Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-03-2011) 17-06-2011, n. 24441 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

sibilità dei ricorsi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 14 maggio 2010 la Corte di appello di Torino confermava la sentenza emessa il 28 ottobre 2009 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino con la quale C.A., D.S.S. e M.L., all’esito del giudizio abbreviato, erano stati dichiarati colpevoli il C. del reato continuato di rapina aggravata dall’uso di un’arma e dal travisamento (capo A), commesso in quattro centri estetici di (OMISSIS) nel mese di (OMISSIS), e lo stesso C., il D.S. e il M. di una serie di rapine ai danni di agenzie di scommesse sportive (capi C ed E)e dei connessi reati di ricettazione di autovetture (capi D e H) e porto ingiustificato di un coltello e di un pugnale (capo G), reati commessi tra i mesi di (OMISSIS). Ritenuta la continuazione, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate e con la diminuente per il rito, il C. era stato condannato alla pena di anni sette, mesi otto di reclusione ed Euro 1.900,00 di multa e il D.S. e il M. alla pena di anni sei, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa ciascuno, per tutti con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, la dichiarazione di abitualità nel reato e l’assegnazione a pena espiata ad una casa di lavoro per il periodo minimo previsto dalla legge.

Avverso la predetta sentenza gli imputati hanno proposto, tramite i rispettivi difensori, separati ricorsi per cassazione.

Con il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato M. si deduce la carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche nonostante la situazione personale e le motivazioni a delinquere dell’imputato, tossicodipendente frequentatore del SERT e affetto da HIV; inoltre si sarebbe omesso di considerare che la confessione, anche se tardiva, si inseriva in un quadro probatorio del tutto carente e contraddittorio.

Con il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato C. si deduce:

1) la mancanza e illogicità della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità in ordine al reato continuato di rapina contestato al capo A, la violazione dell’art. 192 c.p.p. e dell’art. 441 c.p.p., comma 5 e art. 603 c.p.p.; si sostiene che l’identità del modus operandi, l’omogeneità degli esercizi commerciali (centri estetici) in cui erano state realizzate le rapine, la generica affinità delle caratteristiche fisiche dell’imputato con quelle dell’autore delle azioni criminose siano indizi non gravi nè precisi; l’avvistamento del C., il quale aveva ammesso solo rapine commesse in concorso con i coimputati, nei pressi di un "obiettivo sensibile" il 17 dicembre 2008 sarebbe un indizio generico e scarsamente significativo; quanto alle individuazioni fotografiche le stesse erano avvenute solo dopo che il C. era stato avvistato nei pressi di un centro estetico, sulla base di un album fotografico ridotto o addirittura dopo l’esame di una sola fotografia e le individuazioni comunque non erano state confermate dalle persone interessate il cui esame, richiesto ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5, non era stato ammesso; nella sentenza impugnata solo genericamente sarebbero state ritenute marginali le incongruenze, evidenziate nell’atto di appello, riguardanti le individuazioni da parte delle persone offese I., L., Cu., D.M.;

2) la mancanza e illogicità della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità in ordine alla rapina contestata al capo E5 che il C., pur avendo confessato la sua partecipazione alle altre rapine ascrittegli in concorso con i coimputati, sostiene di non aver commesso e che i testi hanno riferito essere stata posta in essere solo da due persone; dalle intercettazioni risulterebbe l’estraneità del C., che rimprovera i coimputati per le modalità esecutive adottate, mentre da nessun elemento risulterebbe la partecipazione del ricorrente alla divisione del provento dell’azione criminosa;

3) la mancanza e illogicità della motivazione quanto alla ritenuta congruità della pena, anche riguardo agli aumenti per la continuazione, e la violazione dell’art. 133 c.p. e art. 438 c.p.p. essendo meramente apparente la diminuente per il rito, nonostante il cospicuo risparmio di "energie processuali", in particolare il ricorrente si duole che non si sia tenuto conto della minore gravità delle rapine monosoggettive (capo A), "di modestissimo importo", e per le altre rapine del mancato uso di forme di violenza, se si esclude la rapina al capo E3 cui il C. non aveva partecipato fisicamente.

