Cons. Stato Sez. IV, Sent., 22-06-2011, n. 3794

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La sentenza di primo grado ha respinto il ricorso che l’odierno appellante ha proposto per ottenere l’annullamento dei diniego di ingresso opposto dall’Ambasciata Italiana a Kiev nei suoi riguardi.con provvedimento prot. n. 1613 del 3 giugno 2008.

La richiesta di visto d’ingresso era stata motivata con riferimento a soggiorni "multipli" per affari da usufruirsi nel periodo complessivo di 60 mesi ed è stata respinta traendone ragione dall’art.4 comma 6° del d.l.vo n.286/1998.

Per tale norma " Non possono fare ingresso nel territorio dello Stato………………..gli stranieri……………… segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini……………….della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali."

Il diniego in parola s’avvale anche dell’antecedente comma 4° per il quale"… In deroga a quanto stabilito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico il diniego non deve essere motivato, salvo quando riguarda le domande di visto presentate ai sensi degli articoli 22, 24, 26, 27, 28, 29, 36 e 39"; norme quest’ultimo riguardanti i dinieghi per lavoro, ricongiungimento familiare, studio universitario, cure mediche.

Parte appellante riprendendo in larga misura i motivi già esposti in primo grado, con l’appello in esame chiede la riforma della sentenza impugnata ritenendola errata sia rispetto agli argomenti con i quali sono state respinte le censure riguardanti i vizi del procedimento conclusosi con l’adozione del diniego impugnato, sia rispetto agli argomenti utilizzati per ritenere insussistenti i dedotti profili di contraddittorietà, difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio per resistere al ricorso.

Con successiva ed articolata memoria ha contro dedotto alle censure avversarie chiedendone il rigetto.

Entrambe le parti hanno depositato memorie di replica alle deduzioni avversarie.

All’udienza del 10 maggio 20011, il ricorso è stato chiamato e al termine della discussione tenuta dai difensori presenti è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato.

Com’è evidente dalla narrativa che precede la controversia all’esame s’inquadra nella disciplina interna in tema di contrasto all’immigrazione clandestina, ed in quella internazionale il cui principale riferimento è rappresentato dal Trattato di Schengen.

In merito alle censure concernenti il difetto di motivazione, e di violazione degli artt.7 e 10 bis della legge n.241/1990, in questa sede riproposte da parte appellante, il collegio non ritiene di doversi discostare dagli argomenti che il primo giudice ha utilizzato per giungere al loro rigetto.

Appare comunque opportuno osservare, per completezza, che l’insussistenza della violazione degli artt.7 e 10 bis deriva dalla considerazione che il decreto n.286/1990, come già visto, contiene una deroga che investe l’intera legge n.241 del 1990, con la conseguenza inevitabile che appare priva di pregio la pretesa di parte appellante che chiede l’applicazione di sue singole disposizioni.

Del resto la deroga si giustifica con l’esigenza di rafforzare, anche in ragione di accordi internazionali sottoscritti dal nostro Paese, gli strumenti di contrasto verso i fenomeni di immigrazione clandestina, specie quando nascono da una attività organizzata; esigenza che necessariamente determina l’attenuazione delle garanzie partecipative invocate da parte appellante.

Sulla stessa linea argomentativa si pone l’esonero, recato dalla riportata normativa nazionale, dall’obbligo della motivazione del provvedimento di diniego di visto quando vi sia rischio per la sicurezza e l’ordine pubblico, chiaro essendo che l’adempimento di tale obbligo potrebbe in questi casi comportare la conoscenza di circostanze e fatti collegati ai detti fenomeni, da cui potrebbe derivare la compromissione di delicate indagini che debbono invece rimanere necessariamente segrete onde assicurarne il buon esito.

In tale quadro normativo nazionale ed internazionale, emerge anche la manifesta infondatezza della q.l.c. sollevata, peraltro solo in questa sede, da parte appellante per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. degli artt.21 octies comma 2° l.n.241/1990, e 4 co.2° d.lgs. 286/1998, quali fonte di un trattamento discriminatorio e che limita il diritto di difesa degli stranieri in violazione degli artt. 3 e 24 Cost..

Al riguardo appare sufficiente aggiungere a quanto in precedenza osservato in merito alla finalità delle norme sul contrasto all’immigrazione clandestina, che l’esonero a favore dell’Amministrazione dall’obbligo di motivazione dei provvedimenti di diniego di visto, non si traduce in ogni caso in una minor tutela nel processo, permanendo l’obbligo dell’amministrazione di produrre anche su ordine del giudice tutta la documentazione su cui detto diniego si fonda, e sulla quale la parte può articolare liberamente la difesa delle proprie ragioni.

