Cons. Stato Sez. V, Sent., 20-06-2011, n. 3693 Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 5262/2010 il Tar per il Veneto ha respinto il ricorso proposto da E. s.p.a. avverso:

– la deliberazione della Giunta Comunale di Tribano n. 106 dd. 10 novembre 2009, prot. 9242, con la quale si è deliberato di procedere alla formale comunicazione alla ricorrente della determinazione dell’amministrazione comunale di esercitare il diritto di recesso dal contratto per l’affidamento di concessione di costruzione e gestione di un impianto ludico ricreativo natatorio nel Comune di Tribano;

– la deliberazione della Giunta Comunale di Tribano n. 110 dd. 30 novembre 2009, avente ad oggetto l’esercizio del diritto di recesso da parte dell’amministrazione comunale del contratto per l’affidamento della concessione di costruzione e di gestione di un impianto ludico ricreativo natatorio nel Comune di Tribano, sottoscritto in data 9 maggio 2009 (rep. 1542) con effetto dal 5 dicembre 2009, dando contestualmente mandato agli uffici competenti dell’Amministrazione Comunale medesima di procedere alla liquidazione in favore dell’impresa ricorrente della somma di Euro 131.977,44.

E. s.p.a. ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

Il comune di Tribano si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione da parte di E. s.p.a. degli atti con cui il comune di Tribano ha deciso di esercitare il recesso dal contratto per l’affidamento della concessione di costruzione e di gestione di un impianto ludico ricreativo natatorio.

Il giudice di primo grado ha in primo luogo ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, rilevando che "Il rapporto posto in essere tra le parti assume nella forma la connotazione di una concessione, formalmente estesa anche alla gestione di un bene pubblico, con conseguente attrazione della fattispecie alla giurisdizione amministrativa ai sensi di quanto disposto dall’art. 5 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 come da ultimo modificato dall’art. 7 della L. 21 luglio 2000 n. 205, e senza che pertanto rilevi, al riguardo, il discrimine posto dall’art. 245 del D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163 nel testo antecedente alla modifica introdotta dall’ora vigente D.L.vo 20 marzo 2010 n. 53 in ordine alla circostanza che la controversia involge la disciplina di fonte convenzionale in essere tra le parti e non il presupposto procedimento di scelta del contraente".

Con riguardo al merito del ricorso il Tar ha respinto le domande, ritenendo che "il rapporto concessorio vigente inter partes assume, nella sostanza, il contenuto proprio di un contratto di appalto" e che "è dunque legittima la decisione del Comune, con richiamo sia a motivazioni in ordine al pubblico interesse, sia a quelle proprie che governano il recesso dal vincolo contrattuale, di addivenire – per l’appunto – al recesso dal rapporto con E. ai sensi dell’art. 134 del D.L.vo 163 del 2006 che, come correttamente affermato dall’Amministrazione Comunale, è disciplina applicabile anche alle concessioni, ai sensi dell’art. 142 dello stesso Codice dei contratti".

L’appellante contesta tali statuizioni, deducendo che si tratta di una concessione di lavori pubblici (costruzione e gestione), cui non è applicabile l’art. 134 del d. lgs. n. 163/06, ma l’art. 158 (revoca) e che non sussistono le ragioni di pubblico interesse per procedere alla revoca della concessione.

E. s.p.a. contesta anche la competenza della giunta comunale ad adottare gli atti impugnati e i criteri utilizzati per quantificare l’indennizzo dovuto dal comune.

3. In primo luogo, si rileva che sulla sussistenza della giurisdizione amministrativa si è formato il giudicato e tale giudicato attiene anche alla qualificazione del rapporto tra le parti come concessione, da cui è dipesa l’estensione della giurisdizione anche alla fase esecutiva del rapporto.

L’impugnata sentenza è viziata da contraddittorietà tra la parte in cui, ai fini della giurisdizione, il rapporto viene qualificato come concessione e la successiva parte in cui, esaminando il merito, si ritiene si tratti nella sostanza di un appalto.

Deve, peraltro, ritenersi che si tratti effettivamente di una concessione di lavori pubblici, essendo stata affidata alla ricorrente sia la costruzione dell’opera sia la successiva gestione dell’impianto.

Lo schema utilizzato è stato quello dell’art. 142 del d. Lgs. n. 163/06, che non è di per sé incompatibile con la corresponsione di un prezzo da parte dell’amministrazione.

Nel caso di specie il problema è stato che il prezzo da corrispondere e il canone pattuito a carico del comune hanno reso non conveniente l’operazione e ciò ha costituito motivo per l’adozione dei provvedimenti impugnati.

In sostanza, il comune ha posto in essere una procedura finalizzata all’affidamento di una concessione di lavori pubblici, ma lo ha fatto a condizioni per esso non convenienti; tale ultimo elemento non muta la natura del rapporto che resta una concessione di lavori pubblici.

La qualificazione del rapporto come concessione non determina, tuttavia, il pieno accoglimento delle tesi dell’appellante, in quanto il comune aveva avviato un procedimento finalizzato alla revoca o al recesso e, pur qualificando l’atto conclusivo come recesso, ha adottato una "doppia motivazione" attinente anche a ragioni di interesse pubblico, idonee a giustificare un provvedimento di revoca.

E infatti, l’appellante ha contestato anche la sussistenza dei presupposti per procedere alla revoca, ma tali censure sono prive di fondamento.

