Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-04-2011) 20-06-2011, n. 24589 Riesame Sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con decreto del 22.11.2010, il PM presso il Tribunale di Siracusa disponeva il sequestro probatorio delle scritture contabili relative alla cessione di un ramo di azienda nell’ambito di un procedimento per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinques.

Pronunciando sulla richiesta di riesame proposta dall’interessato, il Tribunale di Siracusa, in funzione di giudice del riesame, rigettava l’istanza, confermando l’impugnato decreto.

Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore del M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.

2. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, sul rilievo che la competenza ad adottare il provvedimento cautelare sarebbe spettata al PM di Catania, DDA, per ragioni di competenza funzionale.

Il secondo motivo deduce identico vizio di legittimità in relazione all’art. 414 c.p.p., sul riflesso che il decreto in esame era stato adottato sulla base di indagini eseguite dal PM dopo l’archiviazione di un procedimento a carico di D.B. per il reato di cui all’art. 12 quinquies senza il necessario decreto di riapertura delle indagini.

Il terzo motivo deduce identico vizio di legittimità in relazione all’art. 309 c.p.p. per inosservanza del termine prescritto dalla stessa norma per la trasmissione degli atti. Il quarto motivo deduce identico vizio di legittimità con riferimento all’art. 12 quinquies ed artt. 1322 e 2560 c.c. e per contraddittorietà od illogicità di motivazione, con riferimento ad un comune – e del tutto lecito – negozio di cessione di ramo di azienda, peraltro per un prezzo congruo ed effettivamente corrisposto.

3. – Ovvie ragioni di ordine logico-giuridico inducono ad esaminare in primis le questioni che attengono a pregiudiziali profili di rito.

Al riguardo, va subito colta la palese infondatezza della censura che sostanzia il terzo motivo, relativa alla mancata declaratoria di inefficacia della misura cautelare, a cagione dell’asserita, omessa, trasmissione degli atti al tribunale del riesame nel termine prescritto dall’art. 309, comma 5. E’ sufficiente, sul punto, il richiamo ad indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice nella sua più autorevole espressione, secondo cui la perdita di efficacia della misura cautelare reale non ha luogo in caso di mancata trasmissione degli atti al tribunale del riesame, da parte dell’autorità procedente, entro il quinto giorno dall’istanza, non essendo richiamato, nell’art. 324 c.p.p., comma 1, il precedente art. 309, comma 5, che prevede il predetto effetto caducatorio per le misure cautelari personali (cfr. Cass. Sez. Un. n. 25932 del 29.5.2008, rv. 239698; cfr. pure, S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto).

Con riferimento alla seconda doglianza, relativa all’eccepita violazione dell’art. 414 c.p.p., sul rilievo che il decreto in esame era stato adottato sulla base di indagini eseguite dal PM di Siracusa dopo l’archiviazione di un procedimento a carico di D. B. per identico reato di cui all’art. 12 quinquies senza il necessario decreto di riapertura delle indagini, si rende opportuna, per una compiuta intelligenza della stessa censura, una sintetica puntualizzazione dei termini della vicenda sostanziale.

– La s.r.l. DAMEN si era aggregata, in associazione temporanea d’imprese (ATI), ad altre due società, la COEDMAR srl e la SICS s.r.l., per partecipare all’appalto per l’aggiudicazione dei lavori di riqualificazione funzionale delle banchine del porto grande di Siracusa. Costituitosi per legge in società consortile (Porto Grande soc.cons. a.r.l.), il raggruppamento di imprese aveva vinto la gara di appalto, aggiudicandosi le opere pubbliche.

– A seguito di segnalazioni della p.g., che adombravano infiltrazioni mafiose, a cagione della presenza nella compagine societaria della DAMEN di familiari di D.B., condannato con sentenza definitiva per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., poi divenuto collaboratore di giustizia,, la DDA di Catania (alla quale il PM di Siracusa aveva trasmesso gli atti per competenza) aveva ritenuto che alla relativa partecipazione potesse essere sottesa la finalità elusiva di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, integrando, con la correlata quota di partecipazione alla società consortile, un’ipotesi di interposizione fittizia, volta a consentire l’elusione delle disposizioni in tema di misure di prevenzione patrimoniali. Il relativo procedimento (recante il nr. 6022/09 R.G.N.R. a carico di D.B. +6) era stato però archiviato dal GIP del Tribunale di Catania, su conforme richiesta dello stesso PM, sul rilievo che la documentazione in atti e le risultanze investigative consentissero di escludere l’"esistenza di intestazioni fittizie e, comunque, consentissero di escludere che le partecipazioni societarie in esame fossero finalizzate allo scopo elusivo anzidetto.

– Nel frattempo, la DAMEN, non ritenendo più conveniente, per varie ragioni congiunturali, la sua partecipazione all’esecuzione dell’opera pubblica, aveva deciso di vendere il ramo di azienda ad altra società, migliore offerente. A quel punto, la SICS srl, anche per evitare l’ingresso in consorzio di soggetto non conosciuto, aveva deciso di acquisire essa stessa il ramo di azienda della consociata, perfezionando l’acquisto con formale atto di vendita del 30.10.2009.

– Anche sul presupposto che il corrispettivo della cessione fosse del tutto inadeguato rispetto al valore globale della commessa (Euro 150.000 rispetto ad oltre Euro 31 milioni), gli inquirenti avevano ritenuto che tale fatto, non considerato nelle precedenti indagini, fosse a sua volta configurabile come atto di interposizione rilevante ai fini della L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies e, all’uopo, il PM di Siracusa aveva avviato un distinto procedimento per tale ipotesi di reato, nell’ambito del quale aveva anche disposto il sequestro probatorio delle scritture contabili della SICS, di cui oggi si discute.

Questi i termini della vicenda sostanziale e processuale, risulta davvero ineccepibile l’assunto del giudice del riesame, secondo cui l’anzidetta cessione fosse ipoteticamente configurabile come nuovo fatto di reato (consumatosi in data successiva al decreto di archiviazione), che avrebbe dovuto essere valutato del tutto autonomamente rispetto a quello oggetto di archiviazione, di guisa che non era necessario, secondo la stessa ricostruzione offerta dal giudice del riesame, ai fini della riapertura delle indagini, un apposito decreto autorizzatorio del giudice ai sensi dell’art. 414 c.p.p..

Restano da esaminare gli ultimi due motivi di ricorso, il primo riguardante la pretesa violazione dell’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, sul rilievo che il PM che aveva disposto il sequestro probatorio non era competente, trattandosi di reato rientrante nella sfera di competenza della DDA di Catania; ed il quarto, afferente alla contestata ipotizzabilità del reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al citato L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies con riguardo all’atto negoziale in esame, concernente, per quanto si è detto, la cessione del ramo di azienda.

Pur se il carattere processuale della prima censura ne reclamerebbe l’esame prioritario è indubbio che l’inscindibile legame che avvince le due questioni consente di derogare a tale elementare regola metodologica, essendo evidente che, in tanto può ipotizzarsi l’incompetenza del PM procedente, in quanto sia dato ritenere che il fatto contestato sia realmente riconducibile al paradigma dell’art. 12 quinquies, la cui astratta configurabilità varrebbe, così, a radicare la competenza funzionale del PM catanese, a mente della richiamata disposizione processuale, impregiudicata l’ulteriore questione del riflesso dell’eventuale – e consequenziale – incompetenza del PM sul versante della legittimità od efficacia del provvedimento di sequestro probatorio adottato.

In proposito è pacifico, per indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice, che in sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale è chiamato a verificare l’astratta sussistenza del reato ipotizzato, valutando quindi il fumus commissi delicti sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3, n. 33873 del 7.4.2006, rv. 234782; cfr., pure id. sez. 2, 27.9.2004, n. 44399, rv. 229899, secondo cui in sede di riesame del sequestro probatorio, il controllo circa l’esistenza del "fumus commissi delicti" deve riguardare la sussistenza dei presupposti che giustificano il sequestro, tenendo conto sia delle prospettazioni del P.M., che delle contestazioni difensive riguardanti l’ipotesi di reato dedotta). La necessità di una siffatta verifica è, del resto, postulata dallo specifico obbligo dello stesso giudice del riesame di motivare in ordine alla sussistenza della concreta finalità probatoria (perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti), del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato (cfr. Sez. Un. n. 5876 del 28.1.2004, rv 226713), essendo sin troppo evidente che la rappresentazione argomentativa delle finalità probatorie del sequestro di un corpo di reato presupponga, di necessità, che sia ragionevolmente ipotizzabile il reato al quale quel corpo si riferisca.

