Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-03-2011) 17-06-2011, n. 24443 Concorso di circostanze eterogeneo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

avv. Minciarelli Tatiana del foro di Roma, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 16 dicembre 2009 il giudice dell’udienza preliminare di Civitavecchia dichiarava, all’esito del giudizio abbreviato, D.A.D. – unitamente ai coimputati N. S., D.E. e M.D. – colpevole del reato di concorso in tentata rapina aggravato dall’aver agito in più persone riunite, con armi e con il volto travisato, commesso in un istituto di credito di (OMISSIS), e dei connessi reati di detenzione e porto di armi clandestine e di ricettazione (delle armi e di un’autovettura). Il D.A. veniva condannato, ritenuta la continuazione, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e alla recidiva e con la diminuente per il rito, alla pena di anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.

La Corte di appello di Roma con sentenza in data 18 maggio 2010 confermava nei confronti del D.A. la predetta sentenza, che veniva riformata solo, relativamente alla determinazione della pena, per uno dei coimputati appellanti.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 69 c.p., comma 4 e art. 56 c.p., comma 2, poichè l’indicazione in anni sei di reclusione della pena base detentiva per il tentativo di rapina (che corrisponderebbe, secondo il ricorrente, al quadruplo del minimo edittale previsto per il tentativo di rapina semplice) indurrebbe a ritenere che la pena detentiva base non sia quella prevista per il reato di rapina semplice (anni tre di reclusione), che si sarebbe dovuto prendere in considerazione stante la ritenuta equivalenza delle circostanze attenuanti, ma quella per il reato di rapina aggravata (anni quattro, mesi sei di reclusione);

in sostanza, secondo il ricorrente, il giudice di merito avrebbe operato il giudizio di comparazione solo con la recidiva e non anche con le circostanze aggravanti ad effetto speciale;

2) la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla misura della pena in quanto nella sentenza impugnata non sarebbe stata data risposta agli specifici rilievi difensivi contenuti nell’atto di appello circa le incongruenze nella determinazione della pena. ritenuta eccessiva e comunque non adeguatamente differenziata rispetto ai coimputati per il D. A., benchè fosse stata sottolineata la minor rilevanza dei suoi precedenti penali.

Il primo motivo è infondato e va rigettato.

Dalla motivazione della sentenza impugnata e da quella emessa dal giudice di primo grado (oltre che dal relativo dispositivo) risulta che il giudizio di comparazione è stato effettuato in relazione a tutte le aggravanti contestate al D.A., essendo stata ritenuta l’equivalenza rispetto alle circostanze attenuanti generiche sia della recidiva reiterata e specifica che delle aggravanti ad effetto speciale previste dall’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3.

Nè autorizza a ritenere che il giudizio di comparazione non sia stato completamente effettuato la sola circostanza che la pena base per il reato di tentata rapina semplice (una volta ritenuta l’equivalenza tra le circostanze attenuanti e le aggravanti e la recidiva) sia stata determinata in una misura ritenuta eccessiva dalla difesa che, del resto, parte dall’erroneo presupposto, contraddetto dal tenore della motivazione della sentenza impugnata, che la pena nel caso concreto dovesse essere determinata operando la riduzione per il tentativo sul minimo edittale. La pena è stata invece determinata, in misura sensibilmente superiore al minimo edittale, tenendo conto delle connotazioni negative del fatto e della capacità a delinquere dell’autore evidenziate dal giudice di merito che ne ha fornito congrua motivazione. L’indicazione della pena detentiva base per il più grave reato di rapina tentata in anni sei di reclusione appare infatti rispondente alla corretta valutazione degli elementi indicati dall’art. 133 c.p. espressa nella sentenza impugnata nella quale, in particolare, si evidenzia "la gravità dei fatti commessi dagli imputati, le armi utilizzate, le gravissime conseguenze che sarebbero potuto scaturire dall’"azione delittuosa intrapresa" da cui è stata desunta "una pericolosità sociale dei soggetti che desta particolare inquietudine, anche a fronte dei precedenti penali da cui tutti sono comunque interessati, sia pure in misura inferiore il D.A.".

Il secondo motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato.

Le doglianze in ordine alla determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale sono prive di specificità, non essendo stati precisati nel ricorso quali rilievi difensivi siano stati trascurati dal giudice di appello che, per contro, ha posto in adeguato rilievo come, attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, fossero state già prese in considerazione "la desistenza da ulteriori atti di violenza al sopraggiungere della Polizia e la collaborativa sintomatologia comportamentale manifestata dagli imputati durante il processo". Nè si ravvisano contraddizioni nel percorso argomentativo attraverso il quale la Corte territoriale ha ritenuto di confermare, tranne che per il coimputato M., il trattamento sanzionatorio determinato dal giudice di primo grado.

In particolare, per quanto riguarda il ricorrente D.A., si è inteso attribuire rilevanza, attraverso una non superficiale valutazione degli elementi indicati dall’art. 133 c.p., al grave pericolo derivante dalle modalità esecutive del tentativo di rapina commesso con armi che denotava una particolare capacità a delinquere che accomunava il D.A. ai coimputati. anche se gravato rispetto a costoro da precedenti penali "m misura inferiore", con ciò evidenziando l’inconsistenza ai fini del trattamento sanzionatorio, in una valutazione complessiva di intensa pericolosità sociale, di tale menzionata diversità.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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