T.A.R. Campania Napoli Sez. I, Sent., 20-06-2011, n. 3256 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con distinti ricorsi n. 5029/2010 e n. 5030/2010 notificati l’8/9/2010, le società C. e C. C. riferivano che:

– la società C., operante nel settore della rottamazione di auto, veniva colpita da interdittiva antimafia nel 2006 (la cui impugnativa era respinta con sentenza TAR Campania, sez. I, n. 6591 del 2007, confermata con decisione del Consiglio di Stato, sez. V, n. 5846 del 2008);

– la Prefettura, in accoglimento delle istanze di riesame della posizione presentate dalla ditta interessata, rilasciava nel 2009 un’informativa liberatoria;

– con i decreti nn. 657 e 658 del 16/7/2009 venivano ripristinate le precedenti autorizzazioni regionali in favore della C. e con successivo decreto n. 690 del 29/7/2009 le medesime autorizzazioni venivano volturate alla società C. C.;

– sennonché la Prefettura comunicava in data 19/2/2010 una nuova informativa interdittiva a carico della società C., seguita in data 13/4/2010 da analoga informativa per la società C. C.;

– con i decreti nn. 643 e 644 del 25/5/2010 la Regione revocava le autorizzazioni in questione.

Avverso tali determinazioni insorgevano le società ricorrenti.

La Regione, il Ministero e la Prefettura intimati si costituivano in giudizio resistendo alle impugnative.

Con ordinanze nn. 2006 e 2007 del 7/10/2010 e nn. 2258 e 2259 del 17/11/2010, sono stati disposti incombenti istruttori, con fissazione da ultimo dell’udienza per la trattazione del merito dei ricorsi.

A seguito del deposito dei documenti del procedimento da parte della Prefettura, le società ricorrenti proponevano motivi aggiunti con atti notificati il 1/2/2011, estendendo l’impugnativa agli atti istruttori delle informative prefettizie.
Motivi della decisione

1. I ricorsi sono oggettivamente e soggettivamente connessi, per cui va disposta la riunione dei giudizi ai sensi dell’art. 70 del CPA.

2. Il provvedimento n. 3153 del 16/2/2010, recante l’interdittiva antimafia a carico della società C., rileva a sostegno della determinazione adottata che:

– nel 2006 la società C. era stata già oggetto di informativa ostativa ed il giudice amministrativa aveva al riguardo ritenuto la rilevanza, ai fini di prevenzione mafiosa, dei rapporti di parentela, delle frequentazioni, dei precedenti e delle cointeressenze societarie e gestionali, non inficiata dalla cessione delle partecipazioni sociali della famiglia ad altra società;

– l’informativa liberatoria del 2009 veniva rilasciata comunque con la presupposta riserva di proseguire nel monitoraggio della società;

– sennonché sarebbe sopravvenuta un’ordinanza applicativa di misure cautelari a carico di amministratori, soci e dipendenti della C. per reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito dei rifiuti, di attività di gestione di rifiuti non autorizzata e di falso ideologico in atto pubblico; da tale provvedimento emergerebbe un sistema perverso di smaltimento illecito di rifiuti speciali pericolosi e non, nonostante la vigenza dell’interdittiva antimafia, attraverso il paravento di società fittizie e con elusione delle misure di prevenzione antimafia, con enormi danni all’ambiente in cambio di cospicui profitti;

– per cui se ne è desunta la sussistenza attuale degli elementi che diedero luogo all’interdittiva del 2006.

Con il provvedimento n. 34102 del 18/3/2010, recante l’estensione della interdittiva antimafia alla società C. C., sono evidenziati i medesimi elementi di cui sopra, posto che anche tale ditta è riconducibile al sistema di imprese costituito da un unico gruppo familiare.

Nel merito i ricorrenti deducono, con gli atti introduttivi dei giudizi e con i successivi motivi aggiunti, che:

– i provvedimenti sarebbero immotivati e non preciserebbero neppure il tipo di informativa resa dalla Prefettura; né gli atti relativi sarebbero stati messi a disposizione degli interessati;

– le determinazioni impugnate non sarebbero sorrette da indizi gravi, precisi e concordanti sulla sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa;

– l’interdittiva sarebbe contraddittoria rispetto alla liberatoria precedentemente resa;

– l’interdittiva non sarebbe sorretta da autonomi accertamenti istruttori della Prefettura;

– nelle indagini penali a carico del gruppo imprenditoriale, sfociate in misure di custodia cautelare per gli esponenti aziendali, emergerebbe l’esclusione di qualsiasi matrice camorristica, ovvero dell’impiego di metodiche mafiose o della finalizzazione a beneficio di clan camorristici;

– anche la simulazione societaria per la prosecuzione dell’attività di impresa (nel periodo successivo alla interdittiva del 2006) non sarebbe preordinata a mascherare soggetti mafiosi, tant’è che lo stesso giudice penale non avrebbe contestato il reato previsto dall’art. 12quinquies del decretolegge n. 306 del 1992; il mero fenomeno dell’imprenditoria occulta non sarebbe sufficiente a radicare un giudizio di infiltrazione o condizionamento mafioso;

– sarebbero state dismesse le cointeressenze con soggetti legati ad un noto clan camorristico, poste a base dell’interdittiva del 2006, tant’è che la simulazione dei trasferimenti aziendali emersa nelle capillari indagini di polizia giudiziaria riguarderebbe esclusivamente l’attività di rottamazione delle auto rispetto alla quale non sarebbe emersa alcuna contaminazione mafiosa; la rimozione dei collegamenti con il clan camorristico emergerebbe dalla liberatoria prefettizia del 2009 e prima ancora dalla sentenza del TAR n. 6591 del 2007;

– l’interdittiva antimafia avrebbe finalità di prevenzione del fenomeno della criminalità mafiosa e quindi non potrebbe essere utilizzata come strumento sanzionatorio, né sarebbe applicabili a fattispecie prive di riferimento ad una organizzazione mafiosa;

– la medesima sentenza TAR n. 6591 del 2007 evidenzierebbe la irrilevanza e la inconsistenza degli ulteriori elementi di contorno posti a base della interdittiva del 2006; mancherebbero nuovi e diversi elementi;

– nelle istanze di riesame della interdittiva del 2006 gli interessati avrebbero documentato dettagliatamente l’insussistenza o il venir meno degli elementi all’epoca considerati.

2.1. Al riguardo giova premettere che, nel contesto del delicato equilibrio tra le esigenze, da un lato, dell’osservanza dei principi costituzionali della presunzione di innocenza e della libertà dell’iniziativa economica privata e, dall’altro, della più efficace azione di contrasto della criminalità organizzata, le informative devono fondarsi su elementi di fatto che denotino in senso oggettivo il pericolo di collegamenti tra la società o l’impresa e la criminalità organizzata, richiedendosi, in sintesi, un attendibile giudizio di possibilità, secondo la nozione di pericolo.

Tuttavia non occorre che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato (cfr. Cons. St., sez. V, 23/6/2008, n. 3090).

Pertanto l’informativa antimafia prescinde della sussistenza di illeciti penali a carico degli appartenenti alla impresa ovvero dalla disponibilità di fonti di prova aventi il grado di certezza per l’utilizzo in un processo penale o di prevenzione, ma si giustifica considerando il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, purché sia fondato su elementi almeno presuntivi ed indiziari, la cui valutazione non è sindacabile nel merito (cfr. Cons. St., sez. VI, 14/4/2009, n. 2276), essendo il sindacato giurisdizionale di legittimità circoscritto alla verifica dell’insussistenza di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (cfr. Cons. St., sez. IV, 29/7/2008, n. 3273).

2.2. In tale quadro, l’art. 10, co. 7, del d.P.R. n. 252 del 1998 consente all’autorità prefettizia di avvalersi, per desumere le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, di un’ampia gamma di fonti che comprendono anche i provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per i reati di estorsione, usura, riciclaggio o reimpiego di capitali di provenienza illecita o per taluno dei delitti previsti dall’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale.

Quest’ultima disposizione fa riferimento a "i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, sesto comma (se l’associazione a delinquere è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché all’articolo 12, comma 3bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474, 600, 601, 602, 416bis e 630 del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dall’articolo 291quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152….".

E’ agevole osservare che tale elencazione comprende fattispecie criminose che rientrano nel quadro degli interessi consolidati e delle attività tipiche delle associazioni di tipo mafioso, per cui è rilevante e grave il rischio che tali imputazioni abbiano anche valore sintomatico dell’inquinamento della criminalità organizzata.

Ed infatti le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, previste e punite appunto dall’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, rappresentano un lucroso e pericoloso settore nel quale si manifesta in maniera prepotente la presenza invasiva della criminalità organizzata, dando luogo ad un fenomeno usualmente descritto con l’etichetta di "ecomafia".

2.3. Orbene nella specie le determinazioni prefettizie impugnate derivano appunto dagli sviluppi (ordinanza GIP di Napoli del 10/12/2009) nel procedimento penale a carico degli esponenti delle società ricorrenti in ordine ai reati di associazione a delinquere per traffico illecito di rifiuti pericolosi e non per una movimentazione complessiva pari a circa 68.000 tonnellate di rifiuti per il solo periodo tra gennaio 2006 e aprile 2007, con un giro di affari di circa 12 milioni di euro. Non è superfluo sottolineare che il giudice penale ha ravvisato in merito nell’attualità un concreto pericolo di reiterazione dei reati.

E’ pertanto immune da vizi, sul piano logico oltre che giuridico, che tali elementi abbiano indotto l’autorità prefettizia a riconsiderare criticamente la liberatoria precedentemente rilasciata nel 2009, confermando invece gli esiti dell’interdittiva pregressa del 2006.

2.4. Relativamente a quest’ultima va osservato che le relative determinazioni prefettizie hanno formato oggetto della sentenza di questo Tribunale amministrativo, sez. I, n. 6591 del 2007, confermata dal Consiglio di Stato, sez. V, con decisione n. 5846 del 2008, rispetto alle quali non vi è ragione in questa sede di discostarsi.

Con tali pronunce giudiziali è stato ritenuto che i fatti circostanziati e le ragionevoli valutazioni poste a sostegno dell’interdittiva antimafia evidenziano la possibilità di interferenze malavitose e dimostrano l’esistenza di un pericolo di condizionamento mafioso nella società ricorrente.

2.5. I decreti dirigenziali della Regione Campania, anch’essi impugnati, sono atti meramente consequenziali alle interdittive prefettizie.

Al riguardo l’effettivo ambito della discrezionalità riservata all’amministrazione regionale è sostanzialmente depotenziato rispetto all’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici, che presiede ai poteri interdettivi antimafia, per cui la motivazione sulle controindicazioni di prevenzione rispetto alla criminalità organizzata, contenuta "per relationem" nella informativa prefettizia, è sufficiente a giustificare i provvedimenti di revoca.

3. In conclusione, i ricorsi in esame vanno pertanto respinti.

Sussistono nondimeno giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio, attese le peculiarità della vicenda e delle questioni trattate nella controversia in esame.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), riuniti i giudizi, respinge i ricorsi in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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