Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-02-2011) 15-06-2011, n. 24051

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con il decreto in epigrafe, la Corte di appello di Catania confermava il l’ordinanza del 2-3 marzo 2009 del Tribunale di Catania con la quale era stata dichiarata inammissibile la richiesta di revoca della misura di prevenzione personale e della confisca a suo tempo applicata a C.E..

La Corte di appello era stata investita del procedimento avendo la Corte di cassazione, con sentenza n. 41600 del 13 ottobre 2009, qualificato come ricorso in appello il ricorso proposto dal C. contro detta ordinanza, resa a norma della L. n. 1423 del 1956, art. 7. 2. La Corte di appello rilevava che:

2.1. non sussisteva alcun errore percettivo in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione con la precedente sentenza n. 228 del 12 dicembre 2007 con la quale era stato rigettato il ricorso avverso il decreto in data 30 marzo 2007 della medesima Corte di appello di Catania con cui era stato confermato l’aggravamento per due anni della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. e la confisca di vari beni del C. ritenuti di illecita provenienza;

2.2. che non poteva comunque accogliersi la richiesta di revoca, perchè, nonostante il decorso del tempo, non poteva dirsi che il C. avesse reciso i collegamenti con l’ambiente criminale mafioso (clan Santapaola) in considerazione dei quali le misure di prevenzione gli erano state a suo tempo applicate.

3. Ricorre per cassazione il C., a mezzo del difensore avv. Andrea Giannino, il quale critica il decreto impugnato, osservando che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 41600 del 2009, aveva demandato alla Corte di appello di Catania di verificare le statuizioni dei giudici di primo grado al fine di stabilire se effettivamente il Tribunale di Catania, con il provvedimento in data 20 luglio 2005, e poi la Corte di appello di Catania, con il provvedimento in data 10 marzo 2006, avessero in realtà escluso un rapporto stabile del C. con l’associazione mafiosa o collegamenti con ambienti mafiosi nell’ambito dell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti addebitata al medesimo.

Se tale verifica fosse stata fatta, si sarebbe potuto accertare che effettivamente la Corte di cassazione, nella sentenza n. 228 del 12 dicembre 2007, nell’affermare che il C. avesse un rapporto di natura stabile con il clan mafioso, era incorsa in un errore percettivo.

In secondo luogo il ricorrente denuncia la illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta attuale pericolosità sociale del C., osservando che il provvedimento impugnato trascura irragionevolmente il dato dell’attività lavorativa intrapresa dal C. a partire dal febbraio 2007 e che la condanna da lui riportata riguardava reati di droga commessi nel (OMISSIS); ciò senza che sia stato indicato alcun ulteriore elemento idoneo a sorreggere l’affermazione secondo cui il C. non avesse mutato stile di vita.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Quanto al primo aspetto dedotto, con esso si prospetta illegittimamente un errore percettivo della Suprema Corte che in realtà riguarda la valutazione delle risultanze del procedimento e l’apprezzamento della motivazione resa sulle fonti indiziarie espresse dai giudici di merito; e non risponde alla evidenza processuale la deduzione secondo la quale la Corte di cassazione, con la sentenza del 2009, avesse demandato alla Corte di appello di esaminare la sussistenza dell’errore percettivo, essendosi solo qualificato il ricorso come appello avverso il rigetto della richiesta di revoca delle misure di prevenzione a suo tempo applicate.

3. Quanto alle argomentazioni introdotte con il secondo motivo, si tratta di censure attinenti a vizi di motivazione (così del resto formalmente qualificati) non deducibili con il ricorso per cassazione in tale materia L. n. 1423 del 1956, ex art. 4. 4. Alla inammissibilità del ricorso consegue a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si ritiene quo determinare, in ragione delle questioni dedotte, in Euro mille.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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