Cass. civ. Sez. I, Sent., 25-10-2011, n. 22156 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- A.G. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione – affidato a un solo motivo – contro il decreto della Corte di appello del 29.5.2009 con il quale è stata dichiarata "inammissibile per indeterminatezza" la loro domanda di equa riparazione presentata ai sensi della L. n. 89 del 2001, in riferimento alla durata irragionevole di un giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. del Lazio il 23.5.2001 e definito con sentenza del 28.11.2008.

Ha osservato lai Corte di merito che gli attori, nel ricorso, non avevano fatto "alcun cenno al danno che, in concreto" avrebbero potuto subire a causa della violazione del termine ragionevole e che il danno ex lege n. 89 del 2001 non è "in re ipsa".

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese, limitandosi a chiedere di poter partecipare alla discussione.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in Camera di consiglio.

2.- Con l’unica censura i ricorrenti denunciano violazione di legge lamentando che la Corte del merito non abbia ritenuto sussistente il danno patrimoniale da essi lamentato.

Il ricorso è fondato perchè secondo la giurisprudenza di questa Corte "in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale "in re ipsa" – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Siffatta lettura della norma di legge interna – oltre che ricavabile dalla "ratio" giustificativa collegata alla sua introduzione, particolarmente emergente dai lavori preparatori (dove è sottolineata la finalità di apprestare in favore della vittima della violazione un rimedio giurisdizionale interno effettivo, capace di porre rimedio alle conseguenze della violazione stessa, analogamente alla tutela offerta nel quadro della istanza internazionale) – è imposta dall’esigenza di adottare un’interpretazione conforme alla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo (alla stregua della quale il danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole del processo, una volta che sia stata dimostrata detta violazione dell’art. 6 della Convenzione, viene normalmente liquidato alla vittima della violazione, senza bisogno che la sua sussistenza sia provata, sia pure in via presuntiva), così evitandosi i dubbi di contrasto con la Costituzione italiana, la quale, con la specifica enunciazione contenuta nell’art. 111, tutela il bene della ragionevole durata del processo come diritto della persona, sulla scia di quanto previsto dalla norma convenzionale" (Sez. U, Sentenza n. 1338 del 26/01/2004).

Dal decreto impugnato non risultano "circostanze particolari che facciano positivamente escludere" che i ricorrenti abbiano subito il danno lamentato.

Il decreto impugnato, pertanto, deve essere cassato e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., la Corte deve procedere alla liquidazione dell’indennizzo in favore di ciascun ricorrente nella misura di Euro 3.250,00. Ciò tenuto conto della durata irragionevole del giudizio presupposto, pari a circa 4 anni (a fronte di quella ragionevole di tre anni per un grado di giudizio), in applicazione della più recente giurisprudenza di questa Sezione e dei criteri desumibili dalle decisioni della Corte di Strasburgo (v. per tutte Sez. 1, Sentenza n. 21840 del 14/10/2009).

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere a ciascuna parte ricorrente la somma di Euro 3.250,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il primo giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 846,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge;

e per il presente giudizio di legittimità in Euro 665,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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