Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-04-2011) 16-06-2011, n. 24132 Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26 marzo 2007 il Tribunale di Milano dichiarava V.A. colpevole dei delitti di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale in danno di M.D., non ottemperanza l’obbligo di prestare assistenza alla persona offesa e furto aggravato e lo condannava alla pena di anni due e mesi sei di reclusione per il primo reato, alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 600 di multa per il secondo reato, alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 160 di multa per il terzo reato, nonchè al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese in solido con il responsabile civile.

Al V. era stato contestato il reato di cui all’art. 589 c.p., comma 1 e 2 per avere cagionato il decesso di M.D., in quanto, trovandosi alla guida dell’autovettura di proprietà di D.M., privo della patente di guida, effettuava la svolta a sinistra senza rispettare il cartello stradale che imponeva di dare la precedenza, manovra che provocava la collisione con il motociclo condotto da M.D., che, in seguito all’incidente, riportava lesioni che ne determinavano in data 30.03.2006 il decesso.

Gli erano altresì contestati i reati di cui all’art. 189 C.d.S., commi 1 e 7 per non avere ottemperato all’obbligo di prestare assistenza alla sopra indicata persona ferita e di cui all’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 11 per essersi impossessato, al fine di trarne profitto dell’autovettura di proprietà di D. M..

Avverso la decisione del Tribunale di Milano hanno proposto appello l’imputato, le parti civili e il responsabile civile. La Corte di Appello di Milano in data 7.05.2010, con la sentenza oggetto del presente ricorso, in parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado riduceva la pena all’imputato rideterminandola in anni uno e mesi quattro di reclusione per il reato di omicidio colposo, mesi quattro ed Euro 100 di multa per il reato di furto, concesse le attenuanti generiche prevalenti;

confermava nel resto; condannava altresì l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle costituite parti civili per il presente grado di giudizio liquidandole in complessivi Euro 5.000,00 oltre oneri e accessori e 12,5% di spese generali, disponendone la compensazione in ragione di 1/5 a causa della parziale soccombenza; rigettava l’appello principale proposto dalle parti civili nei confronti dell’imputato e del Responsabile civile e condannava le parti civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dal responsabile civile per il presente grado di giudizio che liquidava in Euro 1000,00 oltre oneri ed accessori ed il 12,5% di spese generali.

Avverso la predetta sentenza le parti civili M.B., D.P.I. e M.D., a mezzo del loro difensore, proponevano ricorso per Cassazione chiedendone l’annullamento con ogni conseguenza di legge e censuravano la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per erronea applicazione di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte territoriale, a fronte del motivo di appello in cui si lamentava che la somma liquidata in primo grado non fosse satisfattiva di tutti i danni sofferti dai signori M., non solo non aveva motivato sul punto, fornendo una motivazione soltanto apparente, ma non aveva neppure correttamente applicato le norme che regolano la quantificazione del risarcimento dei danni in caso di danno non patrimoniale, non essendo stato risarcito tale danno integralmente. 2) Violazione dell’art. 606, lett. e) per manifesta illogicità della motivazione, in quanto sarebbe stata fornita una motivazione soltanto apparente sia per quanto attiene al rigetto dell’appello principale proposto dalle parti civili, che venivano condannate alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dal responsabile civile, sia per quanto attiene alla stessa quantificazione delle spese liquidate in secondo grado a favore delle parti civili, assolutamente inadeguata a quanto rappresentato nella nota specifica, non avendo il giudice dato conto dei criteri di valutazione seguiti.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

I ricorrenti ripropongono motivi di doglianza già fatti valere in sede di merito e sulle quali la sentenza impugnata reca stringata ma congrua motivazione.

Essa, difatti, evidenzia, che le censure al riguardo proposte con l’atto di appello "appaiono prive di indicazioni e del tutto generiche…". Ed in effetti, con l’atto di appello gli attuali ricorrenti, dopo aver dedotto che non si comprende per quale motivo non veniva quantizzato il danno sofferto per l’omissione di soccorso, avevano genericamente dedotto che "la somma liquidata non è satisfattiva di tutti i danni sofferti, sia patrimoniali, che morali, dai signori M.; sul punto ci si permette di non condividere quanto sostenuto nell’impugnata sentenza laddove si parla di limiti alla prova offerta".

Colta, dunque, la genericità delle censure prospettate in sede di appello, e premesso che, come ben noto, in caso di sentenza di appello confermativa di quella di primo grado, le due decisioni si integrano, giova in ogni caso considerare, quanto al primo motivo di ricorso, che i giudici del merito danno atto che il risarcimento del danno venne richiesto in via equitativa. Ciò posto è principio reiteratamente affermato dalla giurisprudenza civile di questa Suprema Corte (da ultimo, Sez. 3, 26 gennaio 2010, n.1259; Sez. 1, 19 maggio 2010, n. 12318) che la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria. Principio,questo, confermato anche dalla giurisprudenza penale di questa Suprema Corte (Cass., Sez. 5, 23 gennaio 1997, n. 6018; Sez. 5, 31 gennaio 2007, n. 9182; quanto al danno morale, Sez. 3, 17 giugno 2010, n. 34209).

Nella specie, la sentenza impugnata ha confermativamente evidenziato che "le somme liquidate devono ritenersi congrue ed esaustive in riferimento agli usuali parametri utilizzati per la liquidazione del danno alle persone", precisando che, quanto al danno morale, "… il risarcimento, così come quantificato in via equitativa, è da valutarsi onnicomprensivo in relazione all’evento morte". A fronte di tanto, i ricorrenti non deducono specifiche argomentazioni atte a ritenere la illogica incongruenza di quella somma liquidata che, come riferisce la sentenza impugnata,afferiva "al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili in conseguenza della commissione del reato sub A)" (omicidio colposo).

Quanto alla lamentata inadeguata liquidazione delle spese, le parti civili ricorrenti avrebbero dovuto indicare per quali ragioni la liquidazione era "contra legem", in particolare avrebbero dovuto indicare sulla base di quale tariffa avrebbe dovuto essere fatta, di quali prestazioni la liquidazione avrebbe dovuto tenere conto ed in base a quali coefficienti. Invece le parti civili ricorrenti si sono limitate a dolersi genericamente dell’inadeguatezza della liquidazione.

Pertanto anche tale motivo di ricorso è infondato.

Il ricorso deve essere quindi rigettato e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali. Le ragioni legate al tema della decisione impongono la compensazione integrale delle spese tra le parti.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di questo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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