Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-05-2011) 20-06-2011, n. 24543 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

GIALANELLA Antonio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

G.G. ricorre in cassazione avverso la sentenza, in data 6.08.2010, della Corte d’Appello di Palermo di conferma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale dello stesso capoluogo il 14.02.2008 in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta inapplicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 al delitto di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope. Si premette nel ricorso che i giudici del merito sono pervenuti a tale conclusione in considerazione della particolare rilevanza di uno dei beni giuridici tutelati dalla disposizione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, cioè quello della "salute pubblica". Non si è, però, tenuto conto della L. n. 19 del 1990, art. 2 che ha modificato la disposizione normativa di cui all’art. 62 c.p., n. 4 nel senso di estenderne il campo di applicazione a tutti i "delitti determinati da motivi di lucro" finalizzati a conseguire un lucro di speciale tenuità "quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità". Si argomenta, quindi, che tale estensione consente di applicare l’attenuante a tutti delitti non patrimoniali determinati da finalità lucrative, prescindendo dalla loro oggettività giuridica e attribuendo al giudice il compito di verificarne di volta in volta la compatibilità con le singole fattispecie concrete.

Dunque, anche il delitto di cui trattasi non è escluso dalla applicazione dell’attenuante in parola, benchè non sia offensivo del patrimonio, pertanto la Corte d’Appello avrebbe dovuto procedere ad una effettiva verifica dell’applicabilità dell’attenuante invocata alla fattispecie concreta, si richiama sul punto la giurisprudenza di merito del Tribunale di Milano (sentenza del 30.01.1997 nel procedimento penale a carico di Hamrouni, in Dir. Pen. e processo 1997/1249).

Con un secondo motivo si denunciano altra violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio ed, in particolare, alla misura della riduzione della pena per effetto dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Sul punto la Corte è caduta in un evidente errore laddove ha rilevato che l’appellante aveva chiesto la concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza. In effetti, era stato solo richiesto che la corte procedesse alla riduzione della pena nella misura massima, cioè di un terzo, in quanto il Tribunale, nel concedere le attenuanti previste dall’art. 62 bis cod. pen., aveva ridotto la pena in misura inferiore ad un terzo.
Motivi della decisione

I motivi addotti sono manifestamente infondati, sicchè il ricorso va dichiarato inammissibile.

Con riguardo al primo, questa Corte, con costante indirizzo giurisprudenziale (V. per tutte: Sez. 6, Sentenza n. 41758 del 13/10/2009 Cc. Rv. 245019), ha affermato che la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4, non è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti.

In particolare si è affermato che l’attenuante in parola è oggi (dopo la modifica introdotta con L. n. 19 del 1990) prevista sia per i delitti contro il patrimonio o che offendono il patrimonio, sia per i delitti – diversi dai precedenti – comunque determinati da motivi di lucro. Nel primo caso il presupposto dell’applicazione dell’attenuante è l’aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di speciale tenuità. Nel secondo caso i presupposti sono due e debbono concorrere: l’avere agito per conseguire, o l’avere comunque conseguito, un lucro di speciale tenuità e l’essere poi l’evento, dannoso o pericoloso, di speciale tenuità.

Non essendo il reato contestato un delitto appartenente alla prima tipologia, risultano erronee le argomentazioni poste a base del motivo, atteso che, in ordine all’eventuale presenza del secondo requisito (l’essere l’evento di speciale tenuità), nulla si adduce benchè fosse onere della difesa evidenziare, nella fattispecie concreta, gli elementi di fatto che avrebbero legittimato l’applicazione dell’attenuante di cui trattasi.

Per altro, è senz’altro condivisibile la motivazione sul punto dell’impugnata sentenza nel momento in cui ha evidenziato che il bene tutelato dal delitto contestato è, con preminenza su tutti gli altri, la salute della persona, in via immediata, di tal che, in tale ambito, la valutazione dell’evento dannoso in termini di "speciale tenuità" è impossibile da quantificare, essendo ignoti gli effetti che l’uso di sostanza stupefacente può aver cagionato ai cessionari, sebbene non molti, come nel caso di specie.

Quanto al secondo motivo, si osserva che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p. (da ultimo, Cass., Sez. 4A, 13 gennaio 2004, Palumbo), A ciò dovendosi aggiungere che non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (di recente, Cass., Sez. 4A, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri).

Nella specie, risulta evidente che il potere discrezionale in punto di trattamento dosimetrico, alla luce della pena inflitta, è stato dal giudice correttamente esercitato con la concessione delle attenuanti generiche, così dimostrando di aver tenuto conto degli elementi indicati nell’art. 133 c.p.. Per altro, irrilevante appare l’errore in cui è caduto il giudice d’appello nel considerare la richiesta relativa alla diminuzione al minimo della pena come richiesta di prevalenza delle concesse attenuanti generiche, in quanto, nel caso di specie, non era possibile operare tale giudizio atteso che non è stata contestata alcuna aggravante. E’ evidente che la Corte d’Appello, nel ritenere ben motivata sul punto la sentenza di primo grado, ha fatto proprio il giudizio di dosimetria della pena operato dal Tribunale. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *