T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 21-06-2011, n. 5532

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con la sentenza del Consiglio di Stato n. 183/2010 del 19.1.2010 è stato accolto l’appello proposto dalla società ricorrente avverso la sentenza del TAR LazioRoma, sez. II ter, n. 2893/2008 ed è stato annullato il provvedimento del Ministero delle politiche agricole e forestali (d’ora in poi soltanto MIPAAF) del 18.4.2007, con il quale era stato ritenuto di non potersi procedere all’istruttoria sulla richiesta di rilascio dell’autorizzazione per la messa a coltura di varietà transgeniche in attesa dell’adozione dei piani di coesistenza di competenza regionale, ordinandosi al MIPAAF di procedere alla conclusione del procedimento nei sensi di cui in motivazione nel termine dei 90 giorni dalla notifica della decisione.

Il MIPAF ha avviato il relativo procedimento, acquisendo il parere della Commissione per i prodotti sementieri geneticamente modificati in data 18.3.2010, e lo ha concluso con l’adozione del decreto del 19.3.2010, con il quale ha respinto l’istanza a suo tempo avanzata dalla ricorrente per la messa in coltura di varietà di mais transgenico.

Con il ricorso di cui in epigrafe, la ricorrente ha impugnato il detto decreto ministeriale deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:

1. Violazione dell’articolo 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e violazione ed elusione del giudicato.

Con la richiamata decisione del C.d.S. n. 183/2010 sarebbe stato sancito il diritto della ricorrente ad ottenere dal MIPAAF il decreto di autorizzazione richiesto con la conseguenza che si avrebbe un’elusione del giudicato per la riaffermazione del principio della necessaria previa adozione dei piani di coesistenza e per la mancata adozione dei piani in via sostitutiva da parte del ministero ai sensi dell’articolo 117, comma 5, della Costituzione (nonché dell’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 e dell’articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005).

L’adozione del decreto impugnato, in quanto di reiezione della detta domanda, sarebbe, pertanto, in contrasto con il giudicato intervenuto sulla specifica questione.

Sul MIPAAF sarebbe gravato, infatti, l’obbligo del rilascio dell’autorizzazione richiesta, semmai integrata con i protocolli di coltura che garantiscano la coesistenza con altre forme di coltivazione, adottati in sostituzione delle regioni non adempienti.

Peraltro sarebbe inammissibile il diniego di rilascio adottato sulla base del parere negativo della regione, atteso che il procedimento in questione sarebbe di competenza esclusivamente statale; inoltre la richiamata nota regionale non sarebbe mai stata approvata da parte della giunta regionale e pertanto sarebbe priva di valore e, comunque, sarebbe basata su di una motivazione del tutto apodittica e sarebbe incentrata esclusivamente sugli aspetti ambientali che dovrebbero essere ritenuti, in realtà, estranei alla questione relativa ai piani di coesistenza delle colture.

2. Violazione e falsa applicazione degli articoli 97 e 120 della Costituzione, della legge n. 5 del 2005, dell’articolo 1, comma 2, del D. Lgs. n. 212 del 2001 e dell’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 ed eccesso di potere per sviamento ed illogicità manifesta.

Il parere della commissione sarebbe illegittimo in quanto basato su profili concernenti la coesistenza che, tuttavia, non rientrerebbe negli ambiti di sua competenza atteso che la stessa dovrebbe esclusivamente verificare se l’OGM sia o meno iscritto nel catalogo comune.

Peraltro da parte della commissione sarebbe stato effettuato un recepimento acritico del parere della regione, senza il previo svolgimento di un’adeguata istruttoria tecnicoscientifica avente ad oggetto la fondatezza delle deduzioni articolate da parte della regione.

Né, inoltre, il ministero si sarebbe attivato per azionare l’apposito procedimento finalizzato all’adozione dei richiamati piani di coesistenza in sostituzione delle regioni inadempienti.

3. Violazione della raccomandazione 556/2003, della direttiva n. 18/01/CE, della legge n. 5 del 2005 ed eccesso di potere per sviamento.

