T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 20-06-2011, n. 912 Ricorso giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I. Con il presente ricorso, i ricorrenti impugnano collettivamente i provvedimenti c.d. DASPO – di cui ciascuno di loro è singolarmente destinatario e notificatario – emessi in data 31 agosto 2010 dal Questore Bergamo e aventi la durata di anni tre.

Come si evince dalle relative premesse, gli atti de quibus traggono origine dal medesimo episodio, ossia dalla protesta inscenata il 25 agosto 2010 – in Comune di Alzano Lombardo e nell’ambito del 21° "Berghem Fest" della Lega Nord – da alcune centinaia di tifosi dell’Atalanta, per opporsi al "provvedimento del Ministro dell’Interno Maroni (presente in quella circostanza: NdE), relativo all’introduzione della "tessera del tifoso" in occasione di avvenimenti sportivi calcistici".

A seguito delle forme violente assunte dalla protesta (un gruppo di circa 200 "ultrà", tutti travisati, facevano irruzione nell’area vicina al palco e lanciavano "numerosi fumogeni, bombe carte, razzi da segnalazione nonché bottiglie di vetro"), tutti i ricorrenti – riconosciuti direttamente dalle Forze dell’Ordine o a mezzo delle immagini registrate dalle videocamere della Polizia Scientifica – venivano deferiti all’A.G. per i reati di cui all’art. 655 c.p. (radunata sediziosa) in relazione all’art. 18 TULPS (manifestazione non autorizzata).

A sostegno della proposta impugnativa, si deducono in ricorso le seguenti censure:

1) violazione dell’art. 6 legge 401/89, eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento dei fatti: in sintesi, si contesta che ricorrano, nella specie i presupposti richiesti dalla norma invocata, in quanto dal tenore dei provvedimenti controversi risulterebbe la presenza dei ricorrenti nei momenti precedenti il "gravissimo episodio" di cui si tratta, ma non l’attribuibilità agli stessi delle condotte violente descritte;

2) violazione dell’art. 6, comma 1 legge 401/89 e dell’art. 2 bis comma 1 legge 377/2001, nell’assunto di fondo che "i fatti oggetto di contestazione sono avvenuti al di fuori del contesto sportivo" (il 25.8.10 non si stava giocando né era in programma alcuna partita ufficiale dell’Atalanta Calcio), mentre "la ratio legis intende reprimere manifestazioni di violenza che sono strettamente collegate con l’attività o la manifestazione sportiva, non episodi di delinquenza comune per cui il Questore e il P.M. hanno in mano altri strumenti di dissuasione" (si citano ad es.: foglio di via, avviso orale, denuncia, richiesta di misura cautelare, ecc.);

3) violazione dell’art. 6 legge 377/2001 ed eccesso di potere per indeterminatezza dei luoghi a cui viene inibito l’accesso;

4) violazione dell’art. 6, comma 1 legge 401/89, sotto il profilo della non riconducibilità della condotta de qua (assembramento non autorizzato) all’elencazione tassativa in esso contenuta.

II. Resiste al ricorso l’Amministrazione dell’Interno, che, con memoria depositata il 16 aprile 2011: – ha preliminarmente dedotto l’inammissibilità del ricorso "in quanto investe una pluralità di provvedimenti che solo in parte sono connessi";

– ha contestato la fondatezza, nel merito, delle censure avversarie, sostenendo in particolare come l’espressione "in occasione o a causa di manifestazioni sportive" "comprenda anche le circostanze in cui una pluralità di persone sono riunite per ragioni connesse a vicende sportive";

– ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o in subordine sia respinto, con rifusione delle spese.

III. Indi, all’odierna pubblica udienza il ricorso è passato in decisione, previa discussione orale nel corso della quale i difensori delle parti hanno ribadito le rispettive tesi: in particolare, la difesa dei ricorrenti si è richiamata a (ed ha prodotto copia de) la sentenza Cass. pen. Sez. III, 13 luglio 2010, n. 27067.

