Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-03-2011) 15-06-2011, n. 24053

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con sentenza del 13.2.2001 il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato C.N. alla pena di sette anni di reclusione, dichiarandolo colpevole del delitto di associazione di stampo mafioso con ruolo direttivo per aver capeggiato la cosca ("locale") di Filici, riconducibile alla organizzazione della ‘ndrangheta facente capo alle "famiglie" Latella e Barreca, a far data dal maggio 1994.

Adita dall’impugnazione del C., la Corte di Appello di Reggio Calabria ha confermato la decisione di primo grado con sentenza in data 30.7.2007, divenuta definitiva a seguito del rigetto del ricorso dell’imputato deciso con sentenza 27.4.2009 della Corte di Cassazione.

Le due conformi decisioni di merito, muovendo dalla conclamata sussistenza della aggregazione mafiosa contestata al C. e ai coimputati, quale espressione di accordi "foderativi" raggiunti tra i responsabili delle cosche locali dopo le sanguinosa guerra di mafia sviluppatasi nell’area di Reggio Calabria tra gli anni 80 e 90 (cd. faida Pellaro), hanno individuato le affidabili prove del ruolo apicale sviluppato dal C. (cognato di D.M., "uomo d’onore" ucciso nella ridetta guerra per il controllo mafioso del territorio) in una serie di congiunti elementi costituiti:

a) dai contenuti delle numerose conversazioni intercettate sull’autovettura del coimputato S.A., in una delle quali ((OMISSIS)) interviene anche C., asseveranti il ruolo di quest’ultimo nel "controllo" delle attività criminose realizzate dalla ‘ndrangheta nel territorio di sua "competenza" (zona di (OMISSIS));

b) nel coinvolgimento del C. nelle vicende estorsive connesse all’apertura dell’esercizio commerciale Tuttomoda del negoziante So.Na., collocato a ridosso delle confinanti aree di due "locali", tra cui quella del C., al quale – per quanto emerso dalle captazioni – il So. si rivolge per la "protezione" della propria attività, assumendo – tra l’altro – a tempo pieno nel suo esercizio una nipote dell’imputato (a nulla rilevando che questi, attese le discrepanti dichiarazioni dibattimentali della persona offesa, sia stato prosciolto dal reato estorsivo in danno di So., consumato materialmente da altri suoi sodali con pretese di versamenti periodici di denaro);

c) dalle convergenti e reciprocamente riscontrantisi dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia R.G. e B.F., altresì confermate – per il R. – dal compendio delle conversazioni intercettate; dichiarazioni attendibili (l’efficacia collaborativa dei due propalanti essendo già emersa in altri procedimenti) ed avvaloranti il ruolo di vertice pienamente "attivo" del C. nel governo delle vicende criminose attuate nel territorio della sua "locale". 2.- Con istanza presentata alla competente Corte di Appello di Catanzaro ( art. 633 c.p.p., comma 1) il difensore del C. ha chiesto la revisione della sentenza di condanna, adducendo, ai sensi dell’art. 630 c.p.p., lett. c), la sussistenza di "prove nuove" preesistenti, ma mal valutate in sede di cognizione, nonchè sopravvenute, idonee – le une e le altre – ad indurre il proscioglimento del condannato dall’ accusa di associazione mafiosa.

In particolare l’istanza ha addotto che:

1) le due sentenze di merito hanno compiuto una valutazione parcellizzata delle accuse dei collaboratori di giustizia R. G. e B.F., smentite dagli esiti del separato processo cd. (OMISSIS) (definito con sentenza della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria del 23.6.2000), nel quale C. è stato assolto dalla contestazione di associazione mafiosa;

2) il ruolo di comprimario dell’organizzazione mafiosa "foderata" assegnato al C. dalla sentenza di appello scaturisce da un quadro decisorio basato su congetture e su una vaga collocazione temporale, quadro contraddetto da dichiarazioni di altri collaboranti ( F.D. e L.G., esaminati nel processo contro l’istante), che non inscrivono il C. nelle attività di ‘ndrangheta realizzate nelle aree di (OMISSIS), svilendo l’accusa del c.d.g. B. di essere il C. succeduto nella guida della "locale" dopo l’uccisione del cognato D. M.; evenienze emerse anche nel processo (OMISSIS) (c.d.g.

