T.A.R. Campania Napoli Sez. I, Sent., 20-06-2011, n. 3252 Spedalità ordinarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con distinti ricorsi, notificati rispettivamente il 24 ed il 30/4/2009, l’ANISAP Associazione Nazionale Istituzioni Sanitarie Ambulatoriali Private, l’ANPRIC Associazione Nazionale Presidi di Riabilitazione Convenzionati, l’ASPAT Associazioni Sanità Privata Accreditata e l’Unione Industriale di Napoli, nella dedotta qualità di associazioni esponenziali di interessi di categoria (ricorso n. 2543/09) e i Centri di riabilitazione C. Srl, C. Spa, C.S.S. Sas, Associazione M., C. Spa, A. Srl, L. Srl (ricorso n. 2692/09) riferivano che:

– con sentenza del TAR Campania, sez. I, n. 18850 del 10/11/2005, confermata con decisione del Consiglio di Stato, sez. V, n. 190 del 23/1/2007, in accoglimento di ricorso proposto dall’ANPRIC e dall’ARIS avverso l’inerzia della Regione Campania, veniva dichiarato l’obbligo della medesima a procedere all’aggiornamento per il triennio 20032005 delle tariffe per le prestazioni sanitarie di riabilitazione, da ultimo determinate per il periodo 20002002 con delibera di Giunta regionale n. 3094 del 11/4/2000, tenendo conto del variare degli indici ISTAT e dei maggiori oneri derivanti dalla contrattazione collettiva di settore, in applicazione dell’art. 3, co. 6, del decreto ministeriale 15/4/1994 emanato in esecuzione dell’art. 8 del d. lgs. n. 502 del 1992;

– con sentenze n. 267 e n. 7110 del 2007, il TAR Campania ordinava la conclusione del procedimento e demandava al Prefetto di Napoli la nomina di un Commissario ad acta in caso di perdurante inadempimento della Regione;

– con delibera del 1/4/2008, pubblicata sul BURC del 14/4/2008, il Commissario ad acta all’uopo nominato provvedeva all’aggiornamento delle tariffe riconoscendo una percentuale del 7,7% secondo gli indici ISTAT e la maggiorazione del 2% comprensiva dell’incidenza sulle prestazioni delle variazioni dei costi;

– con sentenza n. 9488 del 28/7/2008, su ricorso della Regione, il TAR Campania annullava per difetto di istruttoria la determinazione commissariale, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione in funzione del permanente obbligo di aggiornamento delle tariffe relativo al triennio in questione;

– con delibera del 9/1/2009, pubblicata sul BURC del 19/1/2009, il Commissario ad acta approvava i nuovi aggiornamenti per il triennio 20032005 della tariffa approvata con delibera di Giunta regionale n. 3094 del 2000, applicando una percentuale del 7,7% di variazione ISTAT e del 13,72% per costi derivanti dalla contrattazione collettiva;

– successivamente, con deliberazione di Giunta regionale n. 224 del 13/2/2009, pubblicata sul BURC il 2/3/2009, con l’approvazione ministeriale ai sensi dell’art. 3 dell’accordo tra Regione e Ministeri della salute e dell’economia sul piano di rientro per il perseguimento dell’equilibrio economico ai sensi dell’art. 1, co. 180, della legge n. 311 del 2004, venivano adeguate le tariffe per gli anni 20032005 e 20062008 con una metodologia "a ritroso" sulla base della proposta tariffaria elaborata per il triennio 20092011;

– con sentenza n. 1363 del 10/3/2009, il TAR Campania dichiarava l’inammissibilità del ricorso proposto dalla Regione contro il provvedimento commissariale del gennaio 2009, evidenziando che l’unico provvedimento sull’aggiornamento delle tariffe della riabilitazione per il periodo 20032005 è la delibera n. 224 del 13/2/2009.

In relazione a quanto precede i ricorrenti proponevano le impugnative in epigrafe.

La Regione e le amministrazioni dello Stato intimate si costituivano in giudizio resistendo alle pretese avverse.

Con ordinanze n. 476 del 16/6/2010 e n. 802 del 18/11/2010, previa riunione dei giudizi, veniva disposta una verificazione, alla quale il Ministero della salute dava esecuzione depositando una relazione istruttoria con la relativa documentazione.
Motivi della decisione

1. I difensori dei ricorrenti rappresentano che l’associazione ANISAP ha revocato il mandato alla lite. Al riguardo è opportuno rilevare che tale atto non dispiega effetti nel processo se le parti interessate non nominano un nuovo procuratore che si costituisca in giudizio (cfr. art. 85 c.p.c.).

2. Con i ricorsi in esame, già riuniti, si deducono censure sostanzialmente analoghe che possono essere esaminate congiuntamente. In particolare si contesta che:

– la delibera commissariale del 2009 non sarebbe mai stata annullata; sarebbe violato l’art. 21nonies della legge n. 241 del 1990; mancherebbe una adeguata motivazione;

– mancherebbe la preventiva approvazione ministeriale ai sensi della delibera di Giunta regionale n. 460 del 2007 (art. 3 dell’accordo tra Regione e Ministeri della salute e dell’economia sul piano di rientro) in quanto non sarebbe stato portato ad esecuzione quanto stabilito nella riunione congiunta del tavolo tecnico del 23/1/2009 in ordine all’accantonamento delle somme necessarie per coprire gli adeguamenti tariffari;

– la metodologia adottata per adeguare le tariffe sarebbe in contrasto con l’art. 3 del decreto ministeriale del 15/4/1994 e con le statuizioni dettate nelle sentenze pronunciate in materia dal giudice amministrativo, nella parte in cui prevedono che l’aggiornamento tariffario è finalizzato a rendere attuale una pregressa determinazione di tariffe riferite ad un periodo precedente (nella specie il triennio 20002002) e pertanto non potrebbero essere attualizzate "a ritroso" le tariffe relative ad un triennio successivo (20092011);

– peraltro la proposta per le tariffe del periodo 20092011 elaborata dagli uffici regionali non sarebbe mai stata deliberata ed approvata, per cui tale proposta non potrebbe essere messa a base dell’aggiornamento "a ritroso";

– l’aggiornamento tariffario non sarebbe riassorbito dai tetti di spesa, in quanto le relative delibere regionali ammetterebbero la possibilità di beneficiare di aggiornamenti tariffari, seppure adottati in ritardo; i ritardi dell’amministrazione non potrebbero comportare incertezza e indeterminatezza delle prestazioni dovute in regime di accreditamento né potrebbero risolversi in un pregiudizio per i centri ricorrenti con una retroattiva rimodulazione dei volumi o un inasprimento delle regressioni;

– il costo orario del lavoro sarebbe sottovalutato; il calcolo del numero di ore lavorative annue del personale sarebbe sovrastimato in quanto non terrebbe conto di tutte le ipotesi di permessi retribuiti riconosciuti dal CCNL; ci sarebbe una riduzione dell’incidenza dei costi generali sui costi standard; i risultati sarebbero errati e non motivati;

– il calcolo dei costi sarebbe sottostimato in quanto mancherebbe il computo di tredicesima, TFR, premio di incentivazione, elemento aggiuntivo della retribuzione, indennità di vacatio contrattuale, con conseguenti oneri IRAP e quindi vi sarebbe una lievitazione dei costi generali proporzionali ai costi diretti;

– la metodologia di adeguamento "a ritroso" sarebbe illogica ed incongrua, in quanto i rinnovi contrattuali comporterebbero aumento di costi e le tariffe 20092011 sarebbero stimate su dati di costo forniti dalle associazioni con riferimento al triennio 20032005.

3. Va innanzitutto disattesa la eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa regionale in considerazione del carattere generale degli atti impugnati.

Infatti le determinazioni tariffarie hanno carattere immediatamente lesivo dell’interesse legittimo vantato dai ricorrenti e possono pertanto formare oggetto di autonoma e diretta impugnazione (cfr. Cons. St., sez. V, 12/2/2003, n. 751); tant’è che la vicenda qui in esame si è già sviluppata nel corso di molteplici controversie tra le parti.

4. La prima questione, in ordine logico e giuridico, da affrontare è rappresentata dalla relazione tra la delibera regionale n. 224 ora impugnata e il provvedimento del Commissario ad acta n. 1 del 2009 che aveva determinato le tariffe a seguito del contenzioso a suo tempo instaurato contro l’inerzia dell’amministrazione regionale in materia (sentenza TAR Campania n. 18850 del 2005, confermata con decisione del Consiglio di Stato n. 190 del 2007, seguita dalle sentenze TAR n. 267 del 2007 e n. 7110 del 2007, nonché dalla sentenza TAR n. 9488 del 2008, su ricorso della Regione).

Sennonché questo specifico punto risulta già risolto dalla sentenza n. 1363 del 2009, pronunciata da questo Tribunale amministrativo sull’impugnativa proposta dalla Regione avverso la citata delibera commissariale. Infatti, con tale decisione, nel ravvisare il venir meno dei presupposti per l’intervento del Commissario ad acta e quindi rilevando una sostanziale carenza di potere del medesimo, si afferma conclusivamente che "l’unico provvedimento recante l’aggiornamento delle tariffe della riabilitazione per il periodo 2003/2005 sia quello di cui alla delibera di Giunta Regionale n. 224 del 13 febbraio 2009".

Orbene, tale statuizione giurisdizionale, ancorché appellata dai ricorrenti, non risulta sospesa ed è esecutiva e vincolante (almeno fino all’esito del giudizio di appello: cfr. Cass., sez. III, 7/5/2009, n. 10516), per cui il Collegio non ha titolo né vi è ragione per ritornare sulla questione, con conseguente inammissibilità della censura dedotta sull’argomento nei ricorsi in esame.

5. La seconda questione sollevata dai ricorrenti, avente rilevanza prioritaria, riguarda le modalità di aggiornamento delle tariffe, siccome effettuato dalla Regione con un sistema "a ritroso". In particolare viene in contestazione il metodo usato dall’amministrazione che, per determinare le tariffe dei trienni 20032005 e 20062008, non parte dai dati tariffari del periodo precedente, approvati con la delibera regionale n. 3094 del 2000, ma si basa sulla proposta tariffaria del triennio 20092011 recante nuovi costi standard, applicando sostanzialmente una regressione per i costi che negli esercizi di riferimento non erano ancora maturati.

Al riguardo giova premettere che la vicenda in esame ruota intorno all’aggiornamento delle tariffe in applicazione dell’art. 3, co. 6, del decreto ministeriale 15/4/1994, secondo quanto stabilito dal giudice amministrativo ed, in particolare, dalla decisione del Consiglio di Stato n. 190 del 2007 che, nel quadro normativo all’epoca vigente, ha statuito la perdurante vigenza del suddetto decreto ministeriale in assenza della materiale introduzione a regime del nuovo assetto determinativo delle tariffe introdotto dall’art. 8sexies del d. lgs. n. 502 del 1992.

Sennonché il citato decreto ministeriale del 1994 è stato successivamente abrogato dall’art. 79, co. 1quinquies, del decretolegge 25 giugno 2008, n. 112 introdotto dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 di conversione.

Nondimeno è da escludere che, almeno per quanto riguarda l’aggiornamento delle tariffe oggetto di pregressi giudicati, la legge sopravvenuta sia da interpretare nel senso che l’abrogazione del suddetto decreto ministeriale dispieghi effetti retroattivi idonei ad esimere la Regione dall’adempimento di una doverosa formalità che avrebbe dovuto essere compiuta in un periodo ben anteriore.

E bene precisare che attualmente l’art. 8sexies del d. lgs. n. 502 del 1992 prevede che, con decreto ministeriale, siano stabilite le tariffe massime ed i criteri generali in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario, fermo restando che le tariffe regionali superiori al limite stabilito a livello nazionale restano a carico dei bilanci regionali.