IV. Ciò premesso, il Collegio osserva – in rito – che questa Sezione ha più volte affrontato il tema dell’ammissibilità dei ricorsi collettivi in materia di c.d. DASPO, aderendo in via generale (cfr. sentenze 27 maggio 2010, nn. 2157, 2158 e 2159, nonché, da ultimo, 21 gennaio 2011, n. 135) al consolidato indirizzo giurisprudenziale (si vedano le pronunce ivi menzionate), il quale ritiene che – ai fini dell’ammissibilità del ricorso collettivo e in deroga al principio secondo cui ogni domanda di accertamento deve essere proposta dal singolo titolare del diritto – occorra, oltre al requisito negativo dell’assenza di conflitti di interessi, che vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali, cioè che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per i medesimi motivi, sì da poter ragionevolmente considerare la pluralità di ricorrenti come un’unica parte processuale, seppure soggettivamente complessa (questa Sezione ha fatto, altresì, recente applicazione di questo principio nella differente materia delle quote latte: cfr. 27 aprile 2011, n. 634).

Eccezionalmente (citata sentenza n. 135/2011), la Sezione ha, poi, optato – in una situazione, sempre in tema di DASPO, di obiettiva disomogeneità iniziale della posizione dei due co/ricorrenti, tuttavia caratterizzata dalla sopravvenuta improcedibilità di una delle due impugnative – anziché per la radicale inammissibilità dell’intero ricorso, per la conservazione della sola impugnativa proposta dal ricorrente, il cui interesse alla decisione era rimasto intatto: e ciò perché la sopravvenuta improcedibilità dell’azione impugnatoria di uno dei due ricorrenti ben poteva determinare, per le note finalità di conservazione dei mezzi giuridici, la sopravvenuta salvezza dell’originaria impugnativa dell’altro ricorrente.

Tuttavia, nel caso di specie si può fare pacifica applicazione della regola di carattere generale sopra ricordata, in quanto, effettivamente, le domande giurisdizionali sono identiche nell’oggetto, gli atti impugnati rivestono lo stesso contenuto e vengono censurati per i medesimi motivi, cosicché si può ragionevolmente considerare la pluralità degli attuali ricorrenti come un’unica parte processuale, seppure soggettivamente complessa.

Il ricorso risulta, pertanto, ammissibile e la contraria eccezione dell’Amministrazione dell’Interno non può trovare accoglimento.

V.1. Quanto al merito della controversia, il Collegio intende qui richiamare, innanzitutto, i più recenti arresti giurisprudenziali, cui è pervenuta in materia la Sesta Sezione del Consiglio di Stato.

La sentenza 16 dicembre 2010, n. 9074 della predetta Sezione si occupa di censure analoghe a quelle qui dedotte dai ricorrenti con il primo e quarto motivo: invero, come recita tale pronuncia, "parte appellante aveva invocato, in primo grado, l’assenza di prove circa il proprio coinvolgimento nei disordini, dal quale sarebbe dovuto discendere l’annullamento del provvedimento impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale e, sotto altro profilo, la riconducibilità delle condotte dal medesimo poste in essere (ed ammesse pacificamente) a mere ed innocue manifestazioni di sapore goliardico.".

Tali argomenti sono disattesi dalla Sezione sulla scorta delle seguenti, testuali considerazioni:

"… il parametro valutativo cui deve attenersi il Giudice amministrativo non riposa nell’indagine dell’intento soggettivo dell’autore della condotta.

La ratio della disposizione in oggetto, infatti, si rinviene – come risulta dalla formula letterale dell’ultimo periodo dell’art. 6, comma 1, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, così come introdotta dal decreto legge 8 febbraio 2007 n. 8 – nell’attribuzione di un potere interdittivo in capo al Questore esercitabile nei confronti di chiunque, in occasione o a causa di manifestazioni sportive, tenga una condotta violenta o comunque tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica, sicché la misura di divieto di accesso a impianti sportivi può essere disposta non solo nel caso di accertata lesione, ma in caso di pericolo di lesione dell’ordine pubblico, come nel caso di semplici condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo.