Ca.Gi. e Po.Pa.), in cui il C. risulta un semplice imprenditore edile della zona, non potendosi istituire l’impropria assimilazione dell’attributo di "uomo di onore" a quello di "mafioso";

3) la vicenda estorsiva concernente l’esercizio Tuttomoda, che pure la sentenza di appello qualifica come snodo centrale della ricostruzione del contegno mafioso del C., si è risolta con il proscioglimento dello stesso, nè ulteriori coinvolgimenti criminali di segno mafioso sono venuti in luce dalle indagini svolte sugli aggregati mafiosi reggini dopo le vicende oggetto del processo riguardante il condannato.

3.- La Corte di Appello di Catanzaro con l’ordinanza del 7.10.2010, richiamata in epigrafe, ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta di revisione.

Richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità, i giudici della revisione hanno premesso che ai fini di un nuovo giudizio rescissorio (di revisione) questo deve necessariamente fondarsi su prove o elementi di indagine diversi da quelli compresi nel processo conclusosi con il precedente giudicato (o perchè nuovi in quanto sopravvenuti dopo la sentenza, o perchè preesistenti ma non opportunamente valutati per cause diverse dalla loro mancata deduzione o dal mancato uso dei poteri conoscitivi officiosi del giudice), concretamente suscettibili di capovolgere il precedente esito della decisione affermativa della responsabilità del condannato.

Tali requisiti sono stati ritenuti assenti nelle pur elaborate prospettazioni della istanza revisoria, siccome essenzialmente imperniate su argomentazioni di mera critica valutativa delle inferenze delle fonti di prova acquisite e analizzate nei pregressi giudizi di merito. La riprova di tale assunto è offerta dal rilievo dell’istante, secondo cui le decisioni di condanna sarebbero basate su una "valutazione parcellizzata e frammentaria" delle dichiarazioni dei diversi collaboratori di giustizia assunte nel processo definito nei confronti di C.. Rilievi non consentiti in sede di revisione, perchè implicanti una rinnovata valutazione di "questioni che, potendo essere esaminate nei vari gradi di giudizio, non lo furono ovvero, secondo la difesa, lo furono in modo incompleto o erroneo".

Nè alcun serio valore, aggiunge l’ordinanza, può essere conferito, come prova "nuova", alla circostanza per cui C. risulta estraneo alle iniziative procedimentali (provvedimento cautelare) adottate nell’ambito di separato successivo procedimento penale (iscritto nel 2005) sugli sviluppi organizzativi delle famiglie mafiose del reggino in un contesto storico e diacronico diverso da quello preso in esame dai giudizi di merito svoltisi nei confronti del prevenuto.

4.- Avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione il difensore del C., prospettando una ricostruzione delle emergenze processuali culminate nella condanna del ricorrente in uno alla critica rivolta al provvedimento negativo della revisione, ritenuto illegittimo per omessa valutazione dei dati probatori di cui alla richiesta ex art. 630 c.p.p. e per carenza di motivazione.

La Corte territoriale ha sommariamente apprezzato le evenienze processuali, trascurando di comparare le emergenze del processo conclusosi con la condanna del ricorrente con quelle, specularmente contrarie, delineate dal processo cd. (OMISSIS) in cui il C. è stato assolto dal reato di associazione mafiosa.

L’ordinanza impugnata oblitera completamente la nozione di "prova nuova" postulata dal disposto dell’art. 630 c.p.p., lett. c), nozione in cui vanno inclusi anche elementi di prova preesistenti alla decisione di condanna, ma non acquisiti alla trama del processo definito con sentenza irrevocabile ovvero in esso acquisiti ma non valutati. Ciò è quanto avvenuto per gli elementi di prova e gli argomenti con cui il ricorrente ha sottolineato la genericità e contraddittorietà delle connotazioni di affidabilità dimostrativa riconosciute dai giudici di Reggio Calabria alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia R. e B..

5.- Il ricorso va dichiarato inammissibile per indeducibilità e manifesta infondatezza dei motivi delineati a sostegno dell’addotta illegittimità della decisione della Corte di Appello di Catanzaro sulla invocata revisione della sentenza di condanna subita dal C..