Il Ministero avrebbe:

– non tenuto nella debita considerazione la distinzione tra gli aspetti ambientali (di esclusiva competenza comunitaria e già valutati in quella sede) e gli aspetti economici (di competenza statale) della coesistenza (al riguardo vedasi la racc. 23.7.2003, n. 556/03, par. 1.2);

– violato il principio della pari dignità delle colture e della libertà di scelta ai sensi della legge n. 5 del 2005;

– violato l’art. 23 della direttiva 18/01/CE relativamente alla clausola di salvaguardia in quanto la stessa sarebbe stata sostanzialmente reintrodotta in modo indiretto, senza tuttavia la previa effettuazione di studi scientifici alla base;

– non notificato l’impugnato decreto agli organi della Commissione (da valutarsi in quanto adottato in deroga agli obblighi di armonizzazione).

4- Violazione e falsa applicazione della direttiva n. 18/01/CE e della direttiva n. 98/34/CE, nonché dell’articolo 95, par. 5, del trattato CE e dell’articolo 10 della Costituzione ed eccesso di potere per sviamento.

Il decreto è, altresì, illegittimo in quanto non è stato notificato agli organi della Commissione europea e, conseguentemente, gli organi comunitari non hanno potuto svolgere l’esame delle dette disposizioni nazionali adottate in deroga agli obblighi di armonizzazione di cui al richiamato par. 6 dell’articolo 95 del trattato CE.

5- Violazione dell’articolo 3, commi 1, 3 e 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e dell’articolo 7, comma 2, del regolamento CE n. 1830/2003 del parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003 ed eccesso di potere per illogicità manifesta, errore nei presupposti e contraddittorietà.

È stata, inoltre, depositata una relazione tecnica che contesta punto per punto le osservazioni della Regione dando atto dello stato della ricerca sul punto e delle esperienze relative allo stesso tipo di mais in altri stati e proponendo un progetto di coesistenza tra coltivazioni con i relativi accorgimenti.

E’ intervenuta in giudizio ad adiuvandum, con atto depositato in data 13.8.2010, la Confagricoltura Lombardia, la quale ha argomentatamene sostenuto le censure della ricorrente, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

La Regione autonoma Friuli VeneziaGiulia si è costituita in giudizio con comparsa di mera forma in data 12.7.2010 depositando documentazione: con la successiva memoria difensiva del 13.7.2010, previa ricostruzione del quadro normativo nella materia, ha diffusamente controdedotto alle censure avversarie, chiedendo il rigetto del ricorso.

Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali si è costituito in giudizio con comparsa di mera forma in data 30.6.2010 ed ha depositato documentazione concernente la vicenda in data 6.7.2010.

La Regione, con la memoria illustrativa del 27.8.2010, ha insistito per il rigetto del ricorso.

La ricorrente ha depositato documentazione in data 9.12.2010 e memoria conclusiva in data 21.12.2010, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 24.1.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.
Motivi della decisione

Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (d’ora in poi soltanto MIPAAF), con il decreto del 19.3.2010, ha respinto la richiesta di messa in coltura di ibridi di mais geneticamente modificati MON 810, presentata dalla società ricorrente con la nota del 14.8.2006, sulla base del parere della Commissione per i prodotti sementieri geneticamente modificati (di cui al D. lgs. n. 212 del 2001), formulato nella seduta del 18.3.2010, nonché del parere della Regione Friuli VeneziaGiulia di cui alla nota prot. n. 18586 del 15.3.2010.

Si premette, in ordine alla questione che interessa, che il contenzioso tra le parti va avanti dal 2007 e sulla vicenda sono intervenute decisioni sia del giudice di primo grado che del giudice di appello.

In particolare, con la sentenza del TAR Lazio, sez. II ter, n. 2893/2008, relativa ad una controversia avente ad oggetto il silenzio dell’amministrazione ai sensi dell’articolo 21 bis della legge n. 1034 del 1971, è stato dichiarato inammissibile – per la mancata notificazione del ricorso ad almeno un controinteressato, dovendosi intendere per tali le regioni alle quali è stato imputato di non avere provveduto all’adozione dei piani di coesistenza – il ricorso presentato dalla ricorrente avverso la nota del MIPAAF, con la quale è stato comunicato di non potersi procedere all’istruttoria della richiesta di cui sopra, nelle more dell’adozione, da parte delle regioni, dei piani di coesistenza (come previsto dalla circolare MIPAAF del 31.3.2006); la detta sentenza è stata riformata dalla sentenza del C.d.S. n. 183/2010 del 19.1.2010 che – avendo superato la questione preliminare dell’ammissibilità del ricorso di primo grado nel senso dell’insussistenza dei relativi presupposti, per non potere essere le regioni considerate controinteressate, trattandosi di un procedimento autorizzatorio di competenza esclusivamente statale – è entrata nel merito, e, dopo avere dedotto che "non è dunque contestato che la richiesta di autorizzazione è in astratto accoglibile", ha puntualmente rilevato che "il rilascio dell’autorizzazione non può essere condizionato alla previa adozione dei piani di coesistenza", con la conseguenza che, nell’attesa dell’adozione di questi, l’obbligo di istruzione e conclusione dei relativi procedimenti istruttori non viene meno.

