Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-04-2011) 20-06-2011, n. 24593

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione B.C. sia personalmente che a mezzo del difensore avv. Chiapperò, avverso l’ordinanza, in data 7 ottobre 2010, emessa dalla Corte di appello di Venezia, ordinanza con la quale è stata dichiarata la inammissibilità della richiesta di revisione della condanna emessa a suo carico dalla Corte di assise di appello di Brescia con sentenza del marzo 2000 (definitiva il 23 gennaio 2001 a seguito di rigetto del ricorso per cassazione).

La condanna alla pena di trenta anni di reclusione era intervenuta in relazione alla imputazione di duplice omicidio volontario di L. G. e M.B., consumato la sera del (OMISSIS).

La Corte di Venezia aveva osservato che era manifestamente infondata la richiesta di revisione, fondata essenzialmente su due "prove nuove" non capaci però di porre seriamente in discussione il quadro probatorio già delineato. La Corte, cioè ripercorreva la ricostruzione degli eventi come accreditata nelle sentenze e ricordava che la responsabilità del B. era stata ritenuta essenzialmente in ragione del rinvenimento, anche ravvicinato, di tracce di sangue tanto di una delle vittime quanto sue proprie nel teatro dell’omicidio. Era inoltre stato appurato che il prevenuto aveva lesioni alle mani, compatibili con l’azione della lama del coltello che l’assassino aveva utilizzato per sgozzare le due vittime.

Tanto premesso, la Corte di Venezia passava ad esaminare, nella prospettiva della prodromica valutazione sulla ammissibilità della domanda di revisione, le due prove nuove dedotte dall’interessato: da un lato la emissione (peraltro risalente al (OMISSIS)) di un decreto di archiviazione nei riguardi di tale I., ossia del soggetto che, nelle sentenze, era stato indicato come il possibile favoreggiatore dell’assassino, al quale aveva fornito una maglietta di ricambio onde consentirgli di cambiare la propria, sporca di sangue, e presentarsi ai Carabinieri a raccontare della aggressione ai coniugi L. ad opera di ignoti. Ebbene lo I., la cui posizione era stata devoluta dai giudici al PM per quanto di competenza, aveva visto, come detto, archiviare il procedimento a proprio carico.

Inoltre la difesa aveva prodotto, a supporto della richiesta di revisione, una nuova indagine medico legale effettuata dal prof. P., già consulente dell’imputato nel processo: in base alle nuove metodologie a disposizione il consulente era pervenuto a dimostrare:

a) che una delle vittime, il L., era stata colpita da un soggetto mancino mentre l’altra da un soggetto destrimane: erano dunque due le persone con volontà omicida presenti sulla scena del delitto;

b) che la donna sarebbe morta prima dell’uomo;

c) che le lesioni sulla mano del B. erano di tipo difensivo.

Alle dette prove nuove erano da aggiungere sei deposizioni testimoniali e documenti che avrebbero potuto chiarire come il movente individuato nelle sentenze (un conflitto economico) era errato in quanto il B. godeva di una florida situazione economica.

Ebbene la Corte affermava che tutti gli elementi fin qui ricordati o costituivano la riedizione di circostanze già valutate nelle sentenze di primo e secondo grado nonchè in quella della Cassazione o nulla aggiungevano al chiarissimo quadro già venutosi a delineare nella sede propria.

Deducono il ricorrente e il suo difensore la nullità del provvedimento impugnato in quanto emesso nella forma della declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza, violando però il limite tracciato per tal genere di provvedimenti dall’art. 634 c.p.p..

Si tratta invero di una valutazione che, per rimanere nei limiti dell’apprezzamento sulla ammissibilità, deve essere a carattere astratto e non in concreto, come invece fatto dalla Corte di merito.

Ed invece diversamente si erano regolati i giudici di Venezia i quali avevano liquidato la prova rappresentata dall’archiviazione della posizione dello I. rilevandone la irrilevanza perchè attinente ad un fatto successivo al delitto. Era vero invece che nella sentenza della Corte di appello di Brescia la collaborazione dello I. aveva assunto un ruolo assai importante perchè si potesse affermare che l’imputato era stato posto in grado, dopo il delitto, di distruggere gli indizi più importanti prima di presentarsi agli inquirenti.

Lo I. era cioè il soggetto che, secondo i giudici della condanna, ma anche secondo quelli della revisione, aveva consentito per primo il detto inquinamento probatorio fornendo al B. la maglia di ricambio con la quale sostituire quella imbrattata di sangue.

Se ne doveva inferire che il ragionamento della Corte veneziana era penetrato nel merito della valutazione delle prove e non era confacente con il limite di "astrattezza" proprio della sede della valutazione sulla ammissibilità della richiesta di revisione.

Sulla nuova prova costituita dalla consulenza del Pof. P., poi, la Corte di Venezia si era spinta fino a formulare evidenti valutazioni di merito quali quella sulla presenza, sulle mani del B., non di una ferita (rispetto alla quale si richiede l’accertamento della natura "difensiva") ma di due distinte ferite sulla mano destra e di una ferita sulla mano sinistra, che dimostrerebbero la irrilevanza del nuovo rilievo del consulente.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

In data 18 aprile 2011 è stata presentata una memoria di replica nella quale i difensori hanno chiesto, tra l’altro, la applicazione, in favore del ricorrente dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’ordinanza di inammissibilità i esame è affetta da nullità di ordine generale, rilevabile anche di ufficio, in ragione del fatto che il parere espresso dal Procuratore Generale di Venezia non è stato comunicato alla difesa per l’eventuale contraddittorio.

La ultima questione appare fondante per l’accoglimento del ricorso.

E’ stato enunciato da questa Corte di legittimità, in duplice occasione, in principio, che si condivide, secondo cui è illegittima la decisione con cui il giudice di appello dichiari inammissibile la richiesta di revisione omettendo di comunicare all’interessato il parere del P.G., in quanto – ancorchè nella fase preliminare di ammissibilità della richiesta sia legittima l’adozione di una procedura non partecipata e nonostante l’art. 634 c.p.p., non preveda che in tale fase sia sentito il P.G, – ove sussistano le conclusioni del rappresentante dell’Ufficio del P.M., esse devono essere comunicate e, pertanto, conoscibili dalla controparte che – in conformità ai principi della Convenzione europea (art. 6) e della giurisprudenza della CEDU – deve essere in grado, anche in relazione a esse, di svolgere le proprie difese ed esercitare il contraddittorio in condizioni di parità (Rv. 237600; conforme Sez. 1, Sentenza n. 29389 del 24/06/2010 Cc. (dep. 27/07/2010) Rv.

248029).

Tanto premesso, deve ritenersi che la fattispecie sopra evocata sia rimasta integrata essendo stato richiesto il predetto parere, reso il 20 settembre 2010, senza che di esso risulti data comunicazione all’interessato.

Si impone dunque, da parte della Corte territoriale competente, un rinnovo della procedura onde consentire alla parte l’espletamento del contraddittorio.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Trento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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