Orbene, sul punto della verifica anzidetta, l’esame del giudice del riesame appare del tutto insufficiente e, comunque, inidoneo a dare contezza delle ragioni per le quali un atto dispositivo, all’apparenza lecito, quale la cessione di un ramo di azienda, possa fondatamente ritenersi strumento di mera apparenza giuridica capace di dissimulare non già una finalità illecita quale che sia, ma quella specifica dell’elusione della normativa in tema di misure di prevenzione patrimoniali.

La patente illogicità delle sintetiche spiegazioni offerte dal giudice del riesame balza ancor più evidente alla stregua della stessa situazione di fatto recepita nel provvedimento impugnato, in rapporto a quanto si era in precedenza verificato. Ed infatti, nell’ambito di distinto procedimento gli inquirenti avevano escluso che alla partecipazione di familiari del D. alla DAMEN fossero sottese finalità elusive delle norme in tema di prevenzione, tanto da avanzare richiesta di archiviazione, puntualmente accolta dal GIP catanese. Di talchè, non è affatto chiaro in che modo quelle finalità elusive, dapprima escluse (sia pure con provvedimento istituzionalmente inidoneo alla definitività) possano essere riemerse in un atto dispositivo della stessa cedente (rispetto alla quale era stata già positivamente collaudata la mancanza di infiltrazioni mafiose) in favore di società cessionaria, facente parte dello stesso raggruppamento di imprese, e quali ragioni inducano ragionevolmente ad ipotizzare che il M., amministratore della cessionaria, possa essere d’un tratto divenuto terzo partecipe del meccanismo elusivo della fittizia attribuzione, facendosi destinatario consapevole di istanze ed interessi mafiosi.

In un’astratta prospettiva di accusa non pare possa essere significativo il riferimento alla pretesa incongruità del corrispettivo di vendita, stante il carattere neutro di siffatta evenienza (diversamente andrebbero guardate con sospetto – in logica penalistica – tutti i casi di conclamata sproporzione, in ambito civilistico, nel rapporto sinallagmatico, tale da legittimare l’esercizio dell’azione di rescissione di cui all’art. 1448 c.c. o tutte le altre situazioni giuridiche in cui rileva una lesione di interessi giuridicamente apprezzabile). Non è neppure corretto valutare la pretesa incongruenza in rapporto al valore complessivo della commessa (che, peraltro, sarebbe stato indicato in misura doppia rispetto al reale corrispettivo dell’appalto), dovendo piuttosto stimarsi il ramo di azienda in sè, con riferimento al valore delle sue componenti strutturali ed al valore economico intrinseco anche in rapporto alla proiezione di redditività legata all’ipotesi del mantenimento nel programma di esecuzione dell’opera pubblica appaltata, ovviamente per la parte dei lavori ad essa spettante. Nè risultano esaminate le obiezioni difensive relative all’effettiva erogazione del prezzo pattuito ed alla sua destinazione non già ai soci della società cedente, mai ai creditori sociali, stante la sofferenza patrimoniale e finanziaria della stessa società che ne avrebbe determinato il fallimento.

4. – Le rilevate insufficienze ed manifeste illogicità inficiano il tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, comportandone annullamento, che va, dunque, dichiarato nei termini di cui in dispositivo, affinchè il competente giudice di rinvio proceda a nuovo esame della vicenda, tenendo conto dei rilievi difensivi ed anche della documentazione quest’oggi depositata dalla difesa.
P.Q.M.

Annulla l’impugnato provvedimento con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Siracusa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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