Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-03-2011) 15-06-2011, n. 24014 Giudizio abbreviato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- A conclusione di indagini preliminari il procedente p.m. presso il Tribunale di Aosta esercitava l’azione penale, chiedendone il rinvio a giudizio, nei confronti di F.G.F., già membro designato dall’assessorato regionale al turismo della AIAT (azienda di informazione e accoglienza turistica) di Aosta, imputato dei reati di: 1) calunnia continuata, perchè – con nove esposti – denunce anonimi o con firme di fantasia inviati dall’aprile 2003 al novembre 2004 all’autorità giudiziaria e alla p.g. – incolpava falsamente l’assessore regionale al turismo Ca.Lu., altri assessori regionali ( C., V., P.) ed altre persone di una serie di illeciti compiuti con abuso delle pubbliche funzioni in tema di erogazione di fondi regionali, di favoritismi e di episodi tangentizi; 2) diffamazione aggravata continuata per aver offeso, con i predetti esposti, l’onore e il prestigio degli esponenti politici, dei funzionari e dei soggetti terzi, falsamente accusati di fatti penalmente rilevanti.

All’esito del giudizio abbreviato sollecitato dal F. il g.u.p. del Tribunale di Aosta, con sentenza del 24.10.2007, proscioglieva l’imputato dal reato di calunnia con la formula del fatto non costituente reato, riconoscendolo colpevole del concorrente reato di diffamazione e per l’effetto condannandolo – concessegli le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante – alla pena sospesa di sei mesi di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore delle persone offese costituitesi parti civili.

Il g.u.p., pur prendendo atto dei risultati della perizia grafica, asseverante l’attribuibilità delle sottoscrizioni degli esposti all’opera grafica dell’imputato, della possibilità del F. di accedere alle informazioni di natura tecnico-amministrativa relative alle attività assessoriali regionali richiamate negli esposti, dell’insussistenza degli ipotizzati fatti di rilievo penale emersa dagli accertamenti del p.m. nonchè del profilarsi di un movente della condotta accusatoria del F. sfociata nei numerosi esposti (risentimento verso l’assessore regionale Ca. che, non confermandolo come componente dell’AIAT, gli precludeva la possibilità di divenire presidente dell’azienda), giudicava non raggiunta la prova del dolo del contestato reato di calunnia. Ciò sul presupposto, per gli effetti di cui all’art. 530 c.p.p., comma 2, che il F., al di là del carattere tendenzioso e virulento delle sue accuse, aveva agito nella erronea convinzione della colpevolezza degli accusati o comunque senza la consapevolezza della falsità delle proprie accuse. Situazione determinante una cesura tra l’elemento rappresentativo e l’elemento volitivo del contegno psicologico dell’imputato, la cui sola unitarietà o coincidenza permette di ritenere integrato il dolo del reato di calunnia.

2.- Adita dalle impugnazioni del pubblico ministero, delle parti civili e dello stesso imputato (per il reato di diffamazione), la Corte di Appello di Torino con la sentenza resa il 12.11.2009, indicata in epigrafe, ha riconosciuto il F. responsabile anche del reato di calunnia continuata, condannandolo all’ulteriore pena di un anno e due mesi di reclusione e subordinando il beneficio della sospensione della globale pena inflittagli al pagamento delle somme risarcitorie liquidate alle parti civili.

I giudici di appello hanno valutato incongrue e incoerenti le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado in tema di elemento soggettivo del reato di calunnia, i complessivi contegni dell’imputato e i referenti storico-modali ad essi sottesi rendendo palese la specifica e consapevole volontà del F. di accusare di fatti privi di peso penale le varie persone incolpate (anche di vicende di assoluta gravità: peculati, abusi di ufficio, truffe ai danni della regione Valle d’Aosta e simili).

Al riguardo la sentenza della Corte territoriale ha osservato in sintesi che:

a) anche le denunce anonime, quali quelle redatte dall’imputato, contenute in scritti processualmente non utilizzabili ( art. 333 c.p.p.), sono idonee a dar luogo ad autonome investigazioni della p.g. per accertare la veridicità dei fatti denunciati, le quali – ove verifichino l’inesistenza o la penale irrilevanza dei fatti e individuino la fonte degli scritti anonimi – necessariamente conducono alla incriminazione dell’autore per il reato di calunnia e, in caso di proposizione di querela, anche per il reato di diffamazione;

b) l’analisi delle emergenze della perizia grafica, valutabili come piena prova del dato storico accertato, ordinata dal g.u.p. e la sua comparazione con le consulenze tecniche di parte non lasciano margini di dubbio sulla paternità grafica degli esposti e delle denunce ascritti al F.;

c) sul piano del movente della condotta criminosa le ragioni di animosità del F. nei confronti degli amministratori regionali accusati non si limitano – come pur riconosciuto dal giudice di primo grado – al livore per la mancata conferma in seno alla AIAT aostana, ma scaturiscono dalla vera causa di siffatta esclusione, integrata da un esposto presentato su richiesta dell’assessore al turismo Cr. nei confronti dello stesso F., addebitantegli informazioni non veridiche o comunque irregolari sulle presenze turistiche alberghiere nella regione.

3.- Contro la sentenza di appello ha proposto, con personale atto impugnatorio, ricorso F.G.F., adducendo i motivi di censura per violazione di legge e carenza di motivazione di seguito riassunti ( art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1).

1. Nullità del giudizio di primo grado per violazione dell’art. 441 c.p.p., comma 1 (primo e terzo motivi di ricorso). All’udienza preliminare del 17.5.2006 l’imputato ha chiesto di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato per il reato di calunnia continuata oggetto della richiesta di rinvio a giudizio del p.m.. Le persone offese costituitesi parte civile hanno contestualmente depositato copia delle querela proposte nei confronti dell’imputato. Di tal che il p.m. ha proceduto alla contestazione suppletiva dell’ulteriore reato di diffamazione aggravata. Il g.u.p. ha concesso il termine a difesa richiesto dall’imputato. Alla ripresa dell’udienza (28.6.2006) il F., "essendo ormai avviato il processo con rito abbreviato", si è trovato a doversi difendere da una nuova imputazione (diffamazione) in aperta violazione del divieto di integrazione dell’accusa nel giudizio abbreviato, per il quale è espressamente prevista ( art. 441 c.p.p., comma 1) l’inapplicabilità dell’art. 423 c.p.p. in tema di modificazione dell’imputazione.

L’imputato si è trovato, in questa nuova situazione, nell’impossibilità di operare una opzione tra il giudizio ordinario e il giudizio alternativo. La sentenza di primo grado deve, quindi, ritenersi affetta da nullità che travolge anche la sentenza di appello.

2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) per mancata assunzione di una prova decisiva consistente nell’esame del testimone G.P. con riguardo alle informazioni su vicende amministrative regionali fornite, su sua richiesta, al F..

La Corte di Appello ha disatteso il disposto dell’art. 603 c.p.p., facendo riferimento al carattere preclusivo erroneamente attribuito all’avvenuta opzione processuale per il giudizio allo stato degli atti, che invece non impedisce al giudice di appello di assumere anche in tal caso prove necessarie e decisive per l’esauriente vaglio della regiudicanda.

3. Erronea applicazione dell’art. 368 c.p. e insufficienza e illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei singoli episodi di calunnia contestati al F.. Questi ha agito senza avere la certezza della innocenza degli incolpati, versando anzi nella ragionevole convinzione di riferire fatti veri sugli episodi di malgoverno regionale descritti nelle denunce e negli esposti a lui attribuiti, episodi che avrebbero dovuto essere individualmente considerati in tutti i loro aspetti. Come ritenuto dal giudice di primo grado, l’atteggiamento volitivo dell’imputato è stato scandito da uno iato tra il contenuto descrittivo degli atti incriminati (denunce) e il profilo volitivo del suo agire, iato escludente la calunnia.

4. Violazione dei criteri di valutazione della prova indiziaria ( art. 192 c.p.p.) e contraddittorietà della motivazione. La decisione di condanna dei giudici di secondo grado ha valorizzato, rimarcandone la convergenza, una serie di elementi indiziari non solo privi di univocità dimostrativa, ma altresì fallaci e fuorvianti.

Innanzitutto è stato riconosciuto pieno credito agli esiti della perizia grafica disposta dal g.u.p., obliterandosi la scarsa plausibilità del presupposto dell’indagine grafica incentrato sull’opera dissimulatrice delle sottoscrizioni delle denunce (con nomi di fantasia o palesemente falsi), opera incongrua quando si osservi che l’autore degli scritti, proprio perchè "anonimi", non avrebbe avuto bisogno di alterare la grafia con cui ha firmato i documenti. In secondo luogo improprio è il valore attribuito al presunto movente, individuato nella preclusione alla nomina di presidente della azienda turistica di Aosta derivante dalla mancata conferma dell’imputato come suo componente, perchè il membro designato dall’assessorato regionale non gode di alcuna prerogativa ai fini della carica presidenziale, che scaturisce della decisione collegiale e paritaria di tutti i consiglieri. In terzo luogo la ricerca di notizie o dati informativi su talune delle vicende divenute oggetto degli esposti-denunce è perfettamente giustificabile con l’attività giornalistica professionale esercitata dal F..

3.- Il ricorso del F., basato su motivi destituiti di pregio, va rigettato.

A. Il dedotto rilievo sulla nullità del giudizio abbreviato di primo grado per effetto della intervenuta contestazione suppletiva del reato di diffamazione effettuata dal p.m. di udienza è infondato.

E’ ben vero che, per il combinato disposto dell’art. 423 c.p.p. e art. 441 c.p.p., comma 1 il giudizio abbreviato, ritualmente instaurato, non consente in linea di principio al p.m. di mutare l’imputazione con l’additiva contestazione di un reato connesso a quello o a quelli per i quali l’imputato ha già chiesto di essere giudicato allo stato degli atti (ex plurimis: Cass. Sez. 6,191.2010 n. 13117, Sghiri Yassine, rv. 246680). Ma tale regola vale soltanto per il giudizio abbreviato che non risulti subordinato dal giudicabile ad eventuali integrazioni probatorie ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5.

La situazione processuale verificatasi nel giudizio di primo grado nei confronti del F. è diversa, essendo riconducibile alla differente situazione prevista dall’art. 441 c.p.p., comma 5, in cui il giudice di merito ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, ritenendo indispensabile acquisire integrativi elementi di conoscenza necessari per la decisione. Ciò è quel che è avvenuto nel caso di specie, avendo il g.u.p. considerato necessario procedere ad indagine peritale tecnico-grafica sugli esposti e sulle denunce (nove atti) integranti l’accusa di calunnia mossa all’imputato. Tale situazione processuale introduce una deroga al disposto dell’art. 441 c.p.p., comma 1, espressamente disciplinata sia dal citato comma 5, stesso art. 441 ("…resta salva in tale caso l’applicabilità dell’art. 423"), sia dall’art. 441 bis c.p.p., alla luce del quale il p.m. è facoltizzato a procedere a contestazione di reati connessi.

In simili casi l’imputato ha la possibilità di rivedere la sua anteriore opzione per il rito abbreviato, chiedendo che il procedimento "prosegua nelle forme ordinarie". In altre parole la contestazione suppletiva consente la prosecuzione del giudizio abbreviato soltanto con il consenso dello stesso imputato. Nel caso in esame pacifico appare l’insorgere della contestazione aggiuntiva del reato di diffamazione da "emergenze nuove" del procedimento, poichè della presentazione delle querele delle persone offese si è avuto notizia soltanto all’udienza davanti al g.u.p. del 17.5.2006, le relative copie prodotte attestando la proposizione delle querele in quello stesso giorno, come si precisa anche nel ricorso (v. Cass. Sez. 5, 27.11.2008 n. 7047/09, Reinhard, rv. 242962: "la previsione di cui all’art. 441 bis c.p.p., stabilendo che in sede di giudizio abbreviato l’imputato a fronte della contestazioni di cui all’art. 423 c.p.p. possa chiedere che il processo prosegua con il rito ordinario, non si applica se le nuove contestazioni non derivano da nuove emergenze ma riguardino fatti o circostanze già in atti e, quindi, noti all’imputato allorchè ebbe ad avanzare la richiesta di rito abbreviato"). A seguito della contestazione integrativa del p.m. il F. ha chiesto e ottenuto ampio termine per la difesa, all’esito del quale ha aderito alla prosecuzione del giudizio nelle forme del rito abbreviato, non ritenendo di avvalersi della ben consentita opzione per il rito ordinario (previa revoca del g.u.p. dell’ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato), nè nell’ambito del proseguito giudizio abbreviato ha ritenuto di sollecitare l’ammissione di nuove prove. Di tal che nessuna lesione dei suoi diritti di difesa è stata prodotta nel corso del giudizio di merito di primo grado.