Detto potere si connota di un’elevata discrezionalità, in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto, in vista della tutela dell’ordine pubblico, non solo in caso di accertata lesione, ma anche in via preventiva in caso di pericolo anche solo potenziale di lesione. Ne consegue che il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto sulla base dei suoi precedenti non dia affidamento di tenere una condotta scevra da ulteriori episodi di violenza, accertamento che resta incensurabile nel momento in cui risulta congruamente motivato avuto riguardo a circostanze di fatto specifiche.

Anche la Corte di Cassazione, peraltro, non fa riferimento al concetto di gravità indiziaria, ma a quello di sufficienza, con riferimento alla convalida del provvedimento del questore di divieto di accesso a luoghi in cui si svolgono manifestazioni agonistiche assunto a norma dell’art. 6 della l. n. 401 del 1989, affermando che "l’autorità giudiziaria non può limitarsi a un mero controllo formale che svuoterebbe il suo intervento dei contenuti più pregnanti, ma deve accertare, in concreto e con riferimento all’attualità, se la pericolosità del soggetto sottoposto alla misura giustifichi e renda la misura stessa atta allo scopo di prevenzione voluto dal legislatore, verificando altresì, specialmente, se non è intervenuta una condanna, la sussistenza di sufficienti elementi indiziari atti a corroborare l’attribuibilità al soggetto stesso della condotta pericolosa e penalmente rilevante che il questore ha addotto a fondamento della misura adottata.".(Cassazione penale, sez. I, 20 gennaio 1997, n. 284).

Nel caso in oggetto l’Amministrazione – e successivamente il Tribunale amministrativo regionale – ha esattamente rilevato che la condotta materiale posta in essere dall’appellante poteva integrare, secondo un giudizio prognostico che appare immune da contraddizioni, il "periculum" che costituisce il presupposto legittimante l’irrogazione della misura di prevenzione in esame.

Il mostrare parti intime del corpo ai tifosi della squadra avversaria, infatti, può forse essere supportato da intenti goliardici; è indubbio, però che detta volgare condotta sia atta a provocare possibili reazioni violente da parte di chi, da tali condotte, si sentisse irriso.

Ciò integra pienamente il presupposto applicativo della citata disposizione che, lo si ribadisce, è volta a prevenire disordini e violenze."

E, con specifico riferimento all’ulteriore argomento difensivo di parte appellante rappresentato dalla intervenuta archiviazione del procedimento penale, così prosegue e conclude la sentenza n. 9074/2010:

"… il parametro valutativo affidato all’amministrazione non è condizionato al positivo vaglio penalistico sulle condotte.

Ben una condotta non integrante una fattispecie di reato può essere però idonea a creare pericoli per l’ordine pubblico negli stadi, ovvero innescare condotte violente.".

V.2. Di poco antecedente l’odierna udienza pubblica è, poi, la sentenza Sez. VI, 2 maggio 2011 n. 2573, che individua, quale necessario presupposto per l’adozione del DASPO, la preventiva denunzia all’A.G., argomentando che – se non occorre sia intervenuta una condanna in sede penale (per taluno dei reati elencati all’art. 6, comma primo, della legge n. 401 del 1989 o per comportamenti espressione di violenza o di incitamento, inneggiamento o induzione alla violenza nel contesto delle competizioni sportive) – " è tuttavia necessario che i fatti accertati, nel loro materiale accadimento e nella riconduzione a titolo di responsabilità ad un soggetto determinato, abbiano formato oggetto di preventiva denunzia alla autorità giudiziaria."

Si tratta di una interpretazione certamente più restrittiva di quella offerta dalla precedente sentenza n. 9074/2010, in quanto richiede – oltre la lettera della norma, ma con richiamo adesivo ad altra decisione del Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 3245 del 21 giugno 2005) – il requisito della previa denuncia per tutte indistintamente le fattispecie previste dall’art. 6 comma 1.

