Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-10-2011, n. 22094 Vendita di cosa futura

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M. con citazione ritualmente notificata, conveniva avanti al Giudice di Pace di Cividale del Friuli, C.G., deducendo che quest’ultimo aveva tagliato ed asportato dal fondo di proprietà di S.P. alcuni alberi che egli aveva acquistati molti anni prima dal proprietario (lo stesso S.P.) per il prezzo di L. 4.000.000, con l’intesa che avrebbe provveduto al taglio quando ne avesse avuto la necessità ed in previsione della ristrutturazione della propria casa. Chiedeva pertanto la condanna del convenuto al risarcimento del danno subito, pari all’intero prezzo da lui corrisposto per l’acquisto delle piante. Si costituiva in giudizio il C. che nel contestare integralmente la pretesa attorea, deduceva di aver tagliato altre piante (n. 9 abeti) che aveva però acquistato da S.Z., proprietaria del fondo confinante, su cui tali alberi sorgevano. Chiedeva quindi il convenuto oltre al rigetto della domanda attrice, di essere autorizzato a chiamare in causa quest’ultima per tenerlo indenne dagli effetti di una eventuale condanna.

S.Z., terza chiamata, si costituiva confermando di avere venduto allo C. alcune piante di abete rosso poste sul mappale di sua proprietà (n. 148 del f. 10), ma negava di averlo autorizzato a tagliare le piante oggetto di causa in quanto poste su altro mappale (n. 149) che non era di sua proprietà, per cui la domanda di garanzia nei suoi confronti era priva di qualsiasi fondamento.

Il giudice adito, previa istruzione della causa, rigettava la domanda attrice e condannava l’attore a rifondere le spese di lite sia al convenuto che alla terza chiamata. La sentenza veniva appellata dal P., secondo il quale il primo giudice aveva erroneamente affermato la nullità del contratto di compravendita delle piante intercorso tra esso appellante e il defunto S.P. per difetto di forma scritta (ritenendo applicabile la disciplina relativa alla vendita dell’immobile) e comunque non aveva tenuto conto che, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, era preciso onere del convenuto fornire la prova che gli alberi da lui tagliati erano effettivamente quelli autorizzati da Z.S., come da lui sostenuto e che gli stessi inoltre si trovavano nella proprietà di quest’ultima. Si costituiva il C. che insisteva per il rigetto dell’appello, rilevando che la domanda attrice era priva di ogni supporto probatorio, mancando ogni prova circa l’avvenuta stipula del contratto in questione e del suo contenuto (il numero delle piante acquistate, il loro valore e la loro precisa ubicazione). Si costituiva altresì Z.S. chiedendo anch’essa la conferma della sentenza impugnata.

L’adito Tribunale di Udine, sezione distaccata di Cividale del Friuli, con sentenza n. 142/05 depos. in data 2.9.2005 rigettava l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali.

Il giudice d’appello ribadiva che – a parte la questione della forma scritta o meno del contratto esaminata dal G.d.P. solo incidenter tantum – non era stata allegata alcuna prova del contratto stesso ("deserto probatorio") nè del suo contenuto (la collocazione delle piante, il loro numero ecc.) da parte dell’attore, su quale indubbiamente gravava il relativo onere (che agiva ex art. 2043 c.c.), e ciò anche con riferimento alle dichiarazioni comunque rese dai testi escussi (la moglie ed il figlio di P.S., la guardia forestale ecc.); da ciò l’inutilità della richiesta CTU. Avverso la predetta pronuncia, il P. ricorre per cassazione sulla base di 3 mezzi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.;

resistono con controricorso C.G. e S.Z..
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso l’esponente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 112 c.p.c., comma 2 e art. 167 c.p.c. nonchè l’omessa, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo. Contesta l’assunto del giudice di secondo grado, secondo cui egli non aveva dato la prova circa i fatti costitutivi della propria richiesta risarcitoria; in realtà a suo avviso, era preciso onere del convenuto C. di provare quanto da lui eccepito e cioè che le piante tagliate erano quelle a lui cedute da S.Z. e non quelle acquistate da esso ricorrente da S.P..

Con il secondo motivo l’esponente denuncia la violazione dell’art. 61 c.p.c. e art. 345 c.p.c. nonchè l’omessa, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa il punto decisivo relativo alla mancata ammissione della CTU anche da parte de giudice d’appello. A suo avviso, infatti, l’accertamento tecnico richiesto era assolutamente necessario per accertare se non altro su quale fondo erano ubicate le ceppaie degli alberi tagliati e quindi se il convenuto le avesse o meno legittimante asportate.

Con il terzo motivo infine l’esponente denuncia la violazione dell’art. 812 c.c. e art. 1472 c.c. nonchè l’omessa, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’onere della forma scritta per il contratto di compravendita degli alberi da tagliare. Cita la giurisprudenza della S.C. (Cass. n. 1109/1980) per sostenere che il contratto di compravendita degli alberi non richiedeva alcuna forma scritta, versandosi in una fattispecie di vendita di cosa mobile futura.

Le predette doglianze – congiuntamente esaminate stante la loro stretta connessione – sono senza fondamento. Le stesse invero si riferiscono esclusivamente alla valutazione dei mezzi istruttori espletati, come tale riservata al giudice di merito e non censurabile in questa sede. E’ noto che, secondo la giurisprudenza di questa S.C., la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel valutare e porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 5328 del 8.3.2007).

Si osserva inoltre che "la censura di vizio motivazionale deve essere formulata in modo chiaro e adeguato a porre in evidenza, sulla base del ragionamento svolto dal giudice del riesame, gli errori di logica giuridica che rendono la motivazione incongrua o incoerente e non può invece consistere nella deduzione di un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello ritenuto dai giudici del merito" (Cass. n. 3186 del 14/02/2006).

Nel caso in esame non è ravvisabile alcun vizio motivazionale (nè alcuna violazione di legge), avendo il giudice d’appello diffusamente esaminate le singole emergenze istruttorie (le dichiarazioni di tutti i testi escussi e dell’interrogatorio formale del P.) per concludere coerentemente che mancava qualsiasi prova in ordine all’esistenza ed al contenuto dell’asserito contratto di compravendita degli alberi che sarebbe intercorso tra il ricorrente e certo S.P., al punto da parlare in proposito di " evidente deserto probatorio". E’ di tutta evidenza invero che la presente controversia presuppone necessariamente l’esistenza di tale contratto, la cui prova gravava di certo sul solo attore secondo i principi generali in tema di distribuzione dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c.. Da ciò ha coerentemente argomentato e ritenuto, il giudice a quo, l’inutilità della richiesta CTU (già rigettata dal primo giudice), in assenza di prove dirette sull’esistenza stessa ed il contenuto del negozio in questione (collocazione delle piante acquistate dal P., loro numero, indicazione delle piante acquistate dal C. ecc. (v. sentenza pagg. 6-7). Nell’ambito di questo quadro processuale gravemente carente di riscontri probatori, evidentemente non ha rilievo decisivo ai fini della decisione, la questione della forma scritta dell’asserito (ma non provato) contratto di cessione degli alberi, di cui all’indicato terzo motivo.

In conclusione il riscorso in esame dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, quanto al G., in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorario e quanto alla S. in Euro 1,400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorario;

oltre spese accessorie come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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