Cass. pen., sez. IV 30-06-2008 (03-06-2008), n. 26131 Condotta dell’utente della strada – Irregolarità dell’altrui condotta – Previsione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza, in data 24.03.2005, il GUP presso il Tribunale di Bassano del Grappa ha riconosciuto G.P. responsabile del delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale (capo a) ai danni di M. F., e della contravvenzione di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2 (capo b), commessi in (OMISSIS) e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e ritenuta la diminuente per il rito, lo ha condannato alla pena di anni uno di reclusione per il reato sub a) e a giorni 14 di arresto ed Euro 140,00, di ammenda per il reato sub b), oltre spese e pene accessorie.
Proposto gravame da parte dell’imputato, la Corte d’Appello di Venezia, in data 1.02.2007, ha confermato la sentenza di primo grado.
In sintesi si espone il fatto nei seguenti termini:
La notte del (OMISSIS) G.P. circolava alla guida di un’auto Fiat Punto sulla strada provinciale (OMISSIS), con direzione (OMISSIS).
Superata una curva ad andamento destrorso, andava a collidere con un’auto Alfa 33, guidata da A.A., che sopraggiungeva dall’opposto senso di marcia.
Per effetto del contatto, entrambi i veicoli invadevano totalmente la semicarreggiata non di loro pertinenza.
L’Alfa 33 andava così al urtare con violenza, frontalmente, contro una Volkswagen Golf, guidata da V.S..
M.F., che viaggiava sul sedile posteriore di quest’ultimo veicolo, riportava lesioni gravissime per effetto delle quali decedeva poco dopo in ospedale. Nello stesso luogo di cura veniva altresì trasferito anche il conducente la Fiat Punto, che sottoposto a specifiche indagini risultava avere un tasso alcoolemico pari a 360 mg/dl.
La Corte d’Appello ha fatto proprio l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado, ritenendo infondate le doglianze avanzate con l’appello, relative a questioni di fatto già esaminate dal GUP. Riteneva il giudicante pienamente provato l’assunto accusatorio, rilevando che, dalle dichiarazioni delle persone che viaggiavano sulla Golf Volkswagen e dai dati rilevati dall’organo di P.S. intervenuti sul posto, era emerso che il G. procedeva, nella fase antecedente l’incidente, a zig zag e che la collisione, che aveva interessato la zona antero – laterale sinistra dell’Alfa 33 e della Fiat Punto, si era verificata nella carreggiata di pertinenza del primo veicolo. Ravvisava pertanto l’antecedente causale della morte del M. nella condotta dell’imputato, i cui profili di colpa andavano individuati nella violazione dell’obbligo di circolare nella propria corsia di marcia e nell’essersi posto alla guida di un veicolo in condizioni di grave menomazione delle proprie capacità psicofisiche, determinato dall’uso di sostanze alcoliche.
Propone ricorso per Cassazione l’imputato a mezzo del suo difensore, avv. Lelio Fracasso, denunciando quale primo motivo contraddittorietà e manifesta illogicità e carenza della motivazione.
Il Giudice d’Appello ha, per la Difesa, erroneamente interpretato e valutato le prove in atti, travisando i fatti e motivando, pertanto, in modo illogico e contraddittorio la sentenza emessa. La sentenza impugnata erroneamente afferma a pag. 3 che l’imputato, sottoposto a specifiche indagini all’ospedale di Bassano del Grappa, subito dopo il sinistro "risultava avere un tasso alcolemico pari a 360 mg/dl".
Come risulta dalla certificazione dell’ospedale in atti, il tasso alcolemico accertato è stato di 160 (centossessanta) mg/dl.
La Corte veneziana ha ritenuto G.P. unico ed esclusivo responsabile del sinistro di cui è causa, poichè sarebbe dimostrato dalle risultanze probatorie che la collisione con l’Alfa Romeo condotta da A.A. è avvenuta nella semicarreggiata di pertinenza di quest’ultimo, che viaggiava in piena conformità al disposto di cui all’art. 143 C.d.S.: che non era possibile per A. constatare che G. non avesse il controllo del proprio mezzo e quindi effettuare una manovra eversiva: che i danni riportati dell’Alfa Romeo e dalla Volkswagen Golf non potevano essere casualmente ricondotti all’eccessiva velocità della prima: che il M. non avrebbe potuto evitare le gravi lesioni neppure se avesse avuto la cintura di sicurezza allacciata.
Si osserva che le conclusioni alle quali la Corte Veneta è pervenuta contrastano con quanto rilevabile dagli accertamenti della P.S. in atti.
Innanzitutto, dallo schizzo planimetrico risulta che l’impatto tra la Fiat Punto e l’Alfa Romeo è avvenuto a 2 m dal muretto che divide la pista ciclabile dalla sede viaria. Seguendo il ragionamento adottato dalla Corte d’Appello, se la semicarreggiata è larga 2,90 m., l’impatto deve essere avvenuto a 90 cm dalla linea di mezzeria (come si legge anche nel rapporto della P.S.): pertanto, considerate la larghezza dell’Alfa Romeo (1.60 m circa) e della semicarreggiata (2,90 m. circa), appare evidente che A.A. non viaggiava rigorosamente in prossimità del margine destro della carreggiata, bensì spostato verso il centro di essa.
In secondo luogo, la Corte afferma che A. non poteva percepire il pericolo e quindi effettuare una manovra (eversiva in quanto G. fuoriusciva da una curva destrosa.
Ciò è documentalmente smentito. Nelle deposizioni rese alla P.S. nell’immediatezza del sinistro, l’A. riconosce di aver visto l’auto del G. e di averne notato l’andamento zigzagante, tanto da avere anche "lampeggiato" per cercare di richiamare l’attenzione del conducente.
Ancora, la Corte non spiega perchè, a suo dire, i danni gravi riportati dall’Alfa e dalla Golf siano "chiaramente riferibili alla somma delle velocità tenute dai due mezzi e non potevano essere riportati, sul piano causale, ad una eccessiva velocità del primo veicolo": la Corte pare non considerare minimamente l’importanza di accertare, finalmente la velocità tenuta da A., come se lo scontro con un’auto che viaggia a 60 Km h (velocità dichiarata dallo stesso) o a una velocità di molto superiore potessero avere gli stessi effetti.
Sul punto manca totalmente la motivazione.
Il Pubblico Ministero all’udienza di discussione in Camera di Consiglio avanti la Corte d’Appello, ha chiesto la trasmissione degli atti al P.M. competente affinchè valuti la possibilità di elevare l’infrazione ex art. 114 c.p., nei confronti di A.A., ma la Corte non si è espressa.
Infine, non viene spiegato perchè il M.F. non avrebbe potuto evitare la morte neppure se avesse avuto le cinture di sicurezza allacciate.
Il dott. Me., consulente nominato dal P.M., ha accertato che il forte scontro ha causato un incontrollabile e violenta mobilizzazione del corpo, che ha impattato contro la struttura rigida dell’autovettura. Nella relazione tecnica della P.S. risulta però, che la vittima occupava" il luogo dell’abitacolo interessato in misura minore dalle pressioni dell’urto". E’ legittimo supporre, pertanto, che l’uso delle cinture di sicurezza avrebbe quanto meno attutito il colpo, e forse evitato la tragica morte.
Con un secondo motivo si denuncia la mancata assunzione di prova decisiva – (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), non avendo la Corte disposto una CTU descrittiva del luogo del sinistro e ricostruttiva della dinamica dei fatti, e che accertasse la velocità tenuta dai mezzi in collisione per accertare in modo esauriente il nesso di causalità tra le due collisioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
Ricorda preliminarmente il collegio, in punto di connotati dei vizi di motivazione deducibili in sede di legittimità ex art. 606 c.p.p., comma 1^, lett. e), che è inammissibile il motivo di ricorso che si risolva nella prospettazione di una diversa lettura del contesto probatorio, in quanto la Cassazione non è giudice delle prove, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella che delle stesse hanno fatto i giudici di merito, ma deve stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell’interpretazione del materiale istruttorio abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove; in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (confr. Cass. Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930; Cass. Sez. 1^, 4 novembre 1999, n. 12496): il vizio di motivazione denunciabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non può cioè consistere nella mera deduzione di una valutazione del contesto probatorio ritenuta dal ricorrente più adeguata (Cass. Pen. sez. 5^, 4 ottobre 2004, n. 45420), ma deve essere volto a censurare l’inesistenza di un plausibile e coerente apparato argomentativo a sostegno della scelta operata in dispositivo dal giudicante.
L’applicazione degli esposti principi al caso di specie impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
La Corte d’Appello ha invero indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, facendo proprio l’impianto argomentativo della sentenza di primo grado, recependola in maniera particolareggiata, persuasiva e scevra da vizi logici, e confutando analiticamente, con altrettanto rigore logico, le argomentazioni difensive dell’imputato.
E’ da rilevare, infatti, che la tesi oggetto dei motivi del presente ricorso, sotto una veste meramente fattuale, già era stata sottoposta all’esame della Corte d’Appello, la quale, puntualmente, ha considerato la diversa ricostruzione del fatto, relativamente all’elemento del nesso causale, offerta dall’imputato alla luce dei rilievi planimetrici e delle dichiarazioni testimoniali.
E, non c’è chi non veda come i motivi addotti dal ricorrente ineriscono tutti, anche se diversamente modulati, alla ricostruzione del sinistro sulla base di una diversa valutazione delle risultanze probatorie.
E’ indubbio lo sforzo argomentativo profuso per far rientrare nella previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), quella che è una mera valutazione del fatto, e la Corte d’Appello, in ordine a tutti i rilievi, ha dato risposte pienamente esaustive sia in punto di fatto che di diritto.
