Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-03-2011) 17-06-2011, n. 24436

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 25 novembre 2003 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava G.P., T.V. e V.A. colpevoli del reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), commesso a partire dal giugno 2000 in un contesto mafioso riconducibile alla cosca Torcasio di Lamezia Terme, e il T. e il V. anche del reato, previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, di illecita detenzione a fine di spaccio di un’imprecisata quantità di sostanze stupefacenti (cocaina ed eroina bianca), commesso in epoca anteriore al 17 marzo 2001, reati aggravati entrambi ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 conv. nella L. n. 203 del 1991 per essere stati commessi allo scopo di agevolare il sodalizio criminoso mafioso. Il G. veniva condannato, con le circostanze attenuanti generiche e la diminuente per il rito, alla pena di anni otto di reclusione e il T. e il V., ritenuta la continuazione tra i reati loro ascritti, con le circostanze attenuanti generiche e la diminuente per il rito, alla pena di anni otto, mesi sei di reclusione ciascuno, con la pena accessoria per tutti dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

La sentenza di condanna si fondava sulle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia C.D. (dichiarazioni rese nel corso degli interrogatori del 5 e del 12 gennaio 2001) circa il traffico di sostanze stupefacenti gestito da T.N. e T.G. e dall’altro collaboratore di giustizia M. G.M., nonchè sulle dichiarazioni rese da C. R., sull’arresto in flagranza di G.A., G. P. e T.S., sul sequestro di rilevanti quantitativi di cocaina, sulle intercettazioni ambientali eseguite presso la casa circondariale di Vibo Valentia in occasione dell’arresto in data 22 giugno 2000 di G.A. e sui contatti telefonici di quest’ultimo con T.S..

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza emessa in data 30 novembre 2004, assolveva gli imputati dai reati loro rispettivamente ascritti per insussistenza del fatto in quanto veniva ritenuta l’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali per la mancanza di motivazione, in ordine alla sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza, del decreto esecutivo che aveva autorizzato l’espletamento delle operazioni mediante impianti diversi da quelli in dotazione agli uffici di Procura; la Corte territoriale riteneva che le restanti emergenze processuali fossero di valenza probatoria insufficiente e comunque inidonee per l’affermazione di un giudizio certo di responsabilità.

La 6^ sezione penale della Corte di cassazione con sentenza in data 22 novembre 2006 ha annullato detta sentenza, accogliendo il ricorso del Procuratore generale presso la Corte territoriale, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro, enunciando il principio di diritto che l’esistenza delle eccezionali ragioni di urgenza richiesta dall’art. 268 c.p.p., comma 3 unitamente alla motivata indisponibilità degli impianti installati nei locali della Procura della Repubblica, può anche essere motivata per implicito, nel senso che può essere desunta anche dalle ragioni poste a base della richiesta di autorizzazione, dalla motivazione del provvedimento autorizzativo e dal riferimento all’attività criminosa in corso. Nel caso di specie la Corte affermava che le intercettazioni ambientali dovessero ritenersi legittimamente autorizzate ed eseguite e sollecitava il giudice di rinvio a rivalutare l’intera vicenda tenendo conto di dette intercettazioni e degli altri elementi di prova la cui valenza probatoria era stata minimizzata senza argomentazioni specifiche (in particolare, delle dichiarazioni di C.R. e dei collaboranti C. D. e M.G.M.).

Con sentenza in data 17 giugno 2009 il giudice di rinvio confermava la sentenza (di condanna) di primo grado.

Avverso la predetta sentenza gli imputati hanno proposto – tramite il comune difensore avv. Francesco Gambardella e il V. anche individualmente tramite l’avv. Pietro Chiodo – ricorso per cassazione.