V.3. Non si pone per il Collegio, nella presente controversia, un problema di opzione tra l’uno o l’altro dei suddetti orientamenti, dato che entrambi i presupposti, come sopra individuati, ricorrono nel caso di specie. Invero:

i) nessuno dei ricorrenti nega di aver preso parte alla "radunata sediziosa" non autorizzata: e questa sola condotta è suscettibile di integrare il presupposto legittimante del periculum (cioè di lesione anche solo potenziale dell’ordine pubblico) individuato dalla sentenza n. 9074/2010, poiché – come esattamente rilevato anche nella relazione dell’Amministrazione, dimessa in causa (unitamente ad altra documentazione) il 13 dicembre 2010 e non fatta oggetto di repliche, sul punto, dalla difesa dei ricorrenti – il nesso tra la contravvenzione prevista dall’art. 655 c.p. e la tutela dell’ordine pubblico è stato, da tempo, evidenziato dalla Corte Costituzionale (cfr. capo 3 della sentenza 27 febbraio 1973, n. 15, in cui si afferma che la disposizione contenuta nell’art. 655, che vieta le radunate sediziose, risponde alla necessità di assicurare l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica e tende, cioè, a garantire beni che sono patrimonio dell’intera collettività);

ii) per tale specifico fatto tutti i ricorrenti risultano deferiti all’A.G. (come richiesto dalla sentenza n. 2573/2011) e di tale deferimento viene dato espressamente atto nei provvedimenti DASPO impugnati.

Il primo motivo di ricorso deve, pertanto, essere disatteso.

V.4. Parimenti da disattendere è il quarto e ultimo motivo di ricorso, in quanto le due sentenze della Sez. Sesta, sin qui richiamate, escludono, comunque, entrambe che – al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti – l’emissione del DASPO sia possibile solo a fronte del deferimento all’AG per uno dei reati elencati al primo comma dell’art. 6 legge 401/1989.

Sul punto è, poi, risulta esaustivo il recente arresto, condiviso dal Collegio, di T.A.R. Liguria, sez. II, 31 marzo 2011, n. 471 che – in presenza di censura analoga (violazione del principio di tassatività che informerebbe la disciplina invocata) – si è così espresso:

"L’argomento non ha fondamento giuridico. Si basa su una parziale lettura della dall’art. 6, comma 1, l. 13 dicembre 1989 n. 401 che espressamente prevede che possano essere destinatari del provvedimento impugnato tutti coloro i quali che, in occasioni di eventi sportivi, "abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza".

La norma, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso che, cadendo in equivoco concettuale, sovrappone il principio di tassatività a quello di tipizzazione delle fattispecie punitive, adopera una formulazione volutamente generica atta comunque a ricomprendervi tutti i casi in cui, a prescindere dai mezzi impiegati, si inciti alla violenza: sono oggetto di DASPO i fatti di incitazione alla violenza che abbiano concreta attitudine a recare pericolo all’ordine pubblico."

VI.1. In ordine, poi, alle questioni giuridiche sollevate con il secondo mezzo di impugnazione (ed essenzialmente relative all’interpretazione da dare all’espressione "in occasione o a causa di manifestazioni sportive", contenuta nel primo comma dell’art. 6 legge 401/1989), il Collegio rileva come – fermo restando che nella specie non si verte pacificamente nella prima delle suddette ipotesi (occasione di manifestazione sportiva, in senso di competizione sportiva, come precisato dall’art. 2 bis comma 1 legge 377/2001, richiamato nelle considerazioni iniziali, svolte dai ricorrenti a illustrazione della censura in esame) – resta, allora, da stabilire se l’episodio di cui è causa rientri o meno nella seconda ipotesi ("a causa di manifestazioni sportive").