B. La censura concernente la mancata assunzione da parte dei giudici di appello di una prova testimoniale decisiva è infondata.

Deve convenirsi con il ricorrente che l’istituto della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale previsto dall’art. 603 c.p.p. non è impedito al giudice dell’appello avverso una decisione resa con rito abbreviato (Cass. S.U., 13.12.1995 n. 930, Clarke, rv. 203427; Cass. Sez. 1, 5.12.2006 n. 1563/07, P.G. in proc. Montalto, rv. 236229), allorchè tale giudice di secondo grado ritenga di fare uso dei propri poteri officiosi di integrazione probatoria. Ma la Corte di Appello di Torino non si è limitata a respingere la sollecitazione all’esame testimoniale sostenuta dall’imputato per la natura "abbreviata" del giudizio, ma ha espresso una valutazione di merito, insindacabile in questa sede, sulla oggettiva non decisività e non necessità dell’invocato esame del teste G. ("ulteriore acquisizione di dichiarazioni di persona già ampiamente escussa").

Laonde nessun rilievo può muoversi a tale decisione della Corte piemontese, atteso che – tra l’altro – il giudice di appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove – qualora ritenga di respingerla – può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando l’esaustività dei dati di conoscenza e l’esistenza di elementi sufficienti per valutare la posizione dell’imputato (v. Cass. Sez. 3,7.4.2010 n. 24294, rv. 247872).

C. Il motivo di impugnazione imperniato sull’assenza del dolo (non consapevolezza dell’innocenza delle persone offese) sotteso agli atti di denuncia attribuiti all’imputato è in parte indeducibile, laddove si diffonde in una parcellizzata disamina meramente fattuale dei caratteri e dei referenti di ciascun atto di denuncia, emergendo per tabulas – come concordemente affermano le pur difformi sentenze di merito – la totale estraneità di tutti i soggetti accusati a qualsiasi ipotesi di fatti di rilevanza penale, nonchè in parte infondato, quando reintroduce – richiamando per implicito l’assunto liberatorio della sentenza del g.u.p. – una surrettizia dicotomia tra momento rappresentativo e momento volitivo del contegno dichiarativo di denuncia dell’imputato, smentita dalle risultanze probatorie.

Correttamente la Corte di Appello, nella ribadita natura generica del dolo del reato di calunnia, ha posto in risalto – anche a prescindere dalla callidità del mezzo impiegato (plurime denunce anonime) – la palese irragionevolezza della supposta ignoranza dell’innocenza degli incolpati, proprio correlandola al carattere specifico dei singoli fatti reato ipotizzati nelle denunce dell’imputato e alla sua stessa qualità professionale (giornalista), tale da porlo in grado, diversamente da un semplice cittadino, di comprendere meglio di altri la latitudine , calunniosa delle accuse mosse agli amministratori regionali. Opportunamente la sentenza di appello ha fatto applicazione di risalenti criteri ermeneutici fissati dalla giurisprudenza di legittimità (v., ex plurimis: Cass. Sez. 6, 24.5.2004 n. 31446, Prandelli, rv. 229271; Cass. Sez. 6, 6.11.2009 n. 3964/10, De Bono, rv. 245849), secondo cui la ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato di calunnia, inteso come consapevolezza dell’innocenza dell’accusato, è di norma posta in luce dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che scandiscono la condotta criminosa, dalle quali, con processo logico- deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto. Al riguardo il movente delle plurime azioni calunniatrici del F. è stato individuato non nella semplice irritazione – come in termini riduttivi assume il ricorrente (ultimo motivo di ricorso) – per non essere stato confermato come consigliere della locale azienda turistica, ma piuttosto e soprattutto nel risentimento coltivato a causa dell’esposto sollecitato nei suoi confronti dall’assessore regionale al turismo Ca.Lu. proprio per le non soddisfacenti modalità di conduzione del mandato consiliare conferitogli (v. Cass. Sez. 6, 12.5.2009 n. 32838, Grossi, rv. 245190: "L’accertamento del movente mi delitto di calunnia può avere un rilievo decisivo ai fini del giudizio di responsabilità in presenza di un quadro probatorio costituito esclusivamente da dati logici, come la mutevolezza delle accuse, e su dati meramente negativi, come l’assenza di riscontri").