Al riguardo, si ricorda che l’art. 21quinques della legge n. 241/90 ha accolto una nozione ampia di revoca, che può essere fondata su tre alternativi presupposti costituiti da: a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

Le prime due ipotesi attengono a sopravvenienze, che sono distinte a seconda che riguardano circostanze estrinseche a quelle esaminate al momento dell’adozione dell’originario atto (sopravvenuti motivi di pubblico interesse) o intrinseche (mutamento della situazione, in precedenza valutata); la terza ipotesi è, invece, quella tipica dello jus poenitendi in assenza di elementi nuovi, quando l’amministrazione riconosce che l’originaria valutazione dei fatti non è stata corretta sotto il profilo dell’opportunità e rivaluta il proprio interesse, giungendo a conclusioni diverse da quelle adottate in origine.

Nel caso di specie, il comune ha giustificato la sussistenza del pubblico interesse alla revoca del provvedimento sia sulla base di elementi sopravvenuti (difficoltà di garantire l’equilibrio finanziario dell’operazione poiché "in seguito al sequestro delle obbligazioni ex Co.se.con non risulta più possibile fare affidamento sulle cedole di tali obbligazioni e sul possibile valore a scadenza delle medesime, che avrebbero consentito l’estinzione anticipata del mutuo"), sia una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (non convenienza dell’operazione per l’amministrazione in considerazioni dei rilevanti oneri posti a suo carico a fronte di una assenza o di una limitata alea per il concessionario e dei limitati vantaggi per la collettività derivanti dalla realizzazione di una piscina scoperta, utilizzabile solo alcuni mesi l’anno e con la presenza di analogo impianto a soli 5 km. di distanza).

Tali ragioni sono più che sufficienti a giustificare l’interesse pubblico alla revoca dei provvedimenti, avuto riguardo anche alla posizione di controinteresse dell’appellante.

In definitiva, gli atti impugnati integrano nella sostanza provvedimenti di revoca, adottati legittimamente sulla base degli indicati presupposti.

4. La qualificazione degli atti come revoca consente di esaminare le ulteriori censure.

Non sussiste il vizio di incompetenza della giunta comunale, in quanto la revoca attiene non alla decisione in astratto di realizzare l’impianto, ma alle concrete condizioni in base a cui si è proceduto all’affidamento; condizioni derivanti da precedenti atti approvati dalla giunta, che – rispettando così il principio del contrarius actus – ha rivalutato (negativamente) l’operazione.

5. Sono, invece, fondate nei sensi e nei limiti che seguono le censure inerenti l’indennizzo.

La qualificazione dell’atto come revoca determina l’inapplicabilità dei criteri di quantificazione delle somme dovute, fissati per l’ipotesi del recesso dall’art. 134 del d. lgs. n. 163/06; pur non trattandosi di un project financing, sono applicabili i criteri individuati anche per l’ipotesi della revoca dell’art. 158 del d. lgs. n. 163/06.

Tale disposizione prevede che quando il soggetto concedente revoca la concessione per motivi di pubblico interesse, "sono rimborsati al concessionario: a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario; b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione; c) un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero della parte del servizio ancora da gestire valutata sulla base del piano economicofinanziario".

Si tratta di criteri che differiscono solo in parte da quelli applicati in base all’art. 134 e l’amministrazione comunale, in esecuzione della presente sentenza, dovrà procedere ad una nuova quantificazione delle somme dovute sulla base dei criteri di seguito indicati ai sensi dell’art. 34. comma 4, cod. proc. amm., che ha esteso il meccanismo di cui all’art. 35, comma 2, d. lgs. n. 80/98, previsto per il solo risarcimento del danno, a tutte le condanne pecuniarie, in relazione alle quali "il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti".

In particolare, il comune dovrà verificare l’esistenza di penali o altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della revoca sulla base di idonei documenti giustificativi, che devono essere anteriori alla pubblicazione della presente decisione (il criterio non è, quindi, quello del valore dei materiali utili esistenti in cantiere ex art. 134 e la questione dei materiali asseritamente già acquistati, oggetto dell’ultimo motivo di ricorso, deve essere assorbita in quanto rientrante – senza essere pregiudicata dalla presente decisione – nella rivalutazione rimessa all’amministrazione).

I costi rimborsabili sono, tuttavia, solo quelli riferiti ai lavori e ammissibili sulla base delle condizioni contrattuali (al riguardo, si osserva che la ricorrente non ha contestato l’affermazione del comune circa l’assenza di dichiarazioni inerenti il subappalto, da ritenersi quindi non ammesso).

Va, infine, chiarito che l’indennizzo di cui alla lett. c), del primo comma del citato art. 158 deve riguardare nel caso di specie solo il 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire, e non anche "la parte del servizio ancora da gestire valutata sulla base del piano economicofinanziario", che costituisce previsione alternativa, che specie per una operazione, quale quella in esame, caratterizzata da un prezzo e un canone di gestione a carico del comune, sarebbe stata applicabile solo in caso di revoca intervenuta dopo la conclusione dei lavori e a gestione in corso.

6. In conclusione, il ricorso in appello va accolto in parte nei sensi indicati in precedenza.

La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del doppio grado del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), accoglie in parte il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso proposto in primo grado, annullando il provvedimento impugnato con motivi aggiunti nei limiti e nei sensi di cui in parte motiva.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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