Se deve ritenersi pacifico – come si afferma nel ricorso – che in tema di revisione le prove nuove rilevanti per gli effetti di cui all’art. 630 c.p.p., lett. c) siano costituite non solo da prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna, ma anche da quelle preesistenti non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite ma (purchè non dichiarate inammissibili o superflue dal giudice di merito) non idoneamente considerate (Cass. S.U. 26.9.2001 n. 624/02, Pisano, rv. 220443), deve parimenti constatarsi che l’odierno ricorso e in precedenza la richiesta di revisione del C. si incardinano su una non consentita postuma rilettura dei dati processuali valutati dalle due conformi decisioni di merito e del giudizio di logicità di tali valutazioni già espresso da questa stessa Corte di legittimità con la decisione (Sez. 2, 27.4.2009) che ha determinato il passaggio in giudicato della condanna inflitta al ricorrente.

Infondatezza integrata innanzitutto dalla sostanziale genericità del ricorso, che si limita a riprodurre i contenuti dell’iniziale istanza di revisione già idoneamente vagliati dalla Corte territoriale, senza offrire una effettiva lettura critica della decisione sotto il dedotto profilo della carenza motivazionale e della omessa acquisizione di dati conoscitivi indispensabili o utili ai fini del giudizio revisorio rescindente.

A tale aspecificità dei motivi di impugnazione si sovrappone, in secondo luogo, un equivoco strutturale del ricorso, alla cui stregua si prospetta una rivisitazione delle emergenze probatorie del giudizio di merito definito nei confronti del ricorrente, quasi che l’odierno giudizio di legittimità si trasformi in un nuovo gravame contro la decisione di condanna, decisione da caducarsi in base alla rielaborazione dei dati probatori enunciata in chiave autodifensiva nel ricorso. Rivisitazione o rilettura inammissibili nell’odierna sede, sia perchè fondate su ragioni o presupposti che impingono il merito della regiudicanda e che non possono essere riconsiderati da questo giudice di legittimità, sia perchè trascendono l’area del presente giudizio, che non può che essere circoscritto alla sola verifica di eventuali vizi logici o procedimentali caratterizzanti l’impugnata decisione della Corte di Appello di Catanzaro nel quadro della invocata revisione della condanna.

Da un lato la retrospettiva analisi di congruenza ed efficacia dimostrativa delle prove storiche e dichiarative (indicazioni provenienti dai collaboratori di giustizia) compiuta dall’ordinanza impugnata è conforme ad un esame complessivo delle emergenze dei due giudizi di merito e – quindi – immune da possibili rilievi in questa sede. D’altro lato ineccepibili si profilano i giudizi di non pertinenza o irrilevanza espressi dalla stessa ordinanza in ordine alle emergenze del separato processo (OMISSIS) e alle successive indagini (assai successive nel tempo) per fatti associativi criminosi riguardanti l’area di Reggio Calabria ai quali risulta estraneo il C.. Fatti entrambi riferibili a contesti associativi affatto distinti da quello per cui è intervenuta condanna del ricorrente e che non introducono alcuna inconciliabilità tra le due diverse pronunce concernenti ambiti e periodi temporali diversi. Di tal che non è dato cogliere la supposta decisività, ai fini del giudizio revisorio postulato dall’art. 631 c.p.p., delle prove che la Corte di Appello di Catanzaro avrebbe trascurato di apprezzare, avendone previamente ritenuto l’inconferenza.

In conclusione, come puntualmente osservato dal concludente P.G. in sede nelle sue requisitorie scritte, il giudizio sulla ammissibilità della istanza di revisione non può comprendere una diversa valutazione del dedotto e una inedita analisi del deducibile, nè una insufficiente o incompiuta valutazione di prove già delibate nel giudizio di merito, così da indurre una impropria e non consentita nuova disamina di dati probatori e di temi già apprezzati negli ordinari gradi del giudizio di cognizione (cfr. ex plurimis: Cass. Sez. 3, 28.10.2009 n. 49959, Coticoni, rv. 245861; Cass. Sez. 6, 3.12.2009 n. 2437/10, Giunta, rv. 245770).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue ope legis la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima conforme ad equità determinare in Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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