Con il ricorso presentato, nell’interesse di tutti gli imputati, dall’avv. Francesco Gambardella si deduce l’erronea applicazione dell’art. 627 c.p.p., comma 2, artt. 192 e 238 bis c.p.p., del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e della L. n. 203 del 1991, art. 7 e, inoltre, la mancanza, e manifesta illogicità della motivazione; il giudice di rinvio, una volta applicato il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione quanto alla legittimità dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, avrebbe dovuto, secondo il ricorrente, valutare le fonti dichiarative (due delle quali valutabili ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3), senza limitarsi a ricopiare il contenuto delle conversazioni intercettate che nel caso di specie non era significativo e non costituiva "riscontro (nemmeno aggettivo) rispetto alle dichiarazioni accusatorie dei propalanti";

quanto alle dichiarazioni di C.D. nessun giudizio di credibilità intrinseca ed estrinseca del dichiarante sarebbe stato effettuato e il generico riferimento al complesso delle attività di indagine e all’arresto di G.A. sarebbe insufficiente al fine della verifica dei riscontri esterni individualizzanti, posto che G.A. era stato assolto limitatamente al reato associativo (unitamente a V.D. e a T. P.) con la sentenza (la cui copia era allegata al ricorso) del Tribunale di Lamezia Terme in data 8 luglio 2005, passata in giudicato, nella quale era stata esclusa l’esistenza stessa della associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 all’esito della valutazione degli apporti collaborativi del M., di C. D. e di C.R. nonchè delle intercettazioni ritenute pienamente utilizzabili; sotto questo profilo vi sarebbe stata violazione dell’art. 238 bis c.p.p. che consente l’acquisizione di sentenze irrevocabili ai fini della prova del fatto in esse accertato, ponendo una deroga alla regola dell’oralità per evitare la dispersione di elementi conoscitivi e di risultanze di fatto emergenti anche dalla motivazione, e non solo dal dispositivo, con il solo limite dell’art. 192 c.p.p., comma 3 e, quindi, della valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità.

Quanto alle dichiarazioni di C.R., moglie di un componente della famiglia Torcasio che avrebbe assistito all’occultamento di sostanza stupefacente, il giudice di rinvio non avrebbe tenuto conto dell’esito negativo delle ricerche effettuate nel luogo indicato dalla donna la quale, essendo emersa la prova contraria di quanto dalla stessa dichiarato, avrebbe dovuto essere considerata teste inattendibile; peraltro le dichiarazioni della C. sarebbero inconferenti rispetto al thema probandum.

Relativamente, infine, alle dichiarazioni del M., costui avrebbe fatto riferimento non ad una struttura associativa, ma all’esistenza di più soggetti (tra cui G.P. e V. A.) che si rifornivano da un unico fornitore, T.N..

Con il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato V. dall’avv. Pietro Chiodo si deduce:

1) la violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, artt. 271 e 191 c.p.p., art. 125 c.p.p., comma 3 in quanto i decreti del pubblico ministero di autorizzazione, per le intercettazioni, dell’utilizzo di impianti esterni alla Procura sarebbero privi di motivazione in ordine all’esistenza di ragioni di eccezionale urgenza, mentre la giurisprudenza recente della Corte di cassazione, anche a sezioni unite, negherebbe la possibilità di una motivazione implicita;

2) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento del fatto, in quanto non si sarebbe tenuto conto dell’elaborato peritale (allegato ai motivi nuovi di appello dell’avv. Gambardella depositati il 21 luglio 2004) per la trascrizione delle conversazioni intercettate che aveva consentito di escludere, in contrasto con le risultanze dei brogliacci, i riferimenti a "coca" e "roba", tanto che l’ordinanza di custodia cautelare era stata "annullata" dal Tribunale di Lamezia Terme nei confronti di uno dei coimputati; non si sarebbe inoltre tenuto conto dell’assoluta inattendibilità intrinseca di C. D., cui era stato revocato il programma di protezione, e del M.; il M. e C.D. avrebbero poi fatto riferimento a periodi di falsa collaborazione (cfr. interrogatorio reso al pubblico ministero dal M. il 13 novembre 2002 e la ritrattazione "in modo rocambolesco" delle accuse precedentemente formulate da parte di C.D. nel processo "Primi Passi" dinanzi alla Corte di assise di Catanzaro); non si sarebbe tenuto conto nemmeno della sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, irrevocabile, in relazione all’associazione mafiosa nella quale "graviterebbero gli odierni imputati"; si sarebbe omesso di indicare, con riferimento all’associazione dedita al narcotraffico, il contenuto delle intercettazioni e delle dichiarazioni di collaboranti specificamente rilevanti in ordine alla tesi accusatoria e non si sarebbe tenuto conto, infine, della genericità delle indicazioni relative a tale "Villetta" da parte del C. e della tardività delle dichiarazioni accusatorie del M. rese il 3 aprile 2003, a distanza di nove mesi dall’inizio della collaborazione (12 luglio 2002), senza che nell’intervallo temporale il collaboratore di giustizia avesse mai coinvolto il V. in episodi di narcotraffico e dopo che il Tribunale del riesame in data 30 dicembre 2002 aveva annullato la misura cautelare nei confronti del V. per insussistenza dei gravi indizi.

I ricorsi vanno rigettati.

Quanto al ricorso presentato nell’interesse di tutti gli imputati (avv. Francesco Gambardella) la Corte rileva che le doglianze sono infondate.

Nella sentenza impugnata la Corte territoriale, preso atto del principio giurisprudenziale enunciato da questa Corte nella sentenza di annullamento con rinvio in data 22 novembre 2006, ha considerato pienamente utilizzabile la principale fonte probatoria costituita dalle intercettazioni ambientali il cui contenuto è stato riportato nelle parti più significative dal giudice di merito, con la specifica e distinta indicazione per ciascuna delle conversazioni menzionate – contrariamente a quanto affermato nel ricorso – dell’oggetto e della rilevanza in ordine alle imputazioni formulate e, in particolare, al coinvolgimento, a titolo associativo, degli odierni imputati, unitamente a vari esponenti delle famiglie Gullo e Torcasio, nell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti gestita da G.A., arrestato il 22 giugno 2000 perchè sorpreso in possesso di un notevole quantitativo di cocaina (cfr. segnatamente ff.13 ss. in cui si evidenzia come dalla conversazione intercettata il 30 giugno 2000 tra V.D., V.A.M. e G.A., quest’ultimo fratello di G.P., risulti che gli affiliati alla cosca garantivano l’assistenza legale agli affiliati detenuti; f. 15 conversazione tra presenti del 25 settembre 2000 da cui risultano confermati gli stretti collegamenti, già emergenti da una perquisizione effettuata dalla Guardia di Finanza presso l’abitazione di G.P., tra la famiglia Gullo e T.P., il quale aveva la disponibilità di una scheda telefonica già posseduta da G.P.; ff. 15 ss. conversazioni dei mesi di luglio, agosto e settembre 2000 circa l’accordo di reciproca assistenza tra T.P. e G. A., la cui famiglia era sostenuta economicamente anche da T.V. e V.A.; ff.21 e ss. conversazioni del 6 e del 20 luglio 2000 circa il coinvolgimento nel traffico di sostanze stupefacenti gestito da G.A. anche di G. P. e T.V., quest’ultimo notato più volte alla guida di un’autovettura di G.A.; f.24 conversazioni del 27 luglio e del 10 agosto 2000 in cui G.A. commenta le preoccupazioni del fratello P. circa una possibile attività di intercettazione in carcere).

Le conversazioni intercettate nella casa circondariale di Vibo Valentia sono state ritenute, attraverso una ricostruzione logica del loro contenuto, significativi elementi di riscontro alle dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia C. D., il quale negli interrogatori resi il 5 e il 12 gennaio 2001 aveva riferito del traffico di droga gestito da T.N. e T.G. nel più ampio contesto associativo della cosca mafiosa indicando specificamente, tra gli altri, gli odierni ricorrenti quali soggetti partecipi degli illeciti traffici. Le dichiarazioni del C. sono state nella sentenza impugnata valutate correttamente, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3, nella loro attendibilità intrinseca ed estrinseca (si è evidenziato che il C. era una fonte privilegiata di conoscenza dei fatti relativi alla cosca Torcasio avendo la figlia C.R. sposato T.A., fratello di N. e G., quest’ultimo ucciso in un agguato mafioso). Quanto alla ritrattazione del C. nel processo "Primi Passi", seguita da una ripresa del percorso collaborativo, il giudice di appello ha posto in evidenza che era stata determinata da vicende di ordine affettivo, personale e familiare per la situazione di pericolo in cui erano venuti a trovarsi i più stretti familiari del collaboratore e che comunque, in tema di traffico di sostanze stupefacenti, le dichiarazioni del C. erano state costanti e coerenti nel tempo. Quanto ai riscontri esterni individualizzanti – oltre alle citate intercettazioni in cui erano molteplici i riferimenti agli imputati e alla loro vicinanza a G.A. e alla cosca Torcasio, nella sentenza impugnata sono stati indicati i risultati dell’attività di indagine svolta dalla Guardia di finanza che aveva condotto il 22 giugno 2000 all’arresto di G.A. (intestatario di un’autovettura da sempre nella disponibilità di T.V., nipote dei fratelli T.G. e T.N.) al quale era stati sequestrati poco meno di 50 grammi di cocaina, quantitativo che denotava la disponibilità di finanziamenti per l’acquisto di consistenti quantitativi di stupefacente il cui traffico veniva gestito nella zona controllata dai T.. Ulteriori riscontri venivano individuati nelle risultanze di altro procedimento penale relativo all’arresto in flagranza di G.P., trovato in possesso il 21 febbraio 2002 di circa 64 grammi di cocaina, nonchè nell’arresto, il 23 luglio 2000, di T.S., trovato in possesso di circa 40 grammi di eroina, del quale risultava lo stretto contatto con G. A. e con la cosca Torcasio.