Al riguardo, alcuni degli stessi precedenti giurisprudenziali, invocati dai ricorrenti a sostegno delle proprie tesi, precisano rispettivamente:

– che "gli episodi di violenza o di incitamento alla violenza rilevanti ai fini dell’adozione dei provvedimenti di divieto devono, dunque, essere necessariamente omogenei rispetto a quelli che si intendono prevenire" (TAR Toscana, Sez. I, da n. 5479 a n. 5483 dell’8.11.2004);

– che "una corretta lettura dell’art. 6, 1° comma, della L. n. 401/89 collega il provvedimento di divieto di accesso alle manifestazioni sportive o alla denuncia o condanna per specifici reati o per episodi di violenza o incitazione alla violenza, ma l’uno o l’altro di questi presupposti deve sussistere in relazione o nel contesto di una manifestazione sportiva, altrimenti il divieto di accesso ai luoghi in cui dette manifestazioni avvengono sarebbe una sanzione del tutto avulsa dall’episodio contestato, in quanto diretta ad eliminare non una generica pericolosità sociale del soggetto, ma quella specifica che deriva dal verificarsi di determinate condotte in un ambito specifico, ed esse, e solo esse, detta misura è destinata a contrastare" (TAR Liguria, Sez. II, 18 febbraio 2009, n. 239).

VI.2. Da queste considerazioni, che il Collegio condivide, discende, pertanto, che gli episodi violenti devono essere commessi nel contesto o nell’ambito di manifestazioni/competizioni sportive, ovvero – se avulsi da detto contesto spazio/temporale – essere, comunque, in relazione o possedere elementi di omogeneità con dette manifestazioni (o competizioni o attività, come le definiscono gli stessi ricorrenti): in questo senso va, quindi, interpretata la locuzione "a causa di" utilizzata dal più volte citato art. 6 primo comma legge 401/1989.

VI.3. Ebbene, ritiene il Collegio che tale nesso di relazione e tale omogeneità sussistano nel caso di specie, in cui il trait d’union tra la radunata sediziosa per cui i ricorrenti sono stati denunciati e l’attività/manifestazione sportiva è costituito proprio da quella "tessera del tifoso", proposta dal Ministro dell’Interno On. Maroni (fisicamente presente il 25 agosto 2010 al "Berghem Fest", organizzato dalla Lega Nord in Alzano Lombardo), e contro la quale la "radunata" medesima era indirizzata: si veda il volantino, rinvenuto al termine degli incidenti e a firma "A guardia di una fede" (allegato alla notizia di reato 26 agosto 2010, trasmessa dal Dirigente DIGOS di Bergamo, e qui prodotto in causa dalla stessa Questura), ove si legge, tra l’altro, che "Gli Ultras, i Tifosi e i semplici Appassionati di calcio non ne possono più di questi "rimedi antiviolenza", che poi alla fine non fanno altro che svuotare sempre di più gli stadi, arricchendo per contro le tasche delle televisioni".

La condotta violenta di cui si è trattato (praticata il 25 agosto 2010 in Alzano Lombardo, all’indirizzo del Ministro dell’Interno) trovava, dunque, la sua "causa" nella protesta contro una modalità di regolamentazione dell’accesso agli stadi in occasione delle partite di calcio (sul sito internet del Ministero, si può leggere che il titolare della tessera – rilasciata, su richiesta, dalla società sportiva, dopo il "nulla ostà della Questura competente – potrà accedere allo stadio anche nei casi di partite soggette a restrizioni e godere di procedure veloci per l’accesso allo stadio, attraverso la creazione di varchi dedicati): tale condotta si poneva, così, in (stretta) relazione logica di mezzo a fine con le prossime manifestazioni sportive (così come programmate negli imminenti calendari calcistici), mentre – sotto il profilo oggettivo (uso di modelli comportamentali collettivi, tipici degli incidenti "pre" e "post" partite di calcio) e soggettivo (consistenti gruppi di tifosi organizzati) – essa si è rivelata del tutto omogenea agli episodi che la norma introduttiva del DASPO, della cui applicazione qui si controverte, intende prevenire.

