Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-02-2011) 15-06-2011, n. 24012

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza dell’8 gennaio 2009, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del 19 giugno 2008 del Tribunale di Milano, appellata da M.M., condannato, con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale ex art. 99 c.p., comma 4, alla pena di anni due e mesi sei di reclusione in quanto responsabile del reato di cui all’art. 572 cod. pen., per avere maltrattato la moglie V.F. e i figli minori L. e A. con continue violenze fisiche, minacce anche di morte, anche con l’uso di un coltello, insulti e vessazioni psicologiche (in (OMISSIS)).

2. Rilevavano i giudici di merito che la prova della responsabilità penale dell’imputato, anche sotto il profilo della sua coscienza e volontà di infliggere con abitualità continue sofferenze fisiche e morali a moglie e figli, derivava, oltre che dalle parzialmente reticenti, ma comunque significative, dichiarazioni delle persone offese, che vertevano in una condizione psicologica di paura paventando le eventuali ritorsioni del congiunto, da quelle di vari testi, tra cui due appartenenti alla Polizia padri di compagni di scuola di L. e A., che avevano raccolto le confidenze sia dei ragazzi che della madre, e ne avevano anche direttamente verificato lo stato di prostrazione fisica e morale, nonchè da quelle degli insegnanti e di una educatrice dei ragazzi, circa la condizione di estremo disagio psicologico delle persone offese. A ciò si aggiungeva il riscontro sulla presenza di diffuse ecchimosi o escoriazioni sul corpo della donna fatto dal medico curante della V. dott. B..

3. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore avv. Giovanni Fedeli, che, con un primo motivo, denuncia la violazione dell’art. 526 cod. proc. pen., essendo state illegittimamente utilizzate le dichiarazioni de relato di appartenenti alla p.g., in violazione dell’art. 195 c.p.p., comma 4; nulla rilevando il consenso delle parti all’acquisizione probatoria degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, trattandosi di prove vietate dalla legge.

Con un secondo motivo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di qualificabilità delle condotte accertate nel paradigma dell’art. 572 cod. proc. pen., in mancanza del carattere di abitualità della condotta contestata e della volontà dell’imputato di agire nel quadro di una risoluzione unitaria di afflizione dei congiunti, come si ricavava anche dalle dichiarazioni della moglie, secondo cui il marito alternava momenti di irritazione ad atteggiamenti affettuosi.

Con un terzo motivo, denuncia la carenza di motivazione circa il carattere specifico della recidiva, non essendo stato indicato sulla base di quali elementi la condotta contestata potesse dirsi della stessa indole di quella dei precedenti penali.

Con un quarto motivo, denuncia l’immotivato mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Con un quinto motivo, denuncia l’erronea applicazione dell’art. 99 c.p., comma 4, dato che i giudici di merito, non attenendosi ai criteri indicati dalla Corte cost. e dalla giurisprudenza di legittimità, hanno senz’altro applicato l’aumento di pena per la recidiva, di natura facoltativa, non esplicitando le ragioni per le quali essa fosse concretamente rilevante nel caso concreto.

Infine, con un sesto motivo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di determinazione della pena, fissata ben al di sopra del minimo edittale.

Con un motivo aggiunto, il medesimo difensore, insiste sulla censura di vizio di motivazione circa la rilevanza della recidiva nel caso concreto, e in subordine eccepisce la incostituzionalità dell’art. 99 c.p., comma 4, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., nella parte in cui prevede un aumento obbligatoriamente fissato nella misura di due terzi della pena-base.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato: le testimonianze contestate non riguardano attività investigativa svolta dalla polizia giudiziaria, trattandosi di fatti appresi da soggetti che, pur dipendenti della polizia di Stato, avevano raccolto direttamente e privatamente, in quanto padri di compagni di scuola dei figli dell’imputato, le confidenze loro fatte dalle persone offese.

Non è dunque in alcun modo configurabile nella specie la violazione dell’art. 195 c.p.p., comma 4. 2. Il secondo motivo, è infondato.

La sentenza impugnata ha adeguatamente motivato sull’abitualità della condotta dell’imputato, fondandosi su un compendio probatorio puntualmente e logicamente analizzato, dal quale risulta che le violenze e le angherie cui l’imputato ha sottoposto i congiunti si sono protratte per un consistente periodo di tempo e sono state continue, tanto da produrre nelle persone offese un permanente stato di paura e di sofferenza, oltre che lesioni alla loro integrità fisica.

Appare pienamente integrato il paradigma di cui all’art. 572 cod. pen. sotto l’aspetto sia della condotta materiale sia dell’elemento psicologico.

3. Le censure attinenti alla recidiva sono invece fondate.

In primo luogo, la Corte di appello non ha speso parola circa l’analogia della condotta rispetto ai precedenti penali contestati.

In secondo luogo, quanto all’applicabilità della recidiva nel caso concreto, la Corte di merito si limita ad affermare che "essa è stata correttamente ritenuta dal giudice di primo grado alla luce di tutte le emergenze processuali evidenziate in sentenza".

Il rinvio alle considerazioni sul punto svolte dal Tribunale appare tuttavia incongruo, dato che nella richiamata sentenza si è solo osservato che la recidiva doveva ritenersi sussistente "nei termini in cui è stata contestata alla luce del certificato penale".

Con ciò la Corte di appello, e ancor prima il Tribunale, si sono sottratti al dovere di esplicitare le ragioni della rilevanza della recidiva nella vicenda in esame.

Come osservato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 35738, del 27/05/2010, Calibe, sulla scia di plurime pronunce della Corte costituzionale (v. in particolare decisioni n. 192, 198 e 409 del 2007; 33, 90, 91, 193 e 257 del 2008; n. 171 del 2009) "è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali". 4. La sentenza impugnata va pertanto annullata su tale punto, in esso assorbite le censure sulla entità della pena e sul diniego delle attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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