Altro significativo elemento di riscontro alle dichiarazioni del C., con particolare riferimento al coinvolgimento di T.V. e V.A. nei traffici di sostanze stupefacenti gestiti dalla cosca Torcasio, è stato ravvisato dalla Corte territoriale nelle dichiarazioni di C.R., figlia di C.D. e moglie di T.A., dichiarazioni rese in due successive occasioni, circa l’occultamento – da parte, tra gli altri, di T.V. e V. A. – di una busta trasparente contenente una sostanza bianca nel cortile della sua abitazione di cui la donna era stata diretta testimone. Correttamente nella sentenza impugnata sono state evidenziate la precisione del narrato e l’assenza di contraddizioni della donna, la cui credibilità era confermata dall’aver reso le dichiarazioni in questione nonostante la sua delicata situazione familiare (conviveva con i familiari del marito, benchè il padre avesse iniziato la sua collaborazione con gli organi inquirenti). Il giudice di merito ha fornito una spiegazione plausibile e logicamente coerente circa il rilievo difensivo relativo al mancato ritrovamento della sostanza stupefacente nel corso della perquisizione eseguita dagli operanti, osservando che non erano stati effettuati scavi nel posto indicato dalla C. e aggiungendo che, anche se la teste non era stata in grado di accertarne il contenuto, le descritte modalità di occultamento del sacchetto trasparente e la circospezione delle persone indicate rendevano credibile che l’involucro contenesse droga. Del tutto immotivata risulta, infine, a parere della Corte, l’addotta inconferenza del contenuto delle dichiarazioni di C.R. in ordine al thema probandum, poichè l’episodio riferito dalla teste riguardava la disponibilità e l’occultamento da parte di due degli imputati ( V.A. e T.V.) di un quantitativo non indifferente di sostanza stupefacente in una pertinenza dell’abitazione dei T..

Il giudice di appello ha ritenuto, infine, decisive le dichiarazioni, anche autoaccusatorie, dell’altro collaboratore di giustizia M. G.M., soggetto che era stato inserito nell’organizzazione criminale facente capo alla famiglia Torcasio e che aveva riferito in modo specifico sul traffico di droga svolto all’interno della cosca e sui ruoli di ciascuno nell’ambito dell’organizzazione, coinvolgendo specificamente G.P., T.V. e V.A. ed esponendo in maniera dettagliata le modalità con le quali le sostanze stupefacenti venivano spacciate, anche con riferimento a singoli episodi dei quali il dichiarante era venuto a conoscenza nella sua qualità di aderente al sodalizio. Anche tali dichiarazioni possono assumere rilievo probatorio, a condizione che siano supportate – come nel caso in esame – da validi elementi di verifica in ordine al fatto che la notizia riferita costituisca oggetto di patrimonio conoscitivo comune, derivante da un flusso circolare di informazioni attinenti a fatti di interesse comune per gli associati, in aggiunta ai normali riscontri richiesti per le propalazioni dei collaboratori di giustizia (Cass. sez. 1^ 10 maggio 1993, n. 11344, Algranati; sez. 5^ 22 settembre 1998, n. 5121, Di Natale; sez. 6^ 2 novembre 1998 n. 1472, Archesso; sez. 5^ 10 aprile 2002, n. 24711, Condello; sez. 1^ 26 gennaio 2006, n. 11097, Termini; sez. 2^ 20 gennaio 2009 n. 6134, Botta).