Peraltro è comunque previsto che, con le medesime procedure, siano effettuati periodicamente la revisione del sistema di classificazione delle prestazioni e l’aggiornamento delle relative tariffe, tenendo conto della definizione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza e delle relative previsioni di spesa, dell’innovazione tecnologica e organizzativa, nonché dell’andamento del costo dei principali fattori produttivi.

Tanto premesso, nel merito degli atti impugnati e delle censure dedotte, è da rilevare che l’operazione di "aggiornamento" delle tariffe consiste essenzialmente in una revisione che, partendo dai costi standard di produzione, ivi compresa una quota proporzionata dei costi generali, e tenendo conto dell’andamento della onerosità dei fattori produttivi e dell’innovazione tecnologica e organizzativa, giunge alla determinazione tariffaria senza ripetere interamente la stima del campione rappresentativo delle unità produttive ed il calcolo dei relativi costi standard.

Orbene, non è irragionevole né scorretto, in astratto, che questa operazione di estrapolazione di dati al di là del periodo di riferimento sia effettuata partendo dal riferimento ai costi standard di più recente elaborazione. Sicché, nell’ipotesi in cui il calcolo delle tabelle tariffarie sia compiutamente rinnovato ad una data recente, quando ancora non siano effettuati gli aggiornamenti relativi ad periodi precedenti, non si può escludere che l’amministrazione provveda agli aggiornamenti richiesti "a ritroso", cioè prendendo a base le tariffe più recenti per la determinazione di quelle valide per il periodo anteriore.

Tuttavia nella specie è da rilevare che la Regione ha in concreto effettuato l’aggiornamento "a ritroso" prendendo come riferimento non delle tariffe debitamente approvate, ma una mera proposta ancora in corso di definizione.

Né peraltro risulta che la proposta in questione sia stata successivamente formalizzata, ma anzi emerge che la questione è tuttora pendente, tant’è che i ricorrenti riferiscono di altro ricorso proposto innanzi al giudice amministrativo contro il silenzio per l’aggiornamento del tariffe relative al periodo 20092011 (n. 1044/2011 r.g.).

Pertanto sotto questo profilo le doglianze dei ricorrenti si rivelano fondate ed assorbenti.

6. Per completezza di trattazione è opportuno altresì osservare che dalla verificazione effettuata in corso di causa è risultato che la Regione ha utilizzato per la voce costo del personale i massimi tabellari della contrattazione AIOP, considerando la sola retribuzione base annuale per il livello massimo di qualifica di ciascuna figura professionale, maggiorata di un’aliquota contributiva più elevata di quella prescritta, ma senza tener conto di alcuna voce accessoria. La Regione, a sostegno del proprio operato, rappresenta che l’aliquota contributiva sarebbe stabilita in misura più elevata proprio per compensare le altre voci degli oneri del personale.

Sennonché tale modalità di determinazione dei costi del personale è viziata da un duplice errore, uno per eccesso (corrispondente alla maggiore aliquota contributiva) ed uno per difetto (relativo alla mancata considerazione di tutte le componenti del trattamento retributivo).

Il costo del personale, infatti, non può formare oggetto di siffatte approssimazioni, che sarebbero in contrasto con la rilevanza di tale elemento sia per il carattere, evidenziato negli stessi atti impugnati, "human intensive" delle prestazioni sanitarie nel settore in questione, sia più in generale per l’attenzione riservata a questo aspetto dalla legislazione volta a garantire la congruità dei corrispettivi nei contratti pubblici, come tutela della serietà delle offerte e, indirettamente, della posizione dei lavoratori impiegati nei servizi (cfr. art. 87 del d. lgs. n. 163 del 2006).

Anche sotto questo profilo le doglianze dei ricorrenti sono dunque fondate.

7. La complessità delle questioni trattate giustifica, ad avviso del Collegio, la compensazione delle spese di giudizio, fermo restando il rimborso a carico della Regione del contributo unificato, come per legge.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima) in accoglimento per quanto di ragione dei ricorsi in epigrafe, annulla gli atti impugnati.

Spese compensate, fatto salvo il rimborso a carico della Regione soccombente del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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