Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-04-2011) 20-06-2011, n. 24564 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

T.F. ricorre in cassazione avverso l’ordinanza, in data 2.12.2010, del Tribunale di Bari – sezione del riesame – con cui è stata rigettata l’istanza di riesame dell’ordinanza cautelare emessa il 25.10.2010 dal GIP presso il Tribunale dello stesso capoluogo in ordine al delitto di cui agli artt. 110 e 81 cpv. cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e L. n. 203 del 1991, art. 112, comma 1, n. 4 e art. 74, commi 1, 2, 3 e 4.

Si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione. Si premette che le doglianze esposte con l’istanza di riesame avevano ad oggetto l’inattendibilità ed inconsistenza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno chiamato in causa il ricorrente e la mancanza di riscontri; l’insufficienza o inadeguatezza delle captazioni ambientali e telefoniche in base alle quali il T. è stato ritenuto intraneus ai sodalizi criminali; l’assenza dei reati fine contestati.

Si adduce che l’apparato motivazionale dell’impugnata ordinanza è carente, oltre ad essere manifestamente illogico e contraddittorio, perchè, senza dimostrare l’infondatezza e la inadeguatezza dei rilievi contenuti negli atti difensivi, si limita solo ad aderire all’impostazione del GIP. In merito alle dichiarazioni rese da R.N. si era rilevato che la chiamata in correità effettuata dallo stesso si rileva tutt’altro che attendibile intrinsecamente, stante il profondo rancore nutrito nei confronti dei chiamati in causa. Si evidenzia che il R. escusso il 4.02.2010 nell’ambito di altro procedimento penale aveva dichiarato, su domanda del P.M., che si era indotto a collaborare "3 mesi fa (novembre 2009) per cambiare vita e non è stato accettato e mi volevano fare del male". Appare, quindi, chiaro il rancore e l’astio che il R. nutre nei confronti dei chiamati in causa tra cui il T..

Quanto ai riscontri alle sue dichiarazioni si evidenzia che il Rubini, relativamente ad un episodio di un agguato avvenuto ai suoi danni, fa il nome, quale uno degli autori, di tale " V. (OMISSIS)", identificato in C.V. che, da documentazione certa, all’epoca dei fatti cui fa riferimento il dichiarante si trovava in carcere.

Altra circostanza che scalfisce l’attendibilità del dichiarante è data dalla inesattezza delle sue dichiarazioni secondo cui nell’inverno del 2007 aveva dimorato presso la casa di campagna del D.C., dalla documentazione acquisita emerge che il D.C. nel luglio del 2007 fu mandato via da tale abitazione.

Si rileva, comunque, con riferimento alla posizione del ricorrente che le dichiarazioni del R. sono generiche ed indeterminate, non vi è una sola affermazione alla quale è seguita un riscontro, non sapeva neanche il grado che il T. avesse all’interno dell’organizzazione e, per altro, entra anche in disaccordo con gli altri collaboratori.

In merito alle dichiarazioni di C.M. di costui non è dato sapere l’inizio della sua collaborazione ed i motivi che lo hanno indotto a collaborare. Anche le sue propalazioni accusatorie sono del tutto generiche e prive di qualsiasi fondamento probatorio.

In merito alle dichiarazioni di L.P. se ne rileva la inattendibilità intrinseca: afferma che il T. spacciava droga per conto dello S.A.M. contraddicendosi con quanto prima dichiarato secondo cui costui non ne voleva sapere niente della droga perchè dedito alle estorsioni.

Nonostante fossero state evidenziate tali incongruenze il Tribunale del riesame ha omesso di chiarire le questioni sollevate: le dichiarazioni rese con riferimento alla posizione del T. dai collaboratori sono sottratte a qualsiasi forma di verifica e contrastate da tutte le attività di indagine svolte nel processo, oltre che prive dei necessari riscontro esterni di carattere specifico ed individualizzante.

Il ricorso non può trovare accoglimento, laddove si risolve in una censura sulla valutazione del quadro indiziario posto a fondamento del provvedimento de libertate che esula dai poteri di sindacato del giudice di legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento motivazionale nè manifestamente illogico, nè viziato dalla non corretta applicazione della normativa di settore.

In proposito, va ricordato che, secondo assunto non controverso, in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice (di recente, ex pluribus, Cass., Sez. 4^, 4 luglio 2003, Pilo; nonchè, Sez. 4A, 21 giugno 2005, Tavella). Ciò che, nella specie, il ricorrente fa quando si limita a contestare "nel merito" il quadro probatorio a carico evidenziato nell’ordinanza cautelare, fondato su dichiarazioni di collaboratori di giustizia (ritenute inattendibili perchè prive di riscontri) e sul contenuto di intercettazioni plurime, il cui significato probatorio è stato analizzato con attenzione ed è supportato da una motivazione ampiamente esaustiva, specie ove si consideri che si tratta di una decisione de libertate.

Infatti, non può essere dimenticato che, nella materia de libertate, la nozione di "gravi indizi di colpevolezza" di cui all’art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine "indizi" inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta ad indicare la "prova logica o indiretta", ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art. 192 c.p.p., comma 2,) che consente di risalire ad un fatto incerto attraverso massime di comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare, invece, è quindi sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. E ciò deve affermarsi anche dopo le modifiche introdotte dalla L. 1 marzo 2001, n. 63: infatti, nella fase cautelare è ancora sufficiente il requisito della sola gravità ( art. 273 c.p.p., comma 1), giacchè l’art. 273 c.p.p., al comma 1 bis (introdotto, appunto, dalla suddetta legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non dell’art. 192 c.p.p., il comma 2, che prescrive la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi; derivandone, quindi, che gli indizi, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (cfr. ancora, Cass., Sez. 4A, 4 luglio 2003, Pilo;

nonchè, più di recente, Sez. 4A, 21 giugno 2005, Tavella). La censura non coglie, quindi, nel segno: non emergono nella decisione gravata violazioni di norme di legge e, nel merito, le argomentazioni a supporto della ordinanza custodiale non sono sindacabili in questa sede, a fronte della rappresentazione, non illogica, di un quadro indiziario senz’altro grave nei termini di cui si è detto, che consente, per la sua consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, sarà idoneo a dimostrare la responsabilità del prevenuto, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (cfr. Cass., Sez. 2A, 19 gennaio 2005, Paesano). Come si è accennato, tali principi risultano pienamente rispettati, risultando dalla motivazione dell’ordinanza gravata come si sia proceduto ad un legittimo richiamo al contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori e delle conversazioni intercettate, ritenuto significativo della contestata fattispecie incriminatrice.

In questa prospettiva, la doglianza sollevata dalla difesa circa l’inattendibilità dei chiamanti in causa e l’interpretazione del contenuto delle intercettazioni, è inaccoglibile, invocandosi qui un controllo censorio sull’apprezzamento del quadro probatorio non esercitabile a fronte di una motivazione che non si appalesa ictu oculi illogica. Nella specie, non è dubitabile che il giudice del riesame, confermando l’ordinanza cautelare, ha evidenziato in maniera non illogica gli elementi posti a sostegno della gravità del quadro indiziario, non potendo negarsi tale valenza: alle dichiarazioni coerenti tra loro e, quindi, reciprocamente riscontrate di tre collaboratori ( L.P., C.M. e R. N.) di giustizia intranei, prima della loro collaborazione, al sodalizio criminoso (la cui sussistenza in fatto non viene contestata dal ricorrente) contenuto delle intercettazioni delle telefonate, oltre a quelle tra altri solidali in cui si faceva riferimento al nome del T. (indicato come C.), anche e soprattutto a quelle tra il T. stesso e l’ A.S., con evidenza riferibili alla cessione della droga di sostanza stupefacente, rilevanti ai fini della prova del pieno inserimento del ricorrente nel mercato della droga.

In una tale prospettiva, a fronte di una motivazione complessivamente esatta e congruamente argomentata, le deduzioni difensive appaiono inidonee ad escludere, allo stato degli indizi raccolti, l’inserimento del ricorrente negli ambienti dediti al commercio della droga. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’Istituto penitenziario perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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