Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 16-06-2011, n. 24168 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

i del PG Dott. IZZO Gioacchino, rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 28 agosto 2010, il Tribunale di Bologna ha respinto l’appello di C.D. (condannato con sentenza non definitiva alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione per il reato di violenza sessuale consumata e tentata) inteso alla sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con gli arresti domiciliari. Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno, innanzi tutto, commentato la sentenza 265/2010 della Consulta con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale della presunzione di adeguatezza della misura custodiale per il reato in esame. Indi, il Tribunale ha evidenziato la oggettiva gravità del fatto per cui si procede – reputandola espressione di un dolo persistente che delinea un soggetto proclive a commettere reati sessuali – ed il deficit di controllo pressochè assoluto dello imputato; costui ha, in modo temerario, iniziato la sua condotta nonostante la presenza di un osservatore esterno e l’ha proseguita, con anomala spregiudicatezza, benchè i genitori fossero nella abitazione ove il reato è stato commesso con la possibilità di essere scoperto in flagranza. Tale situazione – hanno rilevato i Giudici- rendeva concreto il pericolo di recidiva specifica che non è neutralizzata dalla circostanza che il Tribunale avesse condannato l’imputato al minimo della pena con le attenuanti generiche.

Irrilevante è stato ritenuto dal Tribunale l’accenno minimo di resipiscenza dimostrato dall’imputato dal momento che ha negato il fatto in relazione al quale aveva espresso il pentimento. In base a queste considerazioni ed, in particolare, alla assoluta mancanza di autocontrollo, il Tribunale (pur tenendo presente la incensuratezza ed il presofferto) ha concluso che l’unica misura adeguata a fronteggiare le esigenze di cautela che il caso richiede fosse quella applicata.

Per l’annullamento della ordinanza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e rilevando:

– che l’entità del fatto valutata dal Tribunale, che lo ha condannato al minimo edittale, era un parametro considerabile al fine che rileva anche alla luce della sentenza 265/2010 della Corte Cost.;

– che il ravvedimento, anche se non completo con la confessione, costituisce un elemento significativo di pericolosità attenuata.

Le censure non sono meritevoli di accoglimento.

Il Tribunale ha messo a fuoco indici sintomatici, in sunto riportati, della assenza da parte dell’imputato di freni inibitori al suo desiderio sessuale e da tale rilievo ha tratto il coerente e consequenziale convincimento sul pericolo di recidiva specifica.

La conclusione – sorretta da iter argomentativo completo, congruo, corretto – non può essere messa in discussione da questa Corte che non deve sostituire le sue valutazioni a quelle del Giudice di merito, ma solo controllare se la motivazione del provvedimento al suo vaglio sia immune da vizi logici o giuridici (e tale è il caso in esame).

Non è riscontrabile la rilevata dissonanza tra le conclusioni della sentenza di condanna e quelle dello impugnato provvedimento in quanto le relative valutazioni concernono aree tematiche differenti.

Il Giudice della cognizione principale ha calibrato la pena in relazione al passato, cioè, alla gravità del caso con particolare riguardo alla entità della compromissione alla libertà sessuale della vittima; il Tribunale, in sede di appello, ha avuto come referente solo la possibilità di commissione di futuri reati analoghi a quelli per cui si procede.

Per quanto concerne la residua deduzione, è vero che il ravvedimento può essere un indice favorevole per attenuare la prognosi di recidiva;

tuttavia, nel caso concreto, l’accenno di pentimento è stato squalificato dalla circostanza che l’imputato ha sostenuto la sua innocenza.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone che copia del presente provvedimento sia inviata al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente perchè provveda a quanto disposto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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