D. Infondati si rivelano, infine, le censure sulla solidità del quadro indiziario.

Della concludenza della considerazioni sviluppate dalla sentenza impugnata in ordine al movente della condotta calunniatrice del ricorrente si è appena detto. Analoghe osservazioni vanno espresse per le ragioni di ordine professionale che avrebbero indotto l’imputato a procurarsi tutta una serie di informazioni e di dati specifici su episodi o vicende di apparente irregolarità attribuibili agli organi regionali e ai funzionari e politici ad essi preposti, dati e episodi tutti poi trasfusi e narrati nelle denunce "anonime". Ragioni che mal si conciliano con l’ordinario svolgimento della professione giornalistica, non comprendendosi – a tacer d’altro – i motivi per cui il F., in luogo di attingere direttamente le fonti informative e, se del caso, di procedere ad una loro stringente critica giornalistica in piena trasparenza di intenti, si sia dovuto ripetutamente avvalere di soggetti terzi, intranei agli assetti organizzativi regionali (in special modo i testimoni G. P. e P.A.).

Resta da puntualizzare l’inconferenza delle critiche attinenti alla addotta abnorme rilevanza attribuita agli esiti della perizia grafica, confermativi della attribuzione al F. con minimi e insignificanti margini di incertezza delle sottoscrizione degli atti di denuncia incriminati. La perizia grafica, in virtù della quale entrambe le decisioni di merito, giova rimarcare, hanno ritenuto riconducibili all’opera grafica dell’imputato gli esposti e le denunce che sostanziano la contestata fattispecie di calunnia, è un mezzo di prova che, per il suo carattere in senso lato neutro, cioè sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso all’autonomo apprezzamento del giudice di merito, diviene censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il giudice non dia conto in motivazione delle ragioni delle proprie opzioni interpretative di fatti od eventi resi in tutto o in parte possibili dall’indagine peritale eventualmente disposta.

Nel caso di specie la sentenza di appello e, si ripete, ancor prima e in modo ancor più dettagliato la stessa riformata sentenza del g.u.p. offrono ampia giustificazione dei motivi di condivisibilità delle conclusioni dell’indagine peritale grafica (esposti e denunce da attribuirsi all’imputato), che non può essere rimessa in discussione nel presente giudizio di legittimità. In vero e in termini generali il principio della libertà di convincimento del giudice e dell’inesistenza di canoni di prova legale implica che il presupposto della decisione è pur sempre costituito in definitiva dalla motivazione che la giustifica. Ciò che, per quanto attiene all’indagine tecnica sulla paternità delle false firme degli esposti e delle denunce ascritte al ricorrente, è puntualmente avvenuto, attraverso un congruo percorso logico, con la decisione di appello impugnata dal F.. In tale ottica deve allora ribadirsi come la scelta operata dal giudice di merito tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti in favore di quella che ritiene più affidabile e maggiormente condivisibile, integra un classico giudizio di fatto, che – se sorretto, come nell’attuale vicenda giudiziaria, da adeguata motivazione – è sottratto ad ogni scrutino di legittimità (v.: Cass. Sez. 4, 24.10.2007 n. 46359, Antignani, rv. 239021; Cass. Sez. 4,6.11.2008 n. 45126, Ghisellini, rv. 241907).

Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili intervenute nel presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese in favore delle parti civili C.A., M.N. e C. L.: spese che liquida nella somma di Euro 3.000,00 per il primo e di Euro 3.375,00 per gli altri, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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