Con la successiva sentenza del TAR Lazio, sez. II ter, n. 2378/2010 – resa a conclusione del giudizio proposto avverso la nota n. 7805 del 30/7/08 del MIPAAF avente ad oggetto le condizioni per l’iscrizione nel registro nazionale delle varietà di specie agrarie e la messa in coltura degli ibridi di mais geneticamente modificati – è stato ribadito che il procedimento di cui trattasi è di esclusiva competenza statale e che l’inerzia delle regioni nell’adozione dei piani di cui in precedenza non legittima l’amministrazione statale ad arrestare i procedimenti di autorizzazione, poiché, operando in tale direzione, "lo Stato Italiano si esporrebbe a responsabilità sul piano comunitario, rendendo di fatto inapplicabile nell’ordinamento nazionale quello che è un principio imposto dal diritto comunitario".

In particolare è stato rilevato come "dal punto di vista normativo, può osservarsi in sintesi che la normativa comunitaria in materia di OGM (in particolare, la Dir. CE 2001/18/CE sull’emissione nell’ambiente e l’immissione in commercio), da un lato, ha inteso regolare ogni aspetto incidente sulla loro circolazione, condizionandola ad un’ampia valutazione ambientale e sanitaria, dall’altro, ha lasciato agli Stati membri la facoltà di "adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti" lasciando intendere che, fra quelle misure, vi sono anche le regole tecniche agronomiche volte ad evitare la commistione del materiale genetico tra le diverse colture.

La normativa comunitaria, in altre parole, lascia alla legislazione degli Stati membri la possibilità di adottare ogni misura preventiva in grado di evitare commistioni fra prodotti individuando le modalità più idonee in grado di far convivere tra loro le tre "filiere".

Per concludere sul punto, mentre la normativa comunitaria si occupa di tutelare l’ambiente, la vita e la salute di uomini, animali e piante, lo stesso legislatore europeo lascia invece alla normativa interna la possibilità di adottare le misure più opportune per limitare gli effetti economici connessi alle potenzialità diffusive degli OGM e, quindi, non compromettere la biodiversità dell’ambiente naturale in modo da garantire la libertà di iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare nazionale.".

Inoltre "la sentenza della Corte Costituzionale n. 116/2006…, nel dichiarare l’illegittimità degli artt. 3, 4, 6, commi 1 e 2, 7 e 8 del D.L. n. 279/2004, ha comunque "salvato" gli artt. 1 e 2 dove è sancito il principio di coesistenza tra le colture." e "ha quindi fatto salvo il principio di coesistenza, stabilendo che le diverse colture (tra cui gli OGM) siano praticate senza reciprocamente compromettersi, in modo da tutelare le peculiarità e le specificità produttive di ciascuna e in modo da evitare commistioni tra sementi e senza pregiudizi per le attività agricole preesistenti (che non debbono trovarsi costrette a modificare o adeguare le loro tecniche di coltivazione e allevamento), assicurando agli agricoltori, agli operatori e ai consumatori la possibilità di scelta attraverso la separazione delle rispettive filiere.".

E "In questo quadro", si è concluso sul punto, "le modalità di attuazione del principio di coesistenza, proprio in ragione dei fini a cui è ispirato, sono rimesse alla competenza delle singole Regioni.".

In via ulteriormente preliminare devono essere affrontate le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate negli scritti difensivi delle amministrazioni resistenti.

Con una prima eccezione è stata dedotta l’inammissibilità del ricorso per difetto di un interesse concreto ed attuale alla decisione nel merito dello stesso, attinendo la vicenda di cui trattasi alla domanda di messa a coltura relativa all’anno 2007.

