Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-05-2011) 20-06-2011, n. 24548

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

IALANELLA Antonio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

L.P. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella resa di primo grado resa in esito a giudizio abbreviato, lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 detenzione a fini di cessione di cocaina, con il riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità, ritenuta equivalente alla contestata recidiva, e della riduzione per il rito, condannandolo alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 12.000 di multa.

Per la condanna sono stati valorizzati, la relazione di servizio dei Carabinieri, i quali avevano notato che il L., alla loro vista, si era disfatto di "un qualcosa", che, recuperato dagli operanti, era risultato essere un involucro di carta stagnola contenente cocaina per un peso netto di circa 4,30 gr. con percentuale di principio attivo pari al 50, 3%, le dichiarazioni rese da una persona indicata come acquirente della sostanza stupefacente nonchè il possesso da parte del L., tossicodipendente e senza fissa dimore, della somma di Euro 350.

Con il ricorso, con i primi due motivi, si contesta il giudizio di responsabilità, sostenendosi che gli elementi fattuali avrebbero dovuto deporre per la destinazione all’uso personale, anche alla luce della inattendibilità della testimone, che si assume legata da rapporti sentimentali con l’imputato, tenuto anche conto che la perquisizione operata sulla persona dell’imputato nella immediatezza dei fatti dava esito negativo.

Con il terzo motivo si contesta la ravvisata provenienza illecita della somma di denaro, sostenendosi che in atti emergeva la qualifica di "muratore" del prevenuto, tale da consentire di ricondurre tale denaro all’attività svolta.

Con il quatto si lamenta l’entità della pena irrogata, sostenendosi che doveva escludersi la recidiva e ritenersi la continuazione con altro episodio, per fatti analoghi, separatamente giudicato, che il giudice di secondo grado aveva escluso apprezzando il lasso temporale intercorso (otto mesi), tra l’altro caratterizzato da un periodo di detenzione, e affermando la non identificabilità tra l’unicità del disegno criminoso e il generico modus vivendi.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Quanto ai primi due motivi, connessi, con cui si contesta l’affermazione di responsabilità, sostenendosi che mancherebbe la prova della destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio, giova rilevare che trattasi di motivi diversi da quelli consentiti, prospettando censure di stretto merito che in realtà mirano alla rivalutazione del materiale probatorio, preclusa in questa fase di legittimità.

Del resto, la corte di appello ha affrontato puntualmente il punto afferente la destinazione anche solo parziale, in ragione del preteso stato di tossicodipendente del prevenuto della droga allo spaccio piuttosto che all’uso personale esclusivo e lo ha risolto in senso confermativo dell’apprezzamento conforme del primo giudice di merito, attraverso il richiamo alla quantità ed al principio attivo della stupefacente, attraverso un’attenta disamina delle dichiarazioni dell’acquirente ed un’altrettanto attenta considerazione della valenza indiziaria del ritrovamento di una somma di denaro non spiegata in modo credibile quanto ad una possibile provenienza lecita, in ragione della non dimostrata attività lavorativa lecita.

Il giudice neppure si è sottratto dal valutare, in questo quadro, l’esito negativo della perquisizione, ritenuto non tale da elidere la valenza dimostrativa degli altri elementi di cui si è detto.

Vale allora il principio in forza del quale, in tema di ricorso per cassazione, allorquando si prospetti il difetto di motivazione, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non consente certamente alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (Sezione 6^, 6 maggio 2009, Esposito ed altro).

E vale, ancora, nello specifico, l’altro principio in forza del quale, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, va effettuata dal giudice di merito, tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (Sezione 6^, 6 maggio 2009, Meneghino). Condizioni qui mancanti in ragione dell’ampio sforzo motivazionale offerto in sentenza.

Anche il terzo motivo non può trovare accoglimento. Valgono le indiche considerazioni sopra sviluppate. A ben vedere, il ricorrente vorrebbe qui introdurre la questione di fatto circa la provenienza della somma di denaro, su cui non solo il giudicante si è ampiamente soffermato, ma risulta chiaramente improponibile sottoporre alla Corte di legittimità una diversa versione di fatto, articolata, tra l’altro, in modo inconferente che il prevenuto di mestiere possa avere svolto l’attività di muratore, ciò di per sè nulla dice circa la provenienza della somma dallo svolgimento di tale attività.

Anche l’ultimo motivo è manifestamente infondato. Il giudice di merito ha spiegato le ragioni per cui doveva affermarsi la sussistenza della recidiva e non poteva accedersi all’unificazione dei fatti sotto il vincolo della continuazione.

Sotto il primo profilo, il giudicante ha dato conto, rispetto alla non obbligatorietà della recidiva, delle ragioni per cui, nello specifico, questa doveva essere ritenuta, sul rilievo incensurabile che il fatto sub iudice doveva ritenersi manifestazione della pericolosità soggettiva, sia per la sua obiettiva gravità, sia in ragione proprio della personalità del prevenuto.

Il giudice, quindi, con motivazione satisfattiva, ha fatto applicazione corretta del principio secondo cui, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 (cosiddetta legge ex Cirielli), la recidiva reiterata ex art. 99 c.p., comma 4, non assume valenza "obbligatoria", ma può e deve essere "applicata" solo se il giudice ritenga che il nuovo episodio criminoso sia concretamente significativo sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. (di recente, Sezione 6^, 13 ottobre 2009, Proc. gen. App. Brescia in proc. Baglio).

Sotto l’altro profilo, il giudicante, con argomenti convincenti, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la ratio della più mite disciplina sanzionatoria del reato continuato sta nell’apprezzamento del minor disvalore sociale che connota più reati che non scaturiscano da altrettanti diversi progetti, ma conseguano, invece, ad un’unica determinazione criminosa che abbia, poi, informato di sè tutti i singoli e diversi reati posti in essere anche in tempi diversi. Peraltro, a tal fine non basta la generale tendenza a porre in essere determinati reati, magari della stessa specie o indole, essendo invece richiesto l’accertamento comunque dell’unicità del programma criminoso, nel contesto del quale siano stati posti in essere i singoli reati (Sezione 4^, 11 febbraio 2009, Fall).

Nella specie, quindi, non può che rigettarsi il ricorso avverso una sentenza che risulta avere evidenziato, con motivazione congrua, che le diverse condotte incriminate apparivano a ben vedere frutto di autonome risoluzioni criminose, in ragione dell’ampio lasso temporale intercorso tra loro, del periodo di detenzione che era intervenuto e del fatto che, certamente, un generico "programma di vita" dedito al delitto (anche magari per soddisfare il proprio fabbisogno di droga) non equivale ad "unicità del disegno criminoso".

Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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