Cass. pen., sez. II 25-06-2008 (11-06-2008), n. 25754 Impegno professionale diverso – Concomitanza – Onere di dimostrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 23.10.2002 il Tribunale di Como condannava S. A., ritenuto il vincolo della continuazione fra i reati allo stesso ascritti, alla pena di anni due mesi tre di reclusione ed Euro 700,00 di multa, avendolo ritenuto responsabile dei reati di ricettazione di un modulo di carta di identità provento di furto e della formazione del falso documento facendolo risultare siccome rilasciato dal Comune competente.
Con sentenza del 22.10.2003 la Corte di Appello di Milano confermava la decisione impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato S.A. propone, per mezzo del difensore, ricorso per cassazione lamentando la violazione di legge sotto diversi profili.
Col primo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 179 c.p.p., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). In particolare rileva la difesa che la Corte territoriale, a fronte del motivo di appello concernente il rigetto da parte del primo giudice delle istanze di rinvio per legittimo impedimento del difensore, aveva disatteso le censure difensive proposte sul punto argomentando esclusivamente dalla inidoneità delle certificazioni addotte dalla difesa a provare il legittimo impedimento.
Il rilievo non è fondato.
Reputa il Collegio di non doversi discostare dall’orientamento ormai costante di questa Corte secondo cui, perchè possa ritenersi sussistente l’impossibilità assoluta del difensore a comparire per legittimo impedimento, impossibilità che costituisce condizione per il rinvio dell’udienza ai sensi dell’art. 420 ter c.p.p., comma 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, è necessario che sussistano i seguenti requisiti: 1) documentazione dell’impedimento; 2) assenza di un condifensore; 3) impossibilità per il difensore di avvalersi di un sostituto (art. 102 cod. proc. pen.), sia nel procedimento al quale il difensore intende partecipare, sia in quello del quale si chiede il rinvio per assoluta impossibilità a comparire (v. tra molte Cass. sez. 6^, 18.11.2003 n. n. 48530).
Ha in particolare rilevato questa Corte (Cass. sez. 3^, 28.11.2000 n. 308, che "la norma del l’art. 486 c.p.p., comma 5, secondo la quale non vi è l’impossibilità assoluta di comparire per legittimo impedimento, che è condizione del rinvio dell’udienza, quando il difensore ha designato un proprio sostituto, dev’essere intesa nel senso che non spetti al difensore la facoltà discrezionale di nominarlo, bensì che questi abbia il preciso dovere di indicare le ragioni per cui gli è impossibile farlo, perchè in caso contrario l’impossibilità assoluta richiesta dalla legge non può ritenersi sussistente (Cass., Sez. 2^, 24 aprile 1992 n. 4708, ric. F e altri)".
E pertanto, in tema di impedimento del difensore a comparire all’udienza per concomitanza di altro impegno professionale, costituisce preciso onere a carico del difensore che intenda far valere l’impedimento, di motivare in ordine alla mancata nomina di un proprio sostituto ed alle ragioni hanno reso impossibile tale nomina.
Nella specie, non avendo il difensore documentato la propria impossibilità di designare un proprio sostituto nelle cause in cui era impegnato, non vi è la prova dell’assoluta impossibilità di comparire, richiesta della legge, per cui la Corte territoriale ha legittimamente rigettato l’istanza di rinvio.
E la Corte territoriale ha altresì correttamente rilevato la mancata indicazione delle date di ricevimento dei rispettivi avvisi, dovendosi in proposito evidenziare – a conferma della rilevanza di tale indicazione – che sul punto questa Corte (Cass. sez. 5^, 10.11.2005 n. 174) ha precisato che è "orientamento ampiamente condiviso che la disposizione recata – ora – dell’art. 420 ter c.p.p., comma 5, e – in precedenza – dall’art. 486 c.p.p., comma 5, non può ritenersi operante nel caso di istanza di rinvio per impedimento professionale già noto all’atto della nomina finalizzata all’espletamento dell’incarico in relazione al quale il rinvio viene chiesto. Ciò non tanto per l’intempestività della comunicazione dell’impedimento … quanto perchè la formulazione della norma – anche per l’esplicita previsione della necessità di tempestiva comunicazione – intende chiaramente dare rilevanza ed apprestare tutela solo agli impedimenti che sopravvengono all’atto di nomina ed all’accettazione del mandato difensivo. Sicchè nel caso di impegni professionali preesistenti al conferimento dell’incarico difetta il requisito della "legittimità" dell’impedimento, per l’intrinseca impossibilità di considerare legittimo e validamente opponibile all’autorità giudiziaria un impedimento esistente e conosciuto al momento dell’accettazione della nomina, che risultava sin dall’origine incompatibile con l’espletamento del nuovo mandato (Sez. 1^, Sentenza n. 729 del 27.11.1997, M.; Sez. 6^, Sentenza n. 7683 del 17.04.2000, R.)".
E pertanto anche sotto questo profilo il proposto ricorso non può sul punto trovare accoglimento.
Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’ipotesi attenuata di cui al capoverso dell’art. 648 c.p., nonchè carenza assoluta di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).
In particolare rileva la difesa che la Corte territoriale, con una stringata motivazione fondata sulla valutazione negativa della personalità dell’imputato ed assertiva della gravita del reato pur in assenza di alcuna valutazione in ordine alle circostanze fattuali dell’episodio criminoso in questione, aveva rigettato le prospettazioni difensive concernenti la mancata applicazione dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 cpv. c.p..
Il motivo è manifestamente infondato.
Ritiene in proposito il Collegio di dover evidenziare che per la configurabilità dell’ipotesi attenuata di cui al capoverso dell’art. 648 c.p. occorre che il fatto, valutato nel suo insieme, e quindi anche con riferimento alle modalità dell’azione, ai motivi della stessa, alla personalità dell’imputato, presenti quelle connotazioni di marginalità, occasionalità e modestia che consentano di qualificare il reato come ipotesi di particolare tenuità evidenziando una rilevanza criminosa assolutamente modesta; siffatte connotazioni non sono invero riscontrabili nella fattispecie in esame in considerazione non solo della personalità negativa dell’imputato ma anche – per come in buona sostanza evidenziato dalla Corte territoriale – di tutti gli elementi integrativi del fatto – reato, consistente nel ricevimento da parte di un soggetto più volte condannato per rapina e porto d’armi di un modulo in bianco da utilizzare per la formazione di un falso documento di identità, elementi che consentivano pertanto di escludere l’occasionalità di tale condotta delittuosa ed il carattere assolutamente modesto o addirittura marginale della stessa, che invece appare indicativa di una persistente ed allarmante capacità a delinquere dell’agente.
Pertanto anche sotto questo profilo il ricorso proposto denota la sua manifesta infondatezza.
Col terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 133 e 62 bis c.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). In particolare rileva la difesa che la Corte territoriale aveva ritenuto di negare le circostanze attenuanti generiche sulla base dei precedenti penali dell’imputato e di un giudizio del tutto negativo sulla personalità dello stesso, non connotato peraltro da specifiche contestazioni.
Il motivo è manifestamente infondato.
Ed invero, secondo l’orientamento più volte espresso da questa Corte, la concessione delle attenuanti generiche non costituisce una sorta di diritto per l’imputato con la conseguenza che il giudice, qualora ritenga di doverla escludere, sarebbe tenuto a giustificarne sotto ogni possibile profilo l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; ed il giudice, in tal caso, deve indicare le plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
Orbene, nel caso di specie, non risultando evidenziato alcun elemento atto a far ritenere la meritevolezza in capo all’imputato delle suddette attenuanti generiche, la Corte territoriale ha correttamente denegato la concessione delle stesse argomentando dai precedenti penali dell’imputato e dal giudizio del tutto negativo sulla personalità dello stesso.
Infine, in ordine alla ritenuta violazione dell’art. 133 c.p., la censura si appalesa assolutamente generica, e come tale inammissibile, non avendo il ricorrente sviluppato alcun argomento a sostegno della dedotta violazione.
Il ricorso deve di conseguenza essere rigettato, e tale declaratoria comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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