La indicata eccezione è, tuttavia, infondata e deve essere respinta: ed infatti, sebbene risulti in atti che la ricorrente abbia già provveduto alla presentazione di una analoga domanda per l’anno 2010, tuttavia, ciò che rileva ai dedotti fini è che la ricorrente ha ripetutamente ribadito il proprio interesse ricollegandolo alla domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimità dell’impugnato provvedimento; questa appare indubbiamente una circostanza dirimente ai fini che interessano, indipendentemente dall’intervenuta presentazione o meno della detta domanda risarcitoria.

Peraltro non può trascurarsi che, comunque, le motivazioni addotte da parte dell’amministrazione ministeriale sono tali e di tale consistenza da determinare un impedimento sostanzialmente permanente all’adozione dell’autorizzazione richiesta dalla società ricorrente e, conseguentemente, i suoi effetti sono destinati a riverberarsi anche sulla futura attività concernente le diverse e successive annualità di semina.

Con una seconda eccezione preliminare è stata dedotta l’inammissibilità dell’impugnazione del parere della regione in quanto atto facoltativo e non vincolante e pertanto privo di un’autonoma capacità lesiva della sfera giuridica della società ricorrente.

Anche la predetta eccezione appare destituita di fondamento laddove si consideri che l’impugnato provvedimento di diniego è stato dichiaratamente adottato anche sulla base del richiamato parere che, comunque, è stato oggetto di valutazione e considerazione da parte della apposita Commissione; sebbene, pertanto, la relazione non contenga indicazioni o direttive di carattere operativo nei confronti del ministero, è indubbio che, tuttavia, le argomentazioni e le conclusioni ivi contenute abbiano influenzato l’operato dell’amministrazione, di tal che lo stesso è venuto a sostanziarsi quale atto essenziale del procedimento stesso.

Peraltro le regioni, sulla base di quanto in precedenza riportato allo stato della giurisprudenza nella materia, sono competenti all’adozione delle linee guida in materia di coesistenza e, quindi, dei piani di coesistenza.

La ricorrente ha impugnato il detto decreto deducendone l’illegittimità, con un primo motivo di censura, per violazione ed elusione del giudicato formatosi sulla sentenza del C.d.S., sez. VI, n. 183/2010 del 19.1.2010, con la quale sarebbe asseritamente stato "espressamente ordinato al MIPAAF di assentire l’autorizzazionerichiesta", semmai integrata dai protocolli di coltura che garantirebbero la coesistenza con altre forme di coltura.

Il motivo non appare fondato.

E, infatti, la richiamata sentenza, nella parte dispositiva, ordina all’amministrazione di procedere alla conclusione del procedimento "nei sensi e nei termini di cui in motivazione"; nella parte motiva, tuttavia, non entra espressamente nel merito della fondatezza della richiesta di parte ricorrente sotto tutti i relativi profili.

Si ritiene, pertanto, che il contenuto conformativo della decisione consista nel solo obbligo di procedere alla conclusione del procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso, sia esso di accoglimento ovvero di reiezione della richiesta della ricorrente.

Sempre in via preliminare si rileva come appaia opportuno soprassedere dall’esame degli sviluppi concernenti la questione degli OGM verificati negli ultimi mesi in sede comunitaria; da un lato, infatti, le iniziative assunte non si sono allo stato concretizzate in provvedimenti puntuali e specifici di immediata e diretta applicazione nel nostro ordinamento e, dall’altro, comunque, la situazione non sembra ancora essere addivenuta ad una definitiva sistemazione in quella sede.

Il ricorso è fondato nel merito per le assorbenti considerazioni che seguono.

Come già in precedenza ricordato, è stato riconosciuto definitivamente in sede giurisdizionale che il procedimento di cui trattasi è di competenza esclusivamente statale e che l’amministrazione ministeriale, in caso di inerzia da parte delle regioni nell’adozione dei piani di coesistenza, debba attivare i propri poteri sostitutivi previsti dalla vigente normativa in materia di attuazione degli obblighi comunitari gravanti sulle regioni e non possa, pertanto, rifiutarsi di provvedere in caso di persistente inerzia di queste ultime.

E’ stato, altresì, riconosciuto che, comunque, in quella sede, non possono essere presi in considerazione aspetti di carattere ambientale e sociosanitario anche se riferiti in modo specifico al peculiare contesto territoriale di riferimento (essendo i detti aspetti di esclusiva competenza comunitaria in sede di autorizzazione della singola varietà transgenica), avendo ad oggetto i richiamati piani di coesistenza esclusivamente il profilo economico della coesistenza (connesso alla commistione tra le diverse tipologie di colture) ed essendo gli stessi finalizzati essenzialmente a garantire l’assenza del rischio che si verifichi una presenza involontaria di OGM in altri prodotti coltivati in aree limitrofe (assicurando, attraverso adeguate tecniche agricole, agli operatori della filiera e, conclusivamente, ai consumatori la possibilità effettiva di scelta tra prodotti convenzionali, biologici e transgenici).

L’amministrazione, invece, non ha seguito l’indicato iter di legge necessario ad ovviare alla mancata adozione da parte della Conferenza delle Linee guide generali sulla coesistenza ed ha tuttavia deliberato sull’istanza della ricorrente adottando come sostanziale punto di riferimento, sebbene indiretto in quanto assorbito dal parere della competente Commissione, proprio la relazione della regione interessata (prevalentemente incentrata sugli aspetti ambientali e sociosanitari), con la conseguenza che, nella sostanza, è stato negato il diritto alla scelta tra le diverse tipologie di coltura, escludendo in fatto proprio la coltura transgenica.

Partendo dalla considerazione che si trattava di un problema complesso e di difficile soluzione, si è arrivati ad affermare che non vi sono certezze sulla garanzia della coesistenza tra le diverse tipologie delle colture e che questa, attese le specifiche caratteristiche del territorio, non può essere garantita.

L’avere acquisito il previo parere della regione direttamente interessata non appare lesivo di per sé delle prerogative statali nella materia; sebbene infatti il procedimento di cui trattasi sia di esclusiva competenza statale come più volte ricordato, tuttavia le coltivazioni vengono ad incidere in modo diretto ed immediato sul territorio regionale e sono, pertanto, proprio le regioni a disporre delle informazioni più approfondite ed aggiornate in merito alle caratteristiche del territorio nel quale si intende effettuare la coltivazione degli OGM.

Ne consegue che l’avere coinvolto, in sede consultiva, la regione ai fini dell’acquisizione dei dati conoscitivi necessari, nell’ambito dell’istruttoria conseguente alla presentazione dell’istanza di rilascio dell’autorizzazione di cui trattasi, non determina di per sé l’illegittimità del decreto adottato a conclusione del procedimento stesso; e ciò, a maggiore ragione in quanto le valutazioni ivi contenute non avevano valore definitivo ma avrebbero appunto dovuto esclusivamente costituire un arricchimento della predetta fase istruttoria, fornendo elementi utili per l’adozione del provvedimento conclusivo.

Il richiamato parere non costituisce nemmeno un vero e proprio piano di coesistenza, essendo ancora mancata, per volontà propria delle regioni nel loro complesso, l’adozione delle presupposte linee guide generali; tuttavia, in concreto, lo stesso ha avuto una rilevanza dirimente ai fini dell’adozione dell’impugnato decreto in quanto fatto proprio nel suo intero complesso da parte della Commissione.

Il decreto è stato, pertanto, adottato in sostanza sulla base quasi esclusiva del richiamato parere che la regione ha rilasciato, previa richiesta dell’amministrazione, ma non avendo previamente provveduto alla delineazione del piano di coesistenza che, invece, rientrava nella sua esclusiva e precipua competenza.

In tal modo si è pervenuti al diniego di rilascio della richiesta autorizzazione sulla base di un parere espresso proprio da uno dei soggetti cui è direttamente ed immediatamente imputabile la situazione di stallo istituzionale che si è venuta a creare in conseguenza della volontà da questi manifestata chiaramente di non volere adempiere agli obblighi di natura comunitaria gravanti sugli stessi.

Peraltro, alla base del richiamato parere, sono state addotte motivazioni non pienamente congruenti con l’ambito esclusivo di competenza della regione, come in precedenza delineato, ed incentrato esclusivamente sulla coesistenza economica delle diverse colture.

Per le considerazione che precedono, pertanto, il ricorso deve essere accolto siccome fondato nel merito.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo che segue.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’amministrazione statale resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 2.000,00 oltre Iva e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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