In sostanza, non si vede perché non potrebbe essere vietato l’accesso a manifestazioni sportive a chi ha messo in atto (pur al di fuori del contesto spaziotemporale in cui dette manifestazioni si svolgono) condotte potenzialmente lesive dell’ordine pubblico, proprio allo specifico scopo di impedire una determinata regolamentazione generale dell’accesso dei cittadini alle stesse manifestazioni sportive: l’omogeneità tra condotta e misura preventiva pare, invero, emergere ad una semplice constatazione obiettiva, così come risulta difficilmente contestabile quel legame di causa ad effetto e quel nesso con l’attività e le manifestazioni sportive, richiesti da altro precedente giurisprudenziale, pure invocato dai ricorrenti (cfr. T.A.R. Veneto, sez. III, 7 luglio 2010, n. 2886).

VI.4. Quanto all’ulteriore precedente giurisprudenziale (Cass. pen. Sez. III, n. 26067/2010), su cui la difesa dei ricorrenti ha fatto leva nel corso della discussione orale, svoltasi all’odierna udienza, il Collegio non può che prendere atto che in quella, analoga circostanza (la squadra di calcio del Palermo giocava in trasferta, a Parma, e i tifosi palermitani si erano radunati davanti allo stadio per ascoltare la radiocronaca della partita ParmaPalermo, inscenando una manifestazione di protesta per la preannunciata introduzione della tessera del tifoso), la Sez. III penale ha, sinteticamente, ritenuto insussistente il presupposto per l’adozione, da parte del Questore di Palermo, della misura con cui è stata imposta la presentazione alla PS in occasione delle partite della squadra di calcio Palermo, "dato che il sitin è stato attuato in luogo in cui non si svolgeva una manifestazione sportiva, avendo la diversa finalità di esprimere scomposto dissenso verso un provvedimento amministrativo avversato dai tifosi.".

Nonostante l’analogia fattuale, ritiene il Collegio che detta pronuncia non risulti giuridicamente conferente al caso di specie.

Invero:

a) il vaglio della Cassazione ha riguardato il "controllo di legalità" effettuato dal Giudice (G.I.P.) "in sede di convalida dei provvedimento del questore che, incidendo sulla libertà personale, imponga a taluno, ai sensi della L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 6. comma 2, e successive modifiche, l’obbligo di presentarsi ad un ufficio o comando di polizia in coincidenza con lo svolgimento di manifestazioni sportive": ma – come la giurisprudenza della stessa Sez. III penale della Corte di Cassazione aveva in precedenza precisato (29 novembre 2006, n. 9798, capo 5, ultimo periodo) – al Giudice penale spetta di convalidare solo la prescrizione di presentarsi davanti all’autorità di pubblica sicurezza (di cui citato comma 2), mentre il controllo sul divieto di accesso ai luoghi delle manifestazioni sportive (di cui al comma 1) esula dalla sua competenza giurisdizionale;

b) si tratta di un controllo non di tipo meramente formale ma sostanziale, in ordine, cioè, alla sussistenza dei vari presupposti indicati dalla norma (in termini, Cass. pen. Sez. I, 20.1.2004 n. 3876) e di situazioni tali da giustificare, in aggiunta alla misura amministrativa vera e propria del divieto di accesso agli stadi, anche quella misura "atipica" di prevenzione dell’obbligo di presentazione ad Ufficio di Polizia in determinati orari e giorni (così: Cass. pen. Sez. I, 19.2.2004 n. 9684; e Cass. pen. Sez. III, 15.4.2008 n. 24338);

c) l’autonomia tra le due misure è palese, tanto che, in occasione della citata sentenza n. 9798/2006, la Sez. III penale ne ha tratto la conseguenza che – ove la convalida del G.I.P. abbia (indebitamente) avuto per oggetto tutto il provvedimento questorile e la stessa convalida debba essere annullata con rinvio per difetto di motivazione, al fine di consentire al giudice una nuova deliberazione diretta a correggere il vizio del provvedimento annullato – il disposto "annullamento riguarda soltanto la convalida dell’anzidetta prescrizione, mentre il divieto di accesso resta valido ed efficace";

d) allo stesso modo, occorre qui ritenere che la valutazione effettuata in quella circostanza dalla Cassazione penale risulti circoscritta alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti per la convalida della misura di prevenzione "atipica" dell’obbligo di presentazione, senza che i principi affermati in funzione di tale esclusivo controllo di legalità abbiano alcuna refluenza sulla misura amministrativa del DASPO.

VI.5. Peraltro va osservato che l’autonomia e l’indipendenza tra le due misure è stata, ulteriormente e in termini ancor più netti, rimarcata proprio dalla Sez. III penale in una sentenza che – sebbene si riferisca ad affare passato in decisione all’Udienza pubblica del 16 febbraio 2011 – è stata pubblicata in data (31 maggio 2011, con il n. 21790) di poco successiva all’Udienza pubblica (18 maggio 2011) in cui questa causa è stata trattenuta dal Collegio e in pendenza del termine (45 gg.) di redazione della relativa sentenza, stabilito dall’art. 89, comma 1 c.p.a.

Tale pronunciaè, pertanto, qui richiamata dichiaratamente ad abudantiam e a mò di autoqualificato obiter dictum, rivestendo le considerazioni in essa svolte valore non già decisivo, bensì semplicemente esplicativo di quanto lo stesso Collegio ha già esposto ai capi che precedono; a chiusa dei quali, ben si possono semplicemente "prendere a prestito" (citandone la fonte) le seguenti parole contenute in tale sentenza n. 21790/2011 della Cassazione penale:

"per quanto poi afferisce ai rapporti tra il provvedimento amministrativo del Questore (avente quale oggetto le ricordate inibizioni dall’accesso a impianti sportivi e manifestazioni sportive calcistiche di qualsiasi serie e categoria) e quello avente natura giurisdizionale, pure contenuto nel medesimo provvedimento (avente, invece, ad oggetto l’obbligo di presentazione in orari e a cadenze predeterminate: NdE), le osservazioni della difesa circa l’idoneità dei soli divieti di accesso a garantire quelle esigenze di sicurezza alla base del provvedimento non possono essere condivise, sia per la netta autonomia tra i due provvedimenti, sia soprattutto per le diverse causali e finalità di essi".

VI.6. Conclusivamente, per tutte le argomentazioni dispiegate ai precedenti capi da VI.1. a VI.4., anche il secondo motivo di ricorso non risulta suscettibile di positivo apprezzamento.

VII.1. Infine, con il terzo (e ultimo da esaminare) mezzo di impugnazione, i ricorrenti lamentano che il Questore – anziché fornire quella specifica indicazione, richiesta dall’art. 6 legge n. 377/2001, dei luoghi, oltre agli impianti sportivi, cui è loro inibito di avvicinarsi – si sia limitato, con l’eccezione della città di Bergamo, ad una mera "ripetizione" del dettato normativo.

VII.2. Al riguardo, il Collegio intende richiamare l’avviso già manifestato sul punto da questa Sezione in fattispecie identiche alla presente e relative a DASPO emessi dal Questore di Brescia (20 ottobre 2010, n. 4095 e n. 4096), rinviando alle considerazioni ivi espresse (cfr. capo 4, lett. "a") e che, comunque, di seguito si riportano:

"su analoghi divieti nello spazio (luoghi interessati dalla sosta, transito e trasporto di chi assiste alle manifestazioni sportive di cui si tratta, quali stazioni ferroviarie ecc.) e "nel quando" (in occasione degli incontri disputati dalla Nazionale italiana, anche Under 21; dalle squadre che militano nei campionati di serie A, B, C1, C2 e D e con riferimento a tutti gli incontri di calcio di Coppa Italia, Coppa Uefa e Champions League, comprese le partite amichevoli) la prevalente giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di pronunciarsi in senso sfavorevole alle tesi del ricorrente.

Infatti, da siffatta descrizione dell’ambito di applicazione del DASPO:

– per un verso, "risultano individuate con sufficiente specificità le manifestazioni sportive alle quali è stato vietato al ricorrente di partecipare"(in termini: Tar Veneto, sezione terza, 3 settembre 2008, n. 2651, nonché la sentenza n. 1141 del 2008, ivi richiamata), mentre l’estensione delle stesse (negli stessi termini sopra riportati) non è affatto esclusa dal tenore dell’art. 6 L. n. 401/89 (T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 9062009, n. 3162);

– per altro verso, detta indicazione "spaziale" "è sì ampia, ma non generica, né tale da determinare nel destinatario particolari incertezze o difficoltà di comprensione", poiché "nessun equivoco può derivare dal riferimento alle "stazioni ferroviarie" (la cui ubicazione è nota, e comunque sono ben visibili ed abbondantemente segnalate, al pari dell’esistenza dei treni speciali o degli esodi organizzati dei tifosi, limitati alle partite dei campionati professionistici e semiprofessionistici)" e sembra, altresì, evidente che – interpretata con aderenza al significato corrente delle parole – la locuzione "luoghi interessati dalla sosta, transito e trasporto di chi assiste alle manifestazioni sportive antistanti gli stadi" (o similari) porta, a sua volta, "ad individuare gli spazi direttamente adiacenti agli impianti sportivi e quelli ufficialmente destinati, dalle amministrazioni locali e dalle autorità di pubblica sicurezza, allo stazionamento delle c.d. carovane di tifosi, non certo ad ogni strada che risulti utile al parcheggio da parte di chi si reca allo stadio. In sostanza, il divieto in esame scatta in presenza di un rilevante afflusso di massa di tifosi in occasione di manifestazioni calcistiche di notevole importanza, come tale agevolmente prevedibile e percepibile" (Tar Umbria, 11 novembre 2008, n. 723 e ulteriori precedenti dello stesso Giudice, ivi citati).

A ciò si aggiunga che, per quanto riguarda specificamente lo stadio comunale di Brescia (quello di "riferimento" per il ricorrente, nato a Brescia e residente in provincia di Brescia), il provvedimento questorile indica nominativamente le vie oggetto dell’impugnato divieto di accesso: per tutte le considerazioni – di carattere generale e particolare – sopra esposte, il Collegio ritiene, pertanto, di non aderire, sul punto, all’orientamento contrario cui pure si è fatto cenno e attualmente incarnato, essenzialmente, dalla giurisprudenza del Tar Toscana (cfr. da ultimo: Sez. I, 11092008, n. 1982)".

VII.3. Il Collegio ritiene, anche nella presente controversia, di discostarsi dal suddetto indirizzo – di cui il Tar Toscana è portavoce e cui si rifanno i ricorrenti nell’esposizione del terzo motivo – e di confermare l’orientamento già espresso nelle proprie pronunce del 2010, menzionate al capo VII.2; e ciò, rispettivamente, per una ragione di ordine fattuale e per una ragione di ordine giuridico:

– sul piano fattuale, come detto, il tenore dei provvedimenti è analogo e, per di più, i ricorrenti danno, qui, correttamente atto che "per la città di Bergamo gli spazi sono specificamente indicati", quando, come risulta dalla stessa epigrafe del ricorso, la pressoché totalità degli oltre 40 ricorrenti è nata ed è attualmente residente in Provincia di Bergamo (salvo due ridottissimi gruppi – rispettivamente quattro e tre unità – di nati altrove ma residenti in provincia di Bergamo, ovvero nati in provincia di Bergamo e residenti in provincia di Cremona);

– sul piano giuridico, l’orientamento assunto dalla Sezione è stato successivamente ribadito in diverse pronunce del T.A.R. Umbria Perugia (10 marzo 2011, da n. 68 a n. 72), pur nell’espressa consapevolezza, in giurisprudenza, dell’esistenza di un consistente orientamento contrario.

VIII. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.

In considerazione della parziale novità di alcune delle questioni trattate e della natura eminentemente interpretativa della controversia, le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo RESPINGE.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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