Nella fattispecie, per quanto è emerso dagli atti di causa, le ragioni che hanno supportato il diniego del visto d’ingresso nel nostro Paese a parte appellante possono riassumersi come segue;

a) è stato chiesto il visto "per affari", ma parte appellante non ha mai dato la prova di organizzare attraverso la Società di cui è titolare trasporti merci, né a mai chiarito di quali merci si trattasse;

b) parte appellante è stato coinvolta in episodi di traffico organizzato di immigrazione clandestina;

c) non rileva che, prima dell’adozione del provvedimento impugnato e per anni, il Ministero degli Esteri abbia sempre rilasciato a parte appellante il visto d’ingresso, in questo modo fornendo indiretta conferma che non sussiste in realtà nei suoi confronti alcun rischio per la sicurezza e l’ordine pubblico.

Quanto al primo rilievo (lett.a) sembra al collegio che gli stessi documenti prodotti da parte appellante confermino l’assunto dell’indimostrato svolgimento di attività commerciale considerato che essi non consistono in documenti, per lo più di natura fiscale, che necessariamente debbono essere elaborati in ragione di tale attività secondo la norme nazionali, bensì in mere dichiarazioni di terzi descrittive dei rapporti commerciali intrattenuti con la società di cui parte appellante è titolare.

In merito al secondo dei motivi di diniego sopra descritti (lett.b) si oppone che i fatti che hanno formato oggetto delle due relazioni della Questura di Treviso e della Questura di Ancona si sono verificati in anni lontani (1999) e che i procedimenti penali connessi a tali fatti di immigrazione clandestina si sono conclusi, per quanto interessa parte appellante, con un decreto di archiviazione.

Il giudice di prime cure, a quest’ultimo riguardo, ha rilevato che tali esiti del procedimento penale non potevano vincolare l’Amministrazione non essendosi risolti in un accertamento di merito pienamente assolutorio.

Tale avviso viene condiviso dal collegio anche in ragione del fatto che l’archiviazione con la quale s’è concluso il procedimento penale riferito dal Questore di Treviso è intervenuta per prescrizione, e non per accertamento preliminare dell’estraneità ai fatti di parte appellante.

Sotto quest’ultimo aspetto non è irrilevante aggiungere che le gravi condanne inflitte a coloro che sono stati coinvolti negli stessi fatti e quindi nello stesso procedimento, di cui la stessa parte appellante dà conto al fine di differenziare sul piano della responsabilità penale la sua condotta, in realtà pongono le condizioni per la condivisione dell’ulteriore argomento esposto dal primo giudice al fine di escludere l’illegittimità dell’impugnato diniego di visto.

E ciò dove fondatamente, ad avviso del collegio, si sottolinea che "l’esercizio non oculato ed improvvido dell’attività di organizzazione del viaggi (unica alternativa ipotizzabile al doloso coinvolgimento nei reati contestati) è oggettivamente idoneo a costituire un serio pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione alla corretta possibilità d’ingresso nel nostro Paese e, più in generale, nell’area Schengen di una grande quantità di cittadini stranieri che non ne hanno titolo il che, di per sé solo, giustifica la legittimità sostanziale del provvedimento impugnato."

Quanto al fatto che le vicende a rilevanza penale narrate si sono verificate circa dieci anni prima dell’adozione della determinazione del Ministero degli Esteri per cui è causa è sufficiente rilevare, al fine d’evidenziare l’irrilevanza dell’aspetto in esame, che l’archiviazione per i fatti relazionati dalla Questura di Treviso insorti nel periodo 19992000, è intervenuta soltanto il 12 aprile del 2007, mentre il provvedimento di diniego è dello stesso mese dell’anno successivo.

Infine, del pari irrilevante sotto il profilo della dedotta contraddittorietà è la censura fondata sul rilascio in anni precedenti, e per numerose volte, dei visti d’ingrasso da parte del Ministero degli Esteri.

Anche in tal caso la replica a tale argomento di parte appellante appare correttamente ricavabile da un aspetto specifico di non poco rilievo giacchè utile ad evidenziare che la censura pone sullo stesso piano fattispecie diverse.

Infatti, mentre il diniego impugnato ha riguardato una domanda di visto d’ingresso per affari da valere per un periodo di cinque anni, i precedenti visti d’ingresso per affari ottenuti da parte appellante, come sottolinea l’Amministrazione appellata, sono stati rilasciati sei volte e nell’arco di dieci anni.

L’appello in conclusione deve essere respinto, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del grado che si liquidano in complessivi euro 3.000,00, oltre agli accessori previsti dalla legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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