutturale), dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza, realizza un’ipotesi di ristrutturazione edilizia (secondo le definizioni normative), in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Non giova all’indagato la normativa urbanistica regionale.

La L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 60, modificando la L. n. 47 del 1985, art. 25, u.c. ha previsto che "le leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, subordinare a concessione, e quali mutamenti connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione".

L’art. 10, comma 2, cit. T.U. ha riprodotto sostanzialmente tale disposizione, prescrivendo che "le Regioni stabiliscono con legge quali mutamenti connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso d’immobili o di loro parti, sono subordinati a permessi di costruire o a denuncia di nuova attività".

Nell’esercitare la loro competenza legislativa, pure a seguito della recente riforma dell’alt. 117 della Costituzione operata dalla legge costituzionale 18.10.2001, n. 3, le Regioni devono comunque tenere conto delle disposizioni di principio poste dalla legge statale cfr.

Cassazione Sezione 3 19.4.2002, Palladino e il fatto che compete alla disciplina regionale anche la regolamentazione di casi in cui il mutamento di destinazione d’uso sia connesso a trasformazioni fisiche non implica che pure gli interventi edilizi siano totalmente rimessi alle Regioni.

Il principio fondamentale nella materia appare, infatti, quello secondo cui la sottoposizione a un atto di consenso dell’amministrazione comunale del solo mutamento di destinazione d’uso senza esecuzione di opere edilizie (cd. funzionale) è subordinato all’emanazione di apposite leggi regionali.

Nella Regione Campania la materia dei mutamenti dell’uso d’immobili o di loro parti è attualmente disciplinata dalla L.R. 28 novembre 2001, n. 19, art. 2 a norma del quale detti mutamenti:

– sono liberi soltanto se realizzati senza opere e nell’ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee;

– possono essere eseguiti previa mera denuncia di attività esclusivamente qualora siano realizzati con opere che non comportino trasformazione dell’aspetto esteriore, di volumi e di superfici, a condizione, comunque, che la nuova destinazione d’uso sia compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le singole zone territoriali omogenee;

– sono soggetti a concessione edilizia qualora siano realizzati con opere che incidano sulla sagoma dell’edificio o determinino un aumento piano-volumetrico che risulti compatibile con le categorie edilizie previste per le singole zone omogenee ovvero incidano sulla sagoma, sui volumi e sulle superfici dell’edificio, con passaggio di categoria edilizia, purchè tale passaggio sia consentito dalla norma regionale;

– sono soggetti sempre e in ogni caso a concessione edilizia nelle zone agricole (zone E).

Anche alla stregua di tale normativa l’intervento de quo è astrattamente riconducibile al regime permissorio perchè è stato realizzato con opere e con rilevante aumento di superficie abitabile.

Puntualizzato, quanto al periculum, che in materia edilizia è legittimo disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivamente costruito anche quando l’edificazione risulti già ultimata, va osservato che, nella specie, il Tribunale ha rilevato che le opere erano ancora in fase di realizzazione donde la necessità di ovviare al pericolo che la libera disponibilità dell’immobile da parte dell’indagato potesse portare a conseguenze ulteriori il reato mediante la prosecuzione dell’attività illecita, sicchè è giustificato il mantenimento della misura cautelare.

Per l’inammissibilità del ricorso grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in Euro 1.000.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *