Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-10-2011, n. 22326 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I sigg. P.E., B.I., P.G. e P. A.M. cedettero volontariamente, con atto del 29 ottobre 1982, un loro terreno di mq 49.700 al Comune di Villamassargia, che lo aveva occupato in vista dell’esproprio per la realizzazione del piano per l’edilizia economica e popolare. Il prezzo convenuto era di L. 40.284.828, salvo conguaglio ai sensi della L. 29 luglio 1980, n. 385, art. 1.

Con citazione del dicembre 1990 i sigg. P. e B. convennero quindi in giudizio il Comune per ottenere il conguaglio e l’indennità di occupazione. Il Comune resistette.

La causa, dopo alterne vicende, è approdata alla decisione finale della Corte d’appello di Cagliari, la quale, sulla scorta di consulenza tecnica d’ufficio, ritenuta la natura edificatoria del terreno ed applicato il criterio del valore venale (essendo sopraggiunta nelle more la declaratoria d’incostituzionalità del criterio della semisomma di cui al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, conv., con modif., in L. 8 agosto 1992, n. 359, pronunciata da Corte cost. 348/2007), ha liquidato in Euro 242.034,00 il conguaglio del corrispettivo della cessione, al netto dell’acconto già versato, e in complessivi Euro 23.571,81 l’indennità di occupazione legittima.

Il Comune di Villamassargia ha quindi proposto ricorso per cassazione per due motivi. Gli intimati B.I., P.G. e P.A.M. – gli ultimi due anche quali eredi di P. E., deceduto nelle more – hanno resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si sostiene che gli attori non avevano diritto ad alcun conguaglio. Il terreno ceduto, infatti, era pacificamente qualificato come inedificabile nell’atto di cessione e non era sopraggiunta, per i suoli non edificabili, una nuova disciplina della determinazione dell’indennità di esproprio più favorevole, per i proprietari, di quella basata sul valore agricolo medio tabellare applicata nella specie per la determinazione del prezzo della cessione.

1.1. – Il motivo è infondato, perchè l’affermazione del carattere non edificatorio del suolo contenuta nell’atto di cessione non ha rilievo, dovendo in ogni caso il corrispettivo della cessione stessa essere determinato in base all’effettiva natura del suolo ceduto.

La cessione volontaria del bene assoggettato ad espropriazione per pubblica utilità, infatti, integra un contratto pubblicistico, in cui il prezzo si correla in modo vincolato ai parametri legali di determinazione dell’indennità espropriativa, secondo la normativa vigente al momento della procedura ablativa, e per essi, dunque, alla natura del suolo espropriando; con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui la cessione, stipulata nel vigore della L. n. 385 del 1980, contenga la clausola di previsione del conguaglio del prezzo e l’area ceduta sia legalmente edificabile in base alle previsioni degli strumenti urbanistici, non può attribuirsi rilievo, ai fini dell’integrazione del prezzo, alla contraria qualificazione data dalle parti nell’atto di cessione (in termini Cass. 13250/1999; nello stesso senso Cass. 1886/1996; sul carattere vincolato della determinazione del corrispettivo della cessione, che va necessariamente effettuata secondo i criteri previsti dalla legge per la liquidazione dell’indennità di esproprio, cfr., fra le molte, Cass. 4658/1997 e, più di recente, Cass. 11843/2007, in motivaz., e 8217/2007).

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si censura la determinazione dell’indennità di esproprio (e, per conseguenza, dell’indennità di occupazione su di essa basata) criticando la consulenza tecnica di ufficio, cui si è richiamata la Corte d’appello, per l’errata determinazione del valore venale del suolo facendo riferimento a indici di edificabilità non corrispondenti a quelli previsti dallo strumento urbanistico e a costi di urbanizzazione incongrui, nonchè procedendo alla comparazione con i prezzi di vendita di suoli già urbanizzati .

Al motivo sono riferiti i seguenti "quesiti di diritto", formulati dal ricorrente ai sensi dell’art. 366 ibis c.p.c.:

"d) se vi sia falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 e/o della L. n. 2359 del 865, art. 42 qualora il valore di mercato di aree edificabili per le quali vigano diversi parametri urbanisitici, essendo comprese in zone omogenee diverse (C1, C3) venga valutato in modo indistinto;

e) se si configuri il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione quando nel ragionamento del Giudice di merito sia riscontrabile un insanabile contrasto fra le argomentazioni addotte al punto che non è consentita l’identificazione del procedimento logico giuridico posto alla base della decisione (nei motivi di censura sono stati indicati singolarmente i fatti, le circostanze e le ragioni del tutto trascurate o insufficientemente ed illogicamente valutate dal Giudice di merito, e quindi enunciati gli elementi che consentono a codesta Suprema Corte di accertare il carattere decisivo dei punti controversi, nonchè la sufficienza, la contraddittorietà, o meno della motivazione rispetto ad essi);

f) se e come quanto sopra valga anche con riferimento alla motivazione fatta per relationem rispetto alla CTU in atti;

g) se il valore di mercato possa essere stabilito trascurando ogni indagine sul concreto indice di fabbricabilità del piano di zona, e se il Giudice possa attenersi ad una CTU che abbia considerato 1’incidenza delle cessioni in misura diversa da quella prevista dallo strumento urbanistico e risultante dagli atti di causa". 2.1. – Il motivo è inammissibile, attesa la manifesta genericità di siffatti quesiti di diritto e la mancata redazione, altresì, dell’indispensabile (in proposito cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 20603/2007) momento di sintesi finale delle censure, in larga parte consistenti nella denuncia di vizi dì motivazione.

3. – Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese processuali gravano sul soccombente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 7.200,00, di cui 7.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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