Cass. pen., sez. II 25-06-2008 (12-06-2008), n. 25773 Spendita e introduzione nello Stato di monete false – Riciclaggio – Rapporto di specialità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO
Con ordinanza del 18.12.2007 il GIP del Tribunale di Pavia rigettava la richiesta del Pubblico Ministero di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di F.A., indagato per i reati di associazione per delinquere, messa in circolazione di banconote contraffatte (e segnatamente dollari statunitensi versati su un conto corrente specificamente aperto presso la Banca Antonveneta di Pavia), riciclaggio (consistente nella sostituzione dell’importo delle banconote contraffatte versate sul detto conto corrente, con l’equivalente in euro), nonchè formazione di documenti di identificazione falsi.
Avverso tale ordinanza proponeva appello al Tribunale del riesame il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Pavia, contestando le motivazioni poste dal GIP a fondamento del provvedimento suddetto.
Con ordinanza in data 16.1.2008 il Tribunale del riesame di Milano, in parziale accoglimento del proposto gravame, applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del F. in relazione ai reati di cui agli artt. 455, 648 bis e 497 bis c.p., rigettando la detta richiesta in relazione al reato di cui all’art. 416 c.p..
Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione il predetto F.A. lamentando la violazione di legge sotto diversi profili.
Col primo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed c), in relazione agli artt. 15, 648 bis e 455 c.p.. In particolare rileva il ricorrente che erroneamente il Tribunale del riesame aveva ritenuto che il reato di spendita di banconote false potesse concorrere con il reato di riciclaggio, argomentando dalla diversità del bene giuridico tutelato, dovendo per contro nel caso di specie trovare applicazione il principio di specialità posto dall’art. 15 c.p.. Ed invero l’avere messo in circolazione banconote false, accreditandole su un conto corrente bancario al fine di ottenere danaro contante, stante che la condotta suddetta, proprio perchè finalizzata alla messa in circolazione di danaro falso, rappresenta elemento costitutivo del reato di cui all’art. 455 c.p., non può integrare l’ulteriore fattispecie delittuosa di cui all’art. 648 bis c.p., non potendo considerarsi una attività ultronea rispetto al reato di spendita di monete false. Inoltre il Tribunale del riesame non aveva valutato l’esistenza della clausola di riserva contemplata nell’art. 648 bis c.p., la quale comporta che soggetto attivo del reato in questione non potrà mai essere considerato colui che ha partecipato o ha concorso a qualsiasi titolo al reato dal quale proviene il danaro di cui alla condotta contestata.
Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 comma 1, lett. e), in relazione all’art. 292 c.p.p., art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b) e e), art. 275 c.p.p.. In particolare rileva il ricorrente che il Tribunale del riesame aveva ritenuto il pericolo di reiterazione di condotte analoghe ed il pericolo di fuga sulla base di presupposti erronei, atteso che la messa in circolazione delle suddette 38 banconote false con le modalità sopra descritte non poteva essere indice di una propensione, ovvero di una professionalità, nella commissione di tale tipologia di reati; nè l’esistenza di un solo precedente penale, per di più risalente nel tempo, appariva idonea a far ritenere l’esistenza delle suddette esigenze di prevenzione sociale.
E parimenti il pericolo di fuga era insussistente, basandosi l’assunto del Tribunale del riesame sul presupposto erroneo che esso ricorrente non esplicasse alcuna attività lavorativa e fosse privo di fissa dimora. Rileva altresì che non risultava comprensibile l’ulteriore assunto argomentativo secondo cui ogni altra misura, diversa dalla custodia in carcere, sarebbe inidonea allo scopo.
Chiede quindi l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Con motivi nuovi ex art. 311 c.p.p., comma 4, la difesa, a sostegno e sviluppo del primo motivo dell’atto di gravame principale, rileva violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 15, 455 e 648 bis c.p., non configurabilità del delitto contestato al capo 4 dell’ordinanza impugnata costituendo le banconote contraffatte prodotto e non provento del delitto di cui all’art. 453 c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto. In particolare rileva la difesa che al F. era stato contestato di avere sostituito le banconote contraffatte, versandole su conto corrente, con l’equivalente in euro. Oggetto quindi della "sostituzione" contestata non erano, siccome previsto dall’art. 648 bis c.p., "denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo", ma alcune banconote false che costituivano il prodotto, e non il provento, del reato di contraffazione previsto dall’art. 453 c.p.; e la nozione di "provento del reato", che ricomprendeva tutte quelle cose (denaro, beni o altre utilità) che derivavano dal reato in quanto ne costituivano il profitto o il prezzo, non poteva essere confusa con quella di "prodotto del reato", che ricomprendeva tutto ciò che era il risultato di manipolazioni o lavorazioni di cose materiali e consisteva, dunque, in creazioni e produzioni illecite. Comunque, al di là del dato letterale, la fattispecie di cui all’art. 648 bis c.p., faceva esclusivo riferimento ai beni che costituiscono provento di reato, non ricomprendendo i beni qualificabili "prodotto del reato", proprio perchè in tali ultimi casi, la circolazione di tali beni era già sanzionata dalle norme penali che ne inibivano la creazione, di talchè l’estensione della fattispecie prevista dall’art. 648 bis c.p., anche a tali casi comporterebbe una indebita duplicazione della sanzione penale.
Con i predetti motivi nuovi la difesa, a sostegno e sviluppo del secondo motivo dell’atto di gravame principale, lamenta altresì violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b) c), art. 275 c.p.p., non configurabilità delle relative esigenze cautelari, violazione dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza quali criteri di scelta delle misure, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione su tali punti, anche con riferimento ad atti processuali specificamente indicati. In particolare rileva la difesa che erroneamente il Tribunale del riesame aveva ritenuto il pericolo di fuga argomentando dal fatto che il ricorrente non esercirebbe alcuna attività lavorativa e sarebbe privo di una fissa dimora, emergendo per contro che il F. risultava tra i soci fondatori della società "All Trade s.r.l.", ed aveva la propria residenza anagrafica nella medesima abitazione della propria madre sita in (OMISSIS). Inoltre erroneamente il Tribunale del riesame aveva ritenuto l’esigenza cautelare di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), omettendo contraddittoriamente di considerare che nei confronti del F. lo stesso Tribunale aveva ritenuto la non configurabilità del reato associativo e che il predetto era stato assolto dai reati contestatigli nei due procedimenti penali cui aveva fatto riferimento il suddetto Tribunale del riesame, valorizzando per contro elementi, quali i "precedenti di polizia", assolutamente inidonei a giustificare l’adozione del provvedimento restrittivo. E rileva altresì che i giudici del riesame non avevano applicato i criteri di sussidiarietà ed adeguatezza nella scelta della sanzione affermando in maniera apodittica, e con mere formule di stile, la inidoneità di qualsiasi misura diversa dalla custodia in carcere a garantire le ritenute esigenze cautelari.
Insiste pertanto nella richiesta di annullamento dell’impugnato provvedimento.
DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
Ed invero, per quel che riguarda il primo motivo di gravame, rileva il Collegio che l’assunto del ricorrente e della difesa circa l’esistenza di un rapporto di specialità fra la disposizione di cui all’art. 455 c.p., e quella di cui all’art. 648 bis c.p., non appare condivisibile. E ciò non solo in considerazione del fatto che le due norme tutelano beni giuridici diversi, atteso che la disposizione di cui all’art. 455 c.p., ricompresa fra i reati contro la fede pubblica, attiene alla regolare circolazione monetaria e quindi alla autorità ed alla credibilità degli istituti bancari di emissione, mentre la seconda, ricompresa fra i reati contro il patrimonio, è diretta a tutelare il patrimonio, inteso anche quale ordine economico; quanto soprattutto in considerazione del fatto che ben diversi sono gli elementi costitutivi dei reati suddetti, ove si osservi che la previsione delittuosa di cui all’art. 455 c.p. consiste nella detenzione, spendita o messa in circolazione di banconote contraffatte, mentre il reato di cui all’art. 648 bis c.p. implica il compimento di specifiche operazioni – che si riscontrano nel caso di specie – di sostituzione del bene di provenienza delittuosa, atteso che mediante il deposito in banca delle banconote false si realizza automaticamente la sostituzione delle stesse, essendo la banca obbligata a restituire al depositante la stessa quantità di denaro depositato.