Deve, pertanto, ritenersi che il giudice di rinvio abbia compiuto un’attenta e seria analisi delle emergenze processuali, vagliando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in maniera rigorosa secondo la regola valutativa posta dall’art. 192 c.p.p., comma 3, in particolare verificando e ricercando un "ragionevole equilibrio di coerenza e qualità" delle dichiarazioni del C. e del M. nel contesto di tutti gli altri fatti narrati (anche relativamente ai soggetti originariamente coimputati), esaminando criticamente i fatti che avrebbero potuto in ipotesi minare l’attendibilità soggettiva (la ritrattazione nel processo "Primi Passi" da parte del C.) attraverso una pregnante attività di ricerca degli elementi di riscontro che ha consentito una valida ed esauriente valutazione di credibilità estrinseca di entrambi i dichiaranti.

Quanto alla ritenuta sussistenza del reato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, nella motivazione della sentenza impugnata sono stati indicati, con puntuali riferimenti alla giurisprudenza di legittimità in tema di reato associativo, gli elementi che consentivano nel caso concreto di ritenere che gli imputati, al di là della loro partecipazione a singoli episodi di spaccio, fossero inseriti in un’organizzazione stabile, consolidata anche da vincoli parentali e operante nell’orbita della cosca mafiosa dei Torcasio, con ripartizione di ruoli tra loro interscambiabili e comune predisposizione di mezzi di finanziamento per la realizzazione del traffico di sostanze stupefacenti e l’apprestamento di una rete di assistenza per i familiari dei detenuti. Tale conclusione è stata adeguatamente giustificata sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (i quali avevano chiarito "senza contraddizioni o incertezze come il traffico di droga fosse una delle attività principali della cosca, alla quale partecipavano tutti i componenti, con ruoli interscambiabili, in una comune prospettiva di ulteriore arricchimento e rafforzamento dell’"organizzazione") e di una serie di convergenti elementi di riscontro, analizzati distintamente (intercettazioni ambientali, esiti delle indagini di polizia giudiziaria che avevano condotto ad arresti in flagranza di reato e al sequestro di notevoli quantitativi di sostanze stupefacenti), che per la loro molteplicità e consistenza hanno contribuito a fondare l’affermazione di responsabilità su un complesso probatorio del tutto affidabile.

In ordine alla pretesa violazione dell’art. 238 bis c.p.p., la Corte rileva che non risulta che la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, di cui è allegata copia al ricorso per cassazione, sia stata acquisita (dagli atti in possesso di questa Corte non risulta l’acquisizione emergendo dai verbali del giudizio di rinvio, segnatamente dal verbale dell’udienza svoltasi il 7 dicembre 2007. soltanto che i difensori si riservavano di produrre copia della sentenza riguardante gli originari coimputati; nel ricorso non si fa menzione della data in cui la sentenza sarebbe stata acquisita, nè l’acquisizione poteva essere avvenuta nel precedente giudizio di appello, definito con la sentenza emessa il 30 novembre 2004, quindi in data antecedente a quella della sentenza del Tribunale di Lamezia Terme allegata al ricorso). Peraltro l’art. 238 bis c.p.p. prevede che le sentenze divenute irrevocabili sono acquisite ai fini della prova dei fatti in esse accertati e sono valutate a norma dell’art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3. Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 6^ 12 novembre 2009 n. 47314, Cento; sez. 3^ 13 gennaio 2009 n. 8823, sez. 2^ 13 novembre 2008 n. 45153, Uccisero;

Calarella; sez. 6^ 30 settembre 2008 n. 42799, Campesan; sez. 1^ 16 novembre 1998 n. 12595, Hass) la sentenza divenuta irrevocabile ed acquisita come documento non ha quindi efficacia vincolante, ma va liberamente apprezzata dal giudice unitamente agli altri elementi di prova, al pari delle dichiarazioni dei coimputati nel medesimo procedimento o in procedimento connesso, attraverso la verifica dei necessari riscontri che possono consistere in elementi di prova sia rappresentativa che logica. In particolare questa Corte ha affermato il principio che l’acquisizione in funzione probatoria della sentenza pronunciata sulla medesima vicenda nei confronti del coimputato, divenuta irrevocabile, non esime il giudice del processo ad quem sia dal dovere di accertare la veridicità dei fatti ritenuti dimostrativi e rilevanti rispetto all’oggetto della prova, fatta salva in ogni caso la facoltà dell’imputato di essere ammesso alla prova del contrario, sia dal dovere di acquisire, su richiesta del pubblico ministero e nel contraddittorio tra le parti, gli elementi di prova che confermino la dedotta veridicità (Cass. sez. 2^ 28 febbraio 2007 n. 16626, Guarnirei; sez.IV 29 marzo 2006 n. 13542, Ragaglia). Nella sentenza impugnata l’indicazione dei numerosi e significativi elementi di responsabilità in ordine al reato associativo supererebbe pertanto il rilievo difensivo, comunque del tutto generico, relativo alla prospettata violazione dell’art. 238 bis c.p.p..