Quanto, al presunto travisamento del fatto relativo alla posizione dell’autovettura Alfa 33 rispetto al margine destro della sua carreggiata di competenza, la Corte di merito, sulla scorta dei rilievi tecnici, ha escluso che il comportamento tenuto dal A. A. abbia integrato la violazione della specifica norma comportamentale prevista dal C. d. S. consistente nel non mantenere adeguatamente la destra. Difatti, riportando gli stessi dati numerici indicati dal ricorrente, emerge che l’A. procedeva alla distanza di cm. 40 dal margine destro della strada, distanza, questa, pienamente conforme alla regola di circolazione imposta dal C.d.S mt 2,90 (larghezza carreggiata) – mt. 0,90 (distanza dalla linea di mezzeria) – mt. 1,60 (larghezza dell’autovettura) = mt. 0,40.
Non può sostenersi, poi, che lo stesso guidatore poteva fare più di quanto non stesse già facendo per evitare lo scontro frontale con l’auto dell’imputato, proveniente, in maniera imprevedibile, dalla carreggiata opposta; la Corte territoriale, per altro, rileva anche che il danneggiamento subito, a seguito della collisione, della ruota anteriore sinistra dell’Alfa Romeo, rendeva impossibile il controllo della successiva traiettoria del veicolo ed, in particolare, l’invasione dell’opposta corsia di marcia e l’urto frontale con il terzo veicolo, che seguiva quello guidato dal G..
E’ pur vero che, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, l’utente della strada ha l’obbligo, non solo di regolare la propria condotta in modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose, ma deve anche preoccuparsi delle irregolarità di comportamento degli altri, che possano determinare situazioni di pericolo ed adeguarvi conseguentemente la propria condotta, ma tutto ciò allorchè il comportamento degli altri utenti non assuma il carattere della imprevedibilità. Difatti, è proprio la norma che, nel dettare la condotta da mantenere in determinate situazioni in cui è insito un precipuo carattere di pericolosità, formula il giudizio di prevedibilità ed evitabilità. La norma comportamentale viene dettata proprio al fine di prevenire eventi antigiuridici ed a essa deve necessariamente adeguarsi il destinatario. Questa Corte ha, infatti, più volte statuito che l’osservanza delle norme precauzionali scritte fa venir meno la responsabilità colposa solo quando esse siano esaustive delle regole prudenziali realisticamente esigibili rispetto a quella specifica attività o situazione pericolosa. Può invece residuare una colpa generica quando tali norme siano non esaustive delle regole precauzionali adottabili e, perciò, l’agente debba rispettare anche regole cautelari non scritte.
Nel caso di specie, correttamente i giudici di appello non hanno ravvisato alcuna censura nei confronti dell’ A., altresì sotto il profilo della colpa generica, evidenziando, e ciò, anche in riferimento alla prevedibilità del comportamento dell’imputato, che questi si era posto alla guida dell’autovettura in stato di etilismo acuto (poco importa se il tasso alcolemico fosse di 360 mg/dl o, come sostiene la Difesa, di 160 mg/dl, essendo inconfutabile che, anche nel secondo caso, le condizioni psicofisiche del guidatore erano compromesse), così da non poter adeguatamente controllare la marcia del proprio veicolo. Ancora, in ordine al rilievo della mancata adozione della cintura di sicurezza da parte della vittima, sulla base degli elementi di fatto acquisiti su cui non c’è contestazione, riportati nella parte narrativa della sentenza impugnata, e rapportandoci al convincimento di colpevolezza dei giudici del merito, è priva di vizi logici la conclusione dell’impugnata sentenza secondo cui è indubbio che, se anche il M. F. avesse indossato la cintura di sicurezza, certamente, la violenza dello scontro frontale tra le due autovetture avrebbe, comunque, comportato le stesse conseguenze letali.
Da ultimo, in ordine al secondo motivo del ricorso, si osserva che la mancata acquisizione di una prova decisiva può essere dedotta in sede di legittimità a norma dell’art. 606 c.p.p., lett. D), quando si tratta di prova determinante, quando cioè la mancanza di tale elemento probatorio abbia inciso a tal punto da portare ad una motivazione basata su affermazioni apodittiche o congetturali (V. Cass. Sez. 1^, sent. N. 7399 dell’8.05.1992 Rv. 190718 – Cass. Sez. 1^, sent. N. 3182 del 17.01.1995 Rv. 200690 – Cass. Sez. 1^, sent. N. 7747 del 23.05.1996, Rv. 205528 – Cass. Sez. 4^, sent. N. 11657 del 29.09.2000, Rv. 217273).
Relativamente a tale censura è da evidenziare che il ricorrente non ha offerto alcun elemento oggettivo che potesse far ritenere l’espletamento di una CTU in ordine alla velocità tenuta dai vari autoveicoli coinvolti nel sinistro come prova decisiva nell’accertamento del nesso causale.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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