Ci troviamo pertanto in presenza di due differenti ipotesi delittuose, volte alla tutela di beni giuridici diversi, ed aventi diversa oggettività giuridica, di talchè deve ritenersi che le stesse concorrano formalmente fra di loro, senza alcun assorbimento dell’una nell’altra. Nè può ritenersi che il riciclaggio costituisca un post factum non punibile in quanto rappresenterebbe la naturale prosecuzione dell’originaria condotta criminosa volta ad ottenere e consolidare il profitto da questa derivante, posto che in realtà ci troviamo in presenza di condotte differenti, atteso che il versamento di tali banconote nel conto corrente appositamente acceso costituisce non una sorta di naturale sviluppo dell’iniziale condotta, bensì una specifica, diversa ed ulteriore condotta, che si aggiunge e si affianca a quella della messa in circolazione di siffatte banconote, volto a far perdere le tracce della origine delittuosa delle banconote in tal modo messe in circolazione, mediante la sostituzione delle stesse con altro danaro "regolare".
In ordine al rilievo concernente la non configurabilità in capo al ricorrente del reato di cui all’art. 648 bis c.p., stante la presenza della clausola di riserva secondo cui il reato di riciclaggio non può essere configurabile in capo al soggetto che ha concorso nel reato presupposto, osserva il Collegio che l’assunto si appalesa inconferente atteso che il reato presupposto è costituito nel caso di specie, analogamente a quel che si verifica in relazione al reato di cui all’art. 455 c.p., dal reato di falsificazione di tali banconote, previsto dall’art. 453 c.p.; ed invero, contrariamente a quanto rilevato da parte ricorrente, il reato presupposto del delitto di riciclaggio di banconote false è dato dalla falsificazione di tali banconote, e non certo dalla introduzione, acquisto o detenzione di tali banconote, atteso che siffatta interpretazione della clausola di riserva contenuta nella disposizione in parola porterebbe alla assurda conseguenza di rendere impossibile il reato di riciclaggio con riferimento alla banconote false, atteso che il soggetto agente avrebbe in ogni caso quanto meno la detenzione di tali banconote e sarebbe quindi senz’altro concorrente in tale reato.
In ordine alla ritenuta non configurabilità del concorso fra il reato di riciclaggio e quello di spendita di banconote false, sotto il profilo che il primo prevederebbe la sostituzione di "denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo", mentre le banconote false costituiscono il prodotto, e non il provento, del reato di contraffazione previsto dall’art. 453 c.p., che la difesa ha sostenuto argomentando anche dalla analoga fattispecie di concorso fra il reato di ricettazione ed il reato di commercio di prodotti con segni falsi in cui la cassazione si era pronunciata apertamente per l’impossibilità del concorso fra le due fattispecie di reato, occorre procedere ad alcune brevi considerazioni. Non ignora invero il Collegio l’esistenza di decisioni di questa Corte (v. Cass. sez. 5^, 3.3.1998 n. 1315, citata da parte ricorrente, cui deve aggiungersi Cass. sez. 5^, 18.11.1999 n. 5525) che hanno ritenuto l’impossibilità di tale concorso; ma parimenti non ignora l’esistenza di decisioni in segno opposto (Cass. 2.10.1987, S., CP 89, 298;
Cass. sez. 2^, 30.3.1988 n. 7505; Cass. sez. 5^, 17.11.1988 n. 2307;
Cass. sez. 2^, 27.6.1991 n. 12366; Cass. sez. 2^, 10.7.1996 n. 3154;
Cass. sez. 5^, 14.1.1997 n. 2098; Cass. sez. 5^, 5.11.1999, n. 14277). E proprio su questo contrasto sono intervenute le Sezioni Unite che, con decisione in data 9.5.2001 n. 23427, hanno affermato il principio della possibilità di concorso di tali fattispecie, facendo giustizia dell’assunto secondo cui la formulazione letterale dell’art. 648 c.p., (e art. 648 bis c.p.) non consentirebbe siffatta interpretazione. In particolare hanno evidenziato le Sezioni Unite che, "onde individuare l’esatta area di operatività dell’art. 648 c.p., deve stabilirsi la portata dell’espressione "cose provenienti da reato". La stessa si palesa ampia nè sussiste ragione alcuna, sotto il profilo letterale ovvero dal punto di vista logico, per interpretarla siccome limitata a quanto costituisce "il profitto" del reato e non invece quale volta a comprendere in sè anche "il prodotto", puntualizzandosi che "proviene" da reato ciò che col reato è creato. Orbene, è indubbio che l’apposizione di un segno contraffatto su un bene (fattispecie delittuosa ai sensi dell’ari.