Con il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato D.S. si deduce:

1) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per la mancata qualificazione giuridica come furti dei fatti contestati ai capi D ed H come ricettazione, pur riguardando autovetture che erano nella disponibilità dei correi nei momenti appena successivi al furto (mentre la ricettazione dei beni in questione avrebbe richiesto "tempo e denaro"); la generica ammissione di responsabilità nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto non sarebbe "esaustiva, soprattutto con riferimento alle contestazioni satelliti e alla loro qualificazione giuridica";

2) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per il mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, nonostante la confessione del D.S. fosse intervenuta quando la prova non era stata ancora completamente raggiunta;

3) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, con riferimento sia alla pena base sia agli aumenti per la continuazione, e alla conferma della dichiarazione di delinquenza abituale.

I ricorsi sono inammissibili.

Quanto al ricorso presentato nell’interesse dell’imputato M., la Corte ne ritiene la manifesta infondatezza, avendo il giudice di appello del tutto legittimamente negato il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, riconosciute in primo grado equivalenti rispetto alle aggravanti, con adeguata motivazione, tenendo conto "In una valutazione complessiva delle ragioni per cui le attenuanti sono state concesse (la confessione è avvenuta tardivamente e per quanto riguarda il C. è stata solo parziale), dell’estrema gravità del delitto contestalo al capo E 3) e degli altri reati ascritti ai prevenuti, nonchè della notevole capacità a delinquere degli stessi, attestata dai numerosi precedenti specifici". Sono stati pertanto valutati i parametri considerati dall’art. 133 c.p., applicabili anche ai fini dell’art. 69 c.p., a fronte dei quali il ricorso non evidenzia alcun significativo elemento di segno opposto ulteriore rispetto a quelli già considerati per il riconoscimento delle attenuanti con giudizio di equivalenza.

Anche il ricorso del C. è inammissibile.

Il primo motivo tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Nel caso in esame il giudice di merito ha ineccepibilmente osservato, prendendo distintamente in esame le doglianze contenute nei motivi di appello, che la prova della responsabilità dell’imputato si desumeva – oltre che dalle identiche modalità operative delle azioni criminose commesse da un soggetto avente le medesime caratteristiche fisiche, dalla rapida successione temporale delle stesse (rapine commesse nell’arco di tredici giorni ai danni di centri estetici, cessate nel gennaio 2009 quando il C. aveva cominciato a partecipare alle rapine in agenzie di scommesse in concorso con i coimputati) e all’omogeneità delle modalità di travisamento – dagli esiti delle individuazioni fotografiche (due in termini di certezza, altre due con percentuali del 90% e del 95%) da parte delle persone offese le quali avevano descritto le caratteristiche fisiche del rapinatore, che era solo parzialmente travisato, con particolari coincidenti o comunque compatibili con le fattezze del C. prima di riconoscerlo dopo aver consultato un album fotografico comprendente le fotografie di nove individui. La Corte territoriale, dopo un dettagliato esame dei rilievi difensivi relativamente ai riconoscimenti da parte delle quattro persone offese, ha, inoltre, ravvisato un ulteriore e significativo elemento indiziario nel fatto che il C. il (OMISSIS) tentò di accedere ad un centro estetico della stessa catena di quelli in cui erano state commesse negli stessi giorni due delle rapine contestategli facendo riferimento ad una prenotazione inesistente e rifiutandosi di togliersi il berretto. Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle emergenze processuali, che ha consentito una ricostruzione dei fatti esenti da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Il secondo motivo è fondato su una diversa lettura, nella prospettiva difensiva, degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’esame degli atti e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità. Nella sentenza impugnata infatti si pone in evidenza che, come risultava dall’attività di osservazione svolta dalla polizia giudiziaria, poche decine di minuti dopo la rapina contestata al capo E5, commessa in un’agenzia di scommesse, gli esecutori materiali M. e D.S. si trovavano, senza una plausibile giustificazione) insieme al C. (con il quale, per loro stessa ammissione, avevano compiuto una serie analoga di rapine ai danni di altre agenzie di scommesse) e si analizza il contenuto di alcune intercettazioni telefoniche dei giorni successivi in cui il C. commentava le modalità di esecuzione e lo scarso provento dell’azione criminosa invitando l’interlocutore M. ad agire in maniera professionale per la successiva rapina programmata, dimostrando di aver quanto meno concordato con i coimputati la realizzazione della rapina in questione rafforzandone i propositi criminosi. Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata.

Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.

Nella sentenza impugnata si è posto in evidenza che nella determinazione della pena, lontana dai massimi edittali, il giudice di primo grado risultava aver già preso in adeguata considerazione le condizioni personali e la condotta processuale degli imputati, pur tenendo conto della particolare gravità della rapina contestata al capo E3 (commessa da tre persone riunite e travisate, minacciando con armi una pluralità di persone e sottraendo una somma notevole di denaro) e della capacità a delinquere degli imputati. Dalla motivazione della sentenza di primo grado si desume, inoltre, che in relazione alle rapine commesse individualmente dal C. nei quattro centri estetici (capo A1, A2, A3, A4) l’aumento per la continuazione è stato determinato in misura inferiore rispetto a quello per i reati commessi in concorso con i coimputati, essendo stata evidentemente fatta una congrua valutazione della diversa gravità delle condotte.

Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato D.S. è anch’esso inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Il giudice di merito ha fornito una motivazione razionale e giuridicamente corretta, non specificamente contestata dal ricorrente, in ordine alla qualificazione come ricettazione, e non come furti aggravati, dei fatti contestati ai capi D ed H osservando che solo il M. e il C. (non il D.S.) avevano dichiarato nel corso del giudizio di essere gli autori dei furti delle autovetture Fiat Brava e Fiat Panda oggetto delle contestate ricettazioni, senza essere in grado di indicare le modalità con le quali si sarebbero introdotti nei garage da cui le due autovetture erano state asportate, senza riferire particolari di cui avrebbero dovuto essere a conoscenza (la Fiat Panda era stata sottratta unitamente ad un’altra autovettura) o riferendo particolari privi di riscontro negli atti di polizia giudiziaria (il presunto inseguimento da parte degli agenti). Il giudice di appello ha inoltre fatto rilevare, con argomentazione immune da vizi logici, che dopo un furto, anche nell’arco di poche ore e disponendo di somme di denaro modeste, è possibile procurarsi la disponibilità di veicoli rubati per commettere delle rapine.

Il secondo motivo è manifestamente infondato, per le stesse ragioni esposte in relazione all’esame del ricorso del coimputato M..

Il terzo motivo è del pari manifestamente infondato, oltre che generico. Quanto alla pena base valgono le ragioni esposte nell’esaminare il terzo motivo di ricorso del coimputato C..

In ordine all’entità degli aumenti di pena per la continuazione il giudice di appello ha fornito un’ampia ed esauriente motivazione, fondata sui parametri indicati dall’art. 133 c.p., attraverso il riferimento alle modalità di esecuzione dei singoli fatti, ai danni cagionati, al numero delle persone offese, all’allarme sociale provocato dalla reiterazione delle azioni criminose, alle finalità per le quali vennero commessi i reati strumentali e alla negativa personalità degli imputati. Quanto infine alla dichiarazione di delinquenza abituale la Corte territoriale ha dato adeguato conto della sussistenza dei presupposti dell’abitualità presunta dalla legge ex art. 102 c.p. (nuova condanna riportata dopo la commissione nell’arco di dieci anni, non contestualmente, di un numero superiore a tre di delitti non colposi contro il patrimonio, quindi della stessa indole di quelli contestati nel presente procedimento, con condanna alla reclusione in misura complessivamente superiore a cinque anni) e dell’irrilevanza delle doglianze (ripetute, quanto al D.S., nel ricorso per cassazione in forma peraltro del tutto generica) degli imputati la cui pericolosità sociale, ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione a pena espiata ad una casa di lavoro ai sensi degli artt. 102 e 216 c.p., si desumeva dalle condizioni di stabile tossicodipendenza, dall’assenza di fonti di reddito lecite e dall’assenza di remore a commettere delitti contro il patrimonio e contro le persone per procurarsi i mezzi di vita ed acquistare sostanze stupefacenti.

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *