Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-04-2011) 20-06-2011, n. 24592

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. S.M. ricorre contro ordinanza del Tribunale di Napoli, che ne ha confermato la custodia in carcere disposta dal GIP per (capo L) la sua partecipazione quale capo e promotore ad un sodalizio criminoso di cui all’art. 416 c.p. "avente lo scopo di esercitare abusivamente l’organizzazione di scommesse e di concorsi prognostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario di alterare l’esito di competizioni sportive organizzate dal comitato olimpico nazionale italiano" (v. capo N), con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 "per aver commesso il fatto al fine di agevolare il raggiungimento delle finalità illecite dell’associazione di stampo mafioso denominata clan D’Alessandro".

L’ordinanza ripercorre la storia del clan, giungendo ad affermare la posizione apicale di C.P. nell’investimento e riciclo dei proventi illeciti dell’organizzazione nei centri scommesse dell’area stabiese, aperti su concessione della Spa INTRALOTItalia diretta da L.M., a sua volta concessionaria dell’A.A.M.S.. E dai risultati di intercettazioni telefoniche rileva gli stretti rapporti di C., anche tramite A.F., con S. M., intestatario e gestore con il fratello A. di un "punto scommesse INTRALOT" sito in (OMISSIS). In particolare talune telefonate dimostrano allarme di C. per un incontro con L. ed A., per implicazioni di fatti degli S., laddove poi l’indagato diceva al fratello di interrompere immediatamente qualcosa.

S. risultava inoltre coinvolto nella manipolazione della partita "Sorrento – Juve Stabia" (telef. 18569, 17.4.09), con corruzione dei calciatori (cui erano corrisposti all’uopo Euro 25.000) per falsare l’esito delle scommesse clandestine. Altra volta si era rammaricato per la vincita rilevante di uno scommettitore, intesa dannosa per l’organizzazione.

Il Tribunale rimarca nel contesto la sorte di alcuni titoli ed afferma l’aggravante del metodo di mafia a stregua delle minacce rivolte da A. per ottenere i pagamenti da singoli scommettitori. E conclude che il Centro di (OMISSIS) operava scommesse vietate, come dimostrano i fogli scritti a mano sequestrati dai CC. di Torre Annunziata, in cui si riporta la somma di Euro 45.700,00 per "biglietti di gioco", annotazioni superflue se si fosse trattato di regolari giocate. Infine S.A.ha riferito nel corso dell’interrogatorio che suo fratello M. era amico di C., perciò da lui conosciuto.

Il ricorso (Avv. F. Cappiello) deduce in via preliminare: 1 – violazione artt. 121 e 178 c.p.p. e art. 267 c.p.p. e ss., perchè si era eccepito che i Carabinieri avevano chiesto autorizzazione ad intercettare le conversazioni sul telefono cellulare n. (OMISSIS), sostenuto in uso al C. ed il P.M. aveva autorizzato a tale titolo l’intercettazione, mentre il GIP, disponendo la proroga del 30.10.08, lo attribuiva all’ A..

Pertanto l’autorizzazione originaria concerneva un soggetto, l’ A., non indagato per fatti di crimine organizzato.

Quindi denuncia "vizio di motivazione in relazione all’art. 416 c.p. (analizzando i singoli passaggi dell’ordinanza e riargomentando memoria disattesa dal Tribunale), sotto i profili: 2 – delle travisate modalità operative della ricezione delle scommesse (contanti – assegni dei giocatori, girate non illecite e conseguente contabilità; mancato rilievo che A. stesso è un giocatore ed è gratuita l’induzione da una sua minacciosa isolata telefonata);

3 – della riconducibilità a C. di due centri dell’area stabiese e del conseguente inserimento dei fratelli S. nel gruppo, perchè diretti dallo stesso C. a stregua delle telefonate (il motivo ne riporta il tenore, per dimostrare incongrua l’induzione del GIP); 4 – dell’attribuzione di S. della qualifica di "capo" a C. in telefonate con A. ed il senso di un suo incontro con lui; 5 – dei rapporti tra S. ed A. (riporta i brani di conversazioni dalle quali più propriamente dovrebbe trarsi che A. si informi di vincite e perdite, per effettuare pagamenti o riscossioni, sia pure circa giocate "anonime", comunque occasionali); 6 – dell’induzione dall’annotazione della somma di Euro 47.500 per scommesse che sarebbero da attribuirsi invece personalmente al ricorrente; 7 – della mancata risposta in punto di ritenuta aggravante di mafia.

2. E manifestamente infondato il motivo procedurale. Non contesta la motivazione di sussistenza di gravi indizi di reato di associazione per delinquere ( art. 267 c.p.p.) al momento della richiesta o della proroga dell’autorizzazione alle intercettazioni. Perciò travisa che non importa a chi fosse in uso l’apparecchio, C. o A., se dalle conversazioni si potevano trarre elementi indispensabili, come è evidente.

E’ del tutto infondata la censura articolata sotto più profili (2 – 6) della motivazione di gravità degl’indizi (273 c.p.p.) per mancata risposta a deduzioni in memoria tanto circa la sussistenza del sodalizio costituito per commettere più delitti in materia di scommesse, con la copertura della concessione formale, che circa la partecipazione del ricorrente.

L’ordinanza dimostra decisivi i risultati di intercettazione circa accordi, modalità operative ed attribuzioni che coinvolgono ripetutamente le stesse persone, attribuendo a documenti e dichiarazioni senso univoco, sì da offrire induzione compiuta e non manifestamente illogica del perchè dei rapporti costanti del ricorrente con C., A. ed altri.

Il ricorso fa dunque grazia della regola di concisione della motivazione (v. l’implicazione dell’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e, a fortiori circa l’ordinanza). Ed il suo riferimento al dettaglio della memoria difensiva offerta al Tribunale risulta concretamente superfluo e di merito, perchè specularmente travisa che il ricorso serve a chiedere il controllo di legittimità della motivazione del provvedimento impugnato in termini di riconoscibilità dei criteri adottati e delle inferenze operate, non il riconoscimento di maggior pregio alle valutazioni di parte.

E’ fondato l’ultimo motivo. Il Tribunale afferma il fine di mafia del ricorrente nel partecipare ad associazione per delinquere comune perchè, facendolo, ha agevolato il clan cui è affiliato C., sostenendo, senza dimostrarlo, che il clan, non C. in proprio, avrebbe investito denaro nell’attività dell’associazione.

Attribuisce poi a talune espressioni di A. valenza di metodo di mafia, coinvolgendo apoditticamente il ricorrente.

Da tanto non s’intende l’attribuzione di aggravante ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7. O l’associazione è un ramo del clan o la partecipazione, cioè il concorso necessario per tenerla in vita, conserva la dimensione propria di cui all’art. 416 c.p..

L’attribuzione dell’aggravante, di fine o metodo, può perciò concernere delitti fine dei singoli, non la loro stessa partecipazione all’associazione comune, salvo errore di qualificazione del reato associativo.

Tanto esige rivisitazione compiuta e risposta intelligibile da parte del Tribunale.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli, limitatamente all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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