473 c.p.) funga da fonte rispetto alla cosa così realizzata nella quale il segno si fonde: ne deriva che acquisizione del tutto, con la consapevolezza della sua contraffazione, integra una condotta rilevante ai sensi della suddetta previsione". Ed argomentando da tali premesse le Sezioni Unite hanno rilevato che la fattispecie di cui all’art. 648 c.p., e quella di cui all’art. 474 c.p. possono concorrere atteso che le fattispecie incriminatici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore.
E sulla traccia indicata dalla suddetta pronuncia questa Corte ha avuto modo a più riprese di ritornare sull’argomento ribadendo il principio dell’assenza di specialità fra le norme di cui all’art. 474 c.p., ed all’art. 648 c.p., principio che va applicato, stante l’analogia tra le fattispecie, riconosciuta dallo stesso ricorrente, in relazione alle norme di cui all’art. 455 c.p., ed all’art. 648 c.p., (v. Cass. sez. 2^, 15.11.2005 n. 518: "il concorso infine tra i delitti previsti dagli artt. 648 e 474 c.p., per inapplicabilità del principio di cui all’art. 15 c.p., è stato riaffermato dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. 09.05.2001, riv. 218770) considerati i diversi interessi giuridici protetti dalle due norme, la diversità delle condotte, i differenti tempi e luoghi di commissione dei due reati, secondo interpretazione cui si ritiene di aderire"); e rilevando altresì l’inconferenza dell’assunto circa la non configurabilità del concorso fra i reati suddetti sotto il profilo che il reato di ricettazione (come quello di riciclaggio) prevederebbe la sostituzione di "denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo" mentre nel caso di specie le banconote false costituivano il prodotto e non il provento del reato (v. Cass. sez. 2^, 31.1.2001 n. 20238: "assurda è poi la tesi secondo la quale non sarebbe configurabile il delitto previsto dall’art. 648 c.p., in quanto avente ad oggetto cose che sono il prodotto del reato presupposto e non il provento, posto che si richiede solo la provenienza da delitto, quale che essa sia, senza alcuna distinzione in ordine alla natura al tipo e ai modi di tale provenienza"; e v. altresì Cass. sez. 2^, 26.10.2006 n. 3541: "non è poi sostenibile la tesi elaborata dalla Corte territoriale, secondo cui, essendo il marchio falso il "prodotto" della manipolazione contraffattrice, non possa essergli riconosciuta la natura di "provento" del reato, con la conseguenza che la sua ricezione rimanga estranea alla previsione dell’art. 648 c.p.. Va, infatti, ritenuto che nell’espressione "cose provenienti da delitto" il legislatore abbia voluto indicare genericamente l’origine illecita delle stesse (cioè il procacciamento mediante delitto ovvero la loro fabbricazione mediante azione vietata), posto che era sicuro intento del legislatore impedire, tramite la minaccia della sanzione penale, la circolazione di simili "cose" al fine di trame profitto").
A tali principi ritiene il Collegio di dover aderire e pertanto, alla stregua di quanto sopra, il ricorso sul punto non può trovare accoglimento.
Ed alla stessa conclusione ritiene il Collegio di dover pervenire con riferimento all’ulteriore motivo di gravame, concernente la asserita insussistenza delle dedotte esigenze cautelari.
Ed invero, per quel che riguarda la ritenuta carenza di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi legittimanti l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, rileva innanzi tutto il Collegio che per costante orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, il controllo di legittimità demandato a questa Corte è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento; dovendosi in proposito ulteriormente rilevare che, data l’alternatività fra le varie esigenze cautelari indicate dall’art. 274 c.p.p., è sufficiente la presenza di una sola di esse per giustificare l’emissione della misura cautelare personale.
Così individuato l’oggetto della presente indagine, rileva il Collegio che il provvedimento in parola si sottrae ai rilievi mossi con il ricorso proposto, ove si osservi che i giudici di merito hanno correttamente posto in evidenza quegli elementi concreti, attinenti alla fattispecie in esame, che giustificavano l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere. In particolare i giudici del riesame hanno fatto riferimento alle modalità di realizzazione dei fatti contestati al F., all’evidente esistenza di contatti con ambienti malavitosi in grado di procurare le banconote false, alla reiterazione degli episodi contestati che consente di escludere il carattere occasionale delle condotte illecite in parola. E pertanto non può fondatamente dubitarsi che i giudici del riesame abbiano correttamente valutato la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), dando pienamente contezza del disvalore della personalità dell’indagato e della prognosi di pericolosità sociale, ed ancorando tale valutazione ad elementi concreti ed obiettivi, ricavati non solo dal vissuto giudiziario del ricorrente ma soprattutto dalle modalità della vicenda giudiziaria in oggetto.
Nè la mancata adozione della misura custodiale in relazione al reato associativo può assumere alcuna refluenza in ordine al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, ove si osservi che l’insussistenza di elementi atti a far ritenere l’esistenza di una societas sceleris (struttura organizzativa, permanenza del vincolo associativo, programma criminoso, permanente consapevolezza di far parte del sodalizio, permanente disponibilità ad attuarne il programma), non consente di escludere il suddetto pericolo di reiterazione criminosa, fondato sulla esistenza di contatti con ambienti malavitosi, sulla particolare attitudine ad operare in un determinato settore delinquenziale, e su gli ulteriori elementi sopra evidenziati, ivi compresi i precedenti giudiziari dell’interessato che si appalesano idonei a fondare un giudizio di pericolosità sociale non solo in relazione alla applicazione di una misura di prevenzione, ma anche in relazione alla applicazione di una misura costodiale, in presenza degli elementi indicati negli artt. 273 e 274 c.p.p., e che nella fattispecie in esame risultano – alla stregua delle argomentazioni sopra svolte – senz’altro riscontrati.
E ciò sarebbe sufficiente, in considerazione del predetto principio dell’alternatività fra le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., a ritenere corretta la motivazione del Tribunale del riesame in ordine alla applicazione della misura suddetta; ma nel caso di specie va altresì evidenziato che anche i rilievi di parte ricorrente circa l’insussistenza del pericolo di fuga non appaiono fondati, ove si osservi che l’essere il F. socio fondatore della società "All Trade s.r.l." non costituisce prova dello svolgimento da parte dello stesso di attività lavorativa, mentre l’avere il predetto la propria residenza anagrafica presso l’abitazione della madre non costituisce prova della effettiva e stabile dimora in tale luogo.
In ordine all’ulteriore rilievo concernente la asserita violazione dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza nella scelta della misura cautelare, osserva il Collegio che i giudici del riesame hanno altresì rilevato, con motivazione assolutamente logica e coerente, la non idoneità del regime degli arresti domiciliari a fronteggiare le ravvisate esigenze cautelari, non già in considerazione della difficoltà del controllo, bensì dei sostanziali margini di libertà connaturati a tale forma di detenzione – che prescindono pertanto dalla effettuazione dei controlli in quanto ineriscono naturalmente a tale forma di detenzione attenuata – che non consentivano di garantire la cessazione della predetta attività illecita e la recisione dei contatti con altri ambienti malavitosi.
E pertanto neanche sotto questo profilo il ricorso proposto può trovare accoglimento.
Il ricorso va di conseguenza rigettato, e tale pronuncia comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Va disposta la esecuzione, da parte della Cancelleria, degli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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