Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-04-2011) 16-06-2011, n. 24157 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

G: inammissibilità.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.R. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale il gip del tribunale di Brescia ha applicato nei suoi confronti la pena concordata ex art. 444 c.p.p. per il reato di cui all’art. 81 cpv c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 contestato perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, deteneva illegalmente a scopo di spaccio sostanza stupefacente di tipo cocaina, di cui sequestrati gr. 1,13 suddivisi in due involucri, uno dei quali era stato nel contesto dell’arresto ceduto a persona non identificata in quanto datasi alla fuga, venendo peraltro trovato in possesso di Euro 560,00 frutto dell’attività di spaccio.

In (OMISSIS) il 22 settembre 2009.

Deduce in questa sede il ricorrente la mancata dell’esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata;

l’assenza di motivazione ex art. 129 c.p.p.; nonchè la violazione di legge in relazione alla confisca della somma di denaro sottoposta a sequestro.

Al riguardo si sottolinea che nella specie non ricorre un’ipotesi di confisca obbligatoria ai sensi del capoverso dell’art. 240 c.p. e che difetta qualsiasi motivazione sulle ragioni di essa.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

In ordine al primo motivo va anzitutto premesso che, quanto all’assenza dei presupposti dell’art. 129 c.p.p., correttamente il giudice richiama gli atti contenuti nel fascicolo del PM e che la fattispecie viene esaminata sia per la verifica dell’ipotesi di reato contestata sia per quanto attiene all’aspetto sanzionatorio.

Ciò posto si deve anche aggiungere che, come più volte sottolineato da questa Corte, la richiesta di applicazione di pena patteggiata costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che, pervenuto a conoscenza dell’altra parte, non può essere modificato unilateralmente nè revocato, e, una volta che il giudice abbia ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti prospettare questioni e sollevare censure con riferimento alla sussistenza e alla giuridica qualificazione del fatto, alla sua soggettiva attribuzione, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e modalità di applicazione della pena. In tale ambito, l’obbligo di motivazione deve ritenersi assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto fra le parti (Sez. 6^, n. 3429 del 3/11/1998 Rv. 212679).

E’ pertanto manifestamente infondato, quindi inammissibile, il ricorso con il quale la parte pretende, come nella specie, di riaprire l’esame su elementi, la cui valutazione è preclusa dalla sua stessa richiesta di pena dietro accordo.

Quanto al secondo motivo occorre premettere che nel dispositivo della sentenza si fa riferimento alla confisca e distruzione dello stupefacente sequestro nonchè del grimaldello; mentre viene disposta la restituzione dei residui beni inclusa l’autovettura all’imputato.

E’ chiaro, dunque, il dispositivo nell’escludere la confisca del denaro.

Vero è che nella motivazione si afferma "..va infine disposta la confisca e distruzione dello stupefacente sequestro nonchè la confisca della somma in sequestro".

Ma, a prescindere dalla ovvia prevalenza del dispositivo, si appalesa evidente che l’espressione riportata in motivazione è frutto di mero refuso posto che la confisca del denaro non risulta in alcun modo giustificata.

E tale omissione è certamente probante ove si consideri che, come rilevato dal ricorrente, non ricorre alcuna delle ipotesi di cui all’art. 240 capoverso e, inoltre, nemmeno può trovare applicazione nella specie del D.L. n. 206 del 1992, l’art. 12 sexies, comma 5 – secondo cui nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’art. 444 c.p.p., per taluno dei delitti previsti dall’art. 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica – in quanto contestualmente in sentenza è stata ritenuta, su concorde richiesta delle parti, l’attenuante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

In conclusione la somma di denaro non deve ritenersi, quindi, confiscata.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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