Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-02-2011) 16-06-2011, n. 24142

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza deliberata il 27 aprile 2010 e depositata il successivo 3 maggio, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha respinto l’appello proposto da V.A.P. avverso l’ordinanza emessa il 21 gennaio 2010 dal Magistrato di sorveglianza della stessa sede, con la quale il V. era stato dichiarato delinquente abituale, ai sensi dell’art. 103 cod. pen., con applicazione della misura di sicurezza della colonia agricola o casa di lavoro per anni due.

A ragione i giudici di merito hanno addotto che il V., già condannato alla reclusione per due delitti non colposi, commessi entro dieci anni, il primo costituito da un unico reato continuato di associazione per delinquere aggravata e furto in abitazione (26 episodi in continuazione) e il secondo per concorso in reato continuato di tentata rapina, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali aggravate, tentato furto in abitazione e falso, entrambi confluiti nel provvedimento di cumulo emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di La Spezia in data 5 settembre 2009, determinante la pena complessiva di anni 4, mesi 1 e giorni 20 di reclusione per fatti commessi dal febbraio all’ottobre 2004 e il 18 luglio 2008, era stato nuovamente condannato in data 23 gennaio 2009 alla pena di mesi 2 di reclusione per violazione di domicilio, commessa il (OMISSIS).

Il Tribunale ha respinto la tesi difensiva secondo cui, essendo tutte le condanne – e, segnatamente, la terza in ordine temporale applicativa di pena non superiore a due anni – emesse ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, da esse non poteva conseguire, per effetto della dichiarazione di abitualità nel delitto, l’applicazione di misura di sicurezza o altri effetti sfavorevoli al condannato, espressamente esclusi dall’art. 445, comma 1, cod. proc. pen., con l’unica eccezione della confisca nei casi previsti dall’art. 240 cod. pen..

Secondo il decidente, l’equiparazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta ad una pronuncia di condanna, sancita dall’art. 445 c.p.p., comma 1-bis, rende possibile far rientrare nel computo della reclusione, sia ai fini dell’abitualità presunta dalla legge ( art. 102 c.p.), sia ai fini dell’abitualità ritenuta dal giudice ( art. 103 c.p.), la pena applicata sulla base di sentenza di patteggiamento, come da richiamata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, n. 40813 del 18/11/2005, dep. il 9/11/2005, Olivero, Rv.

232695; Sez. 1, n. 17296 del 17/04/2008, dep. il 24/04/2008, Bigonzi, Rv. 239631), poichè l’incentivo premiale alla scelta del rito speciale non incide sugli effetti penali della condanna che permangono ove non espressamente esclusi dall’art. 445 c.p.p., comma 1. 2. Avverso la predetta ordinanza il V. ricorre per cassazione, tramite il difensore, avvocato Mario Almondo del foro di Torino, denunciando con unico motivo la violazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 103 c.p., artt. 199 e segg. c.p. e art. 445 c.p.p., comma 1.

Con diffusi argomenti il ricorrente sostiene che, quando le sentenze su cui si fonda l’abitualità criminale ritenuta dal giudice e, in particolare, l’ultima in ordine temporale siano state emesse ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, esse non possono determinare l’applicazione della misura di sicurezza detentiva conseguente alla pronuncia di abitualità nel reato ai sensi dell’art. 103 cod. pen., poichè l’art. 445 c.p.p., comma 1, espressamente esclude, nel caso di patteggiamento su pena detentiva non superiore a due anni, la condanna dell’imputato alle spese processuali e l’applicazione nei suoi confronti di pene accessorie e di misure di sicurezza, ad esclusione della confisca prevista dall’art. 240 c.p..

3. Il Procuratore generale, con memoria dell’11 novembre 2010, ha concluso per il rigetto del ricorso, richiamando diffusamente la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, ai fini della dichiarazione di abitualità nel reato ai sensi dell’art. 103 cod. pen., legittimamente il giudice tiene conto anche di una sentenza di patteggiamento, posto che l’art. 445 c.p.p., comma 1-bis, espressamente equipara, salve diverse disposizioni di legge, la sentenza prevista dall’art. 444 c.p.p., comma 2, ad una pronuncia di condanna.
Motivi della decisione

4. Il ricorso pone una questione in diritto che va sinteticamente formulata come segue: se, agli effetti di cui al l’art. 103 cod. pen., la terza condanna per delitto non colposo che dovrebbe costituire titolo per la dichiarazione di abitualità nel delitto e per l’applicazione di misura di sicurezza, ad opera del Magistrato di sorveglianza, possa consistere in una sentenza di applicazione di pena non superiore a due anni ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, e art. 445 c.p.p., comma 1.