Anche il ricorso presentato nell’interesse del solo imputato V. è infondato.

Il primo motivo è infondato in quanto il ricorrente non considera che il giudice di rinvio, pur mantenendo integri nel nuovo giudizio tutti i poteri di accertamento e di valutazione in fatto, ove non prospetti una questione di costituzionalità della norma applicata dalla Corte di cassazione con la statuizione del principio di diritto nell’interpretazione della stessa data, deve ad essa conformarsi (Cass. sez. 6^ 9 gennaio 2009 n. 4546, Sassi; sez. 4^ 14 ottobre 2003 n. 43720, Colao).

Il secondo motivo è generico e, in parte, infondato.

Generico è infatti il rilievo difensivo concernente il contenuto delle conversazioni intercettate riportate nella motivazione della sentenza impugnata in cui si prescinde dallo specifico riferimento alla parola "coca" che, secondo il ricorrente, non figurerebbe dalla trascrizione delle conversazioni intercettate eseguita in forma peritale. Il giudice di rinvio, del resto, ha compiuto un’analitica disamina delle conversazioni intercettate senza mai far specifico riferimento alla menzione della parola "coca" da parte degli interlocutori, menzione che comunque non sarebbe stata determinante per individuare l’oggetto dei colloqui captati.

Le doglianze relative alla valutazione della credibilità intrinseca dei collaboratori di giustizia C.D. e M. G.M. sono infondate. Si è già detto, nell’esaminare le doglianze di identico contenuto del ricorso presentato nell’interesse di tutti gli imputati, che la Corte territoriale ha compiuto una verifica completa e affidabile della credibilità soggettiva dei dichiaranti e della intrinseca attendibilità delle loro dichiarazioni nonchè una completa individuazione dei riscontri oggettivi. Va infatti ribadito che anche "l’accertata falsità su di uno specifico fatto narrato non può comportare, in modo automatico, l’aprioristica perdita di credibilità di tutto il compendio conoscitivo-narrativo dichiarato dal collaboratore di giustizia, posto che rientra nei compiti del giudice la verifica e la ricerca di un punto di "ragionevole equilibrio di coerenza e qualità" di ciò che viene riferito, nel contesto di tutti gli altri fatti, avendo ben presente, come carattere discretivo, che l’imprescindibile esigenza del riscontro si pone in termini inversamente proporzionali alla pesata e vagliata attendibilità soggettiva del chiamante in reità o correità" (Cass. sez. 6^ 9 marzo 2010 n. 14909, Conti Taguali).

Peraltro nel caso in esame il ricorrente non ha adempiuto all’onere di indicare puntualmente al giudice di legittimità le parti delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia C.D. e M. che, essendo collegate con le dichiarazioni degli stessi ritenute false o ritrattate, risultassero capaci di far ritenere infondate anche le dichiarazioni attinenti alle vicende del ricorrente V..

Quanto infine alla tardività delle dichiarazioni accusatorie del M. nei confronti del V., la Corte osserva che la doglianza si presenta del tutto generica e che, comunque, la sanzione di inutilizzabilità della prova, prevista per le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia dopo il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare, opera esclusivamente nel dibattimento, trattandosi di dichiarazioni utilizzabili nella fase delle indagini preliminari ai fini dell’emissione di misure cautelari personali e reali, oltre che nell’udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (Cass. sez. Un. 25 settembre 2008 n. 1149, Magistris; n. 150, Correnti; n. 1151, Petito). Nel caso in esame la sentenza di primo grado è stata emessa a seguito di giudizio abbreviato.

Al rigetto del ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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