Cass. pen., sez. II 24-06-2008 (10-06-2008), n. 25685 Possibilità di concessione dell’indulto – Prevalenza della sospensione condizionale – Fondamento.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con sentenza del 4 maggio 2007, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza pronunciata il 19 gennaio 2006 dal Tribunale di Grosseto, con la quale M.L. era stato ritenuto responsabile dei reati di appropriazione indebita e truffa al medesimo contestati e condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo vari motivi a sostegno della impugnazione.
Nel primo si prospetta vizio di motivazione in riferimento alla condanna per il reato di appropriazione indebita. Si osserva, al riguardo, che la responsabilità dell’imputato, di aver utilizzato per fini personali una carta bancomat della quale disponeva quale segretario sindacale, sarebbe stata desunta esclusivamente dalla documentazione offerta dalla organizzazione sindacale costituitasi parte civile.
In particolare, si osserva che il reato potrebbe sussistere solo se fosse stato provato un effettivo danno per la parte offesa:
circostanza sulla quale la sentenza non avrebbe offerto motivazioni adeguate.
La sentenza avrebbe, poi, omesso di rispondere ai rilievi svolti dalla difesa in ordine alla attendibilità dei testi escussi.
Nel secondo motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine alla condanna per truffa e violazione del diritto di difesa in relazione al principio di immutabilità del fatto contestato.
Si osserva, infatti, che la "falsa delibera" dell’organismo sindacale, sulla cui base sarebbe stata effettuata l’assunzione dell’imputato, sarebbe stata, in realtà, un semplice foglio dattiloscritto, privo di firma: e, dunque, una semplice bozza di contratto di lavoro. Tuttavia – si osserva – mentre la contestazione faceva riferimento ad una "falsa delibera", nella motivazione i giudici avrebbero fatto leva sulla predisposizione e sottoscrizione di un inesistente contratto di lavoro, con ciò indebitamente immutando il fatto contestato.
Si deduce, poi, vizio di motivazione nella parte in cui sono stati ritenuti credibili i testi escussi, e si lamenta, infine, la mancata applicazione dell’indulto.
Il ricorso è palesemente destituito di fondamento giuridico.
Quanto, infatti, alle doglianze relative alla ritenuta responsabilità penale in ordine alla contestazione di appropriazione indebita, il ricorrente si limita a prospettare generiche censure circa la attendibilità delle dichiarazioni rese dai testimoni a carico, o sulla completezza della documentazione offerta dalle parti civili, finendo per sollecitare null’altro che una impropria rilettura dei motivati e coerenti apprezzamenti svolti al riguardo dai giudici del merito.
Per ciò che invece attiene alla truffa, parimenti inconsistente si rivela l’assunto secondo il quale vi sarebbe stato un mutamento del fatto contestato, giacchè la sostanza dell’addebito si è sempre concentrata sul fatto che, a fronte della inesistenza di qualsiasi reale deliberazione dell’organismo sindacale, l’imputato ha dato vita ad un corrispondentemente falso contratto di lavoro, artificiosamente facendo figurare come regolarmente pattuito ciò che in realtà non era stato affatto deciso e convenuto fra le ipotetiche parti contraenti.
Per ciò che infine concerne la pretesa mancata applicazione dell’indotto, va rilevato che – anche a voler prescindere dalla applicabilità dell’istituto pure in executivis e della assenza di un obbligo del giudice della cognizione di pronunciarsi sul punto in assenza di una espressa richiesta, non dunque proponibile in questa sede di legittimità (ex plurimis, Cass., Sez. 3^, 15 novembre 2007, Di Donato) – è assorbente rilevare che, nella specie, nei confronti dell’imputato è stato applicato il più favorevole beneficio della sospensione condizionale della pena.
Va infatti qui ribadito che, qualora ricorrano simultaneamente i presupposti per la concessione sia della sospensione condizionale della pena, sia dell’indulto, la prima prevale sul secondo, in quanto determina, una volta realizzatesi le condizioni previste dalla legge, l’estinzione del reato, e non della pena soltanto (Cass., Sez. 1^, 14 novembre 2007, Della Corte).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese a favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2.812,50 di cui Euro 2.500,00 per onorari di avvocato, oltre I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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