Ritiene la Corte che la risposta debba essere negativa.

I due precedenti citati nell’ordinanza impugnata a sostegno della ritenuta applicabilità della misura di sicurezza, sul fondamento della dichiarazione di abitualità nel delitto, non sono pertinenti poichè, in entrambi i casi, l’ultima sentenza di condanna per delitto non colposo, riportata da chi era stato già condannato più volte, non risultava emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, e art. 445 c.p.p., comma 1. In particolare: la sentenza n. 40813 del 2005, Olivero, riguarda un caso di abitualità nel delitto presunta dalla legge ai sensi dell’art. 102 cod. pen., in cui l’ultima sentenza di condanna per delitto non colposo della stessa indole dei precedenti delitti era stata emessa all’esito di giudizio ordinario di primo e secondo grado, svoltosi rispettivamente davanti al Tribunale di Torino e alla Corte di appello della stessa città; la sentenza n. 17296 del 2008, Bigonzi, riguarda un caso di abitualità nel delitto pronunciata dal giudice ai sensi dell’art. 103 cod. pen., in cui una delle condanne precedenti (ma non l’ultima) era stata inflitta nelle forme del patteggiamento, come si evince dal fatto che il motivo di ricorso relativo all’irrilevanza di quella condanna ai fini della valutazione di pericolosità, perchè non contenente accertamento di responsabilità, è stato ritenuto infondato e, comunque, irrilevante siccome attinente a condanna precedente quella che aveva determinato la dichiarazione di abitualità, con espresso richiamo come argomento di conferma a contrario di un precedente in cui la dichiarazione di abitualità era stata esclusa sulla base dell’ultima sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, (Sez. 5, n. 27994 del 20/05/2004, dep. il 22/06/2004, Plesescu, Rv. 228685).

Nel caso all’esame di questa Corte, il V. è stato dichiarato delinquente abituale dal Magistrato di sorveglianza sul presupposto di una terza sentenza di applicazione della pena, ex art. 444 c.p.p., comma 2, per delitto non colposo, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi sempre nelle forme del patteggiamento.

Il precedente giurisprudenziale pertinente al caso in esame è, quindi, costituito non dalle sentenze indicate dal Tribunale nell’ordinanza impugnata, bensì dalla sentenza n. 27994 del 2004, Plesescu, già sopra richiamata, dove il tema della compatibilità della dichiarazione di abitualità nel delitto e della conseguente applicazione della misura di sicurezza detentiva con la sentenza emessa a norma dell’art. 444 c.p.p., comma 2, e art. 445 c.p.p., comma 1, è affrontato alla radice, sia con riguardo all’abitualità presunta dalla legge ( art. 102 c.p.), sia con riguardo all’abitualità ritenuta dal giudice ( art. 103 c.p.), perspicuamente osservandosi che, in entrambi i casi, le corrispondenti pronunce postulano valutazioni discrezionali del giudice incompatibili con la sentenza di cui all’art. 444 c.p.p., vuoi in tema di apprezzamento della stessa indole dei quattro delitti dolosi non contestuali, commessi entro il doppio decennio, come previsto dall’art. 102 cod. pen. (conforme: Sez. 5, n. 19623 del 01/04/2008, dep. 16/05/2008 Levacovig, Rv. 240079); vuoi in tema di dedizione al crimine del condannato tre volte per delitti non colposi nel caso previsto dall’art. 103 c.p. (conforme: Sez. 5, n. 2082 del 20/01/1994, dep. 19/02/1994, Guaglianone, Rv. 197275, la quale opportunamente precisa che una pronuncia ulteriore rispetto al contenuto dell’accordo delle parti può essere emessa solo se costituisce un effetto automatico dell’applicazione della pena, come la revoca della precedente sospensione condizionale, in linea con quanto successivamente stabilito da questa Corte, Sez. U, nella sentenza n. 31 del 22/11/2000, dep. 03/05/2001, Sormani, Rv. 218526).

In sintesi, deve affermarsi che la dichiarazione di abitualità e la conseguente applicazione della misura di sicurezza detentiva non consentita al giudice della cognizione in sede di applicazione della pena su accordo delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p., comma 2, e art. 445 c.p.p., comma 1, in relazione all’art. 103 cod. pen., non possono essere disposte dal magistrato di sorveglianza sulla base di sentenza applicativa di pena concordata non superiore a due anni, con la conseguenza che, nella fattispecie, si è illegittimamente proceduto, ai sensi degli artt. 678 e 679 c.p.p., alla dichiarazione di abitualità nel delitto e alla conseguente applicazione della misura di sicurezza detentiva nei confronti del condannato.

Segue l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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