Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-10-2011, n. 22667 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione Sanzione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.G. propose opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22 avverso l’ordinanza ingiunzione in data 27.1.03, con la quale la Provincia di Venezia gli aveva irrogatola sanzione amministrativa di Euro 1.549, 00, per avere, in data 20.9 02, in violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, comma 1 e art. 52, comma 3 effettuato il trasporto su autoveicolo di sua proprietà di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da "scarti di alluminio – barre e fogli – tranci, pallets in legno" senza il prescritto formulario d’identificazione.

L’opposizione, cui aveva resistito l’amministrazione intimante, venne respinta dall’adito Tribunale di Venezia, con sentenza n. 2614 del 17/18.11.2004, con condanna dell’opponente alle spese.

Riteneva segnatamente, per quanto ancora rileva in questa sede, quel giudice che, pur tenendo conto della definizione di "rifiuti" secondo la norma di interpretazione autentica contenuta nel D.L. n. 138 del 2002, art. 14 conv. con modd. nella L. n. 178 del 2002, astrattamente applicabile nonostante l’asserito contrasto con la direttiva comunitaria non self executing, nel caso di specie non potessero configurarsi, come sostenuto dall’opponente, gli estremi per l’esclusione in concreto nei "materiali residuali di produzione o di consumo " in oggetto della natura di rifiuti ai sensi del cit. art. 14, comma 2, lett. a) e b), in difetto del requisito costituito dalla volontà ovvero dell’obbligo di destinarli od avviarli ad operazioni di recupero o di smaltimento. Poichè la riutilizzazione, nel medesimo, analogo o anche diverso, ciclo produttivo, senza subire trattamenti, nè recare pregiudizio all’ambiente o dopo aver subito trattamenti di recupero non implicanti operazioni contemplate nell’allegato C del D.Lgs. n. 22 del 1997, non era quale mera ed astratta possibilità, bensì quale concreta condizione, il giudicante rilevava che nel caso di specie la genericità degli elementi di prova addotti (in particolare la testimonianza di una figlia dell’opponente con impreciso riferimento cronologico) non consentivano di ritenere certo l’avvio dei materiali in fonderia a scopo di riutilizzazione produttiva e comunque escludere in tale eventuale recapito fini di definitivo smaltimento. Per di più – soggiungeva il giudice – la più recente giurisprudenza di legittimità aveva, in caso analogo, qualificato i rottami metallici rifiuti anche in ipotesi di cessione a terzi e nonostante l’entrata in vigore della norma interpretativa in precedenza citata.

Avverso tale sentenza l’opponente ha proposto ricorso per cassazione deducente due motivi.

Ha resistito la Provincia di Firenze con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, cui ha replicato il L. con controricorso ex art. 371 c.p.c., comma 4.
Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6 e del D.L. n. 138 del 2002, art. 14 conv. nella L. n. 178 del 2002, censurandosi la ritenuta natura di rifiuti dei materiali in questione, costituiti da lastre di alluminio grezzo residuate dalla lavorazione, sia per non aver considerato che gli stessi non figuravano nell’elenco dei rifiuti allegato al D.Lgs. n. 22 del 1997, sia per non aver applicato la citata disposizione d’interpretazione autentica del 2002 alla fattispecie, nella quale, dalle risultanze documentali e testimoniali, sarebbe emerso che detti scarti, per natura e consistenza assimilabili a vera e propria "materia prima", non erano destinati ad abusivo smaltimento, bensì al recupero produttivo mediante fusione, così integrandosi l’ipotesi di riutilizzazione, senza subire trattamenti preventivi, nè arrecare danni all’ambiente.

Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta, in subordine, la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 12 osservando che, quand’anche le risultanze sopra indicate fossero state dubbie, come ritenuto dal giudice di merito, la citata disposizione processuale avrebbe imposto l’accoglimento dell’opposizione, per mancata ottemperanza all’onere probatorio da parte dell’amministrazione.

Entrambi i motivi devono essere respinti.

Premesso che l’elencazione nella tabelle allegate al D.Lgs. n. 22 del 1997 non è esaustiva di tutte le categorie di rifiuti, dovendo tali considerarsi, in ogni caso, tutte quelle sostanze, non espressamente escluse o disciplinate da diverse normative, di cui il detentore si disfi, abbia deciso di disfarsi o abbia il dovere di farlo, e che nella specie i materiali di cui al carico intercettato dai verbalizzanti, come risulta da accertamento di fatto incensurabile del giudice di merito, non consistevano soltanto in scarti di alluminio, ma anche in residui lignei, deve rilevarsi che il giudice di merito ha ritenuto, con argomentazione basata sulla valutazione delle risultanze processuali e non censurata ex art. 360 c.p.c., n. 5, non provata la circostanza secondo cui detti materiali fossero in quella concreta circostanza avviati ad un procedimento di recupero.

Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la semplice possibilità di riutilizzazione economica, mediante operazioni di recupero, di materiali di scarto non è sufficiente ad assolvere i detentori dagli adempimenti prescritti dall’art. 12 del sopra citato Decreto Legislativo, occorrendo invece a tal fine la concreta verifica di siffatta destinazione (v., in particolare, sent. nn..

17108/06, 944/10); ne consegue che nella specie, in cui è mancata la prova che quello specifico carico di materiali fosse destinato a siffatte operazioni, non decisivo risulta il richiamo alle controverse norme di "interpretazione autentica" contenute nel D.L. n. 138 del 2002, art 14 conv. in L. n. 178 del 2002 (il che esime dal prendere in considerazione la relativa questione di legittimità costituzionale sollevata, in subordinerai P.G.), poichè anche tali disposizioni, prevedendo che tali materiali residuali "possono e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o in diverso ciclo produttivo o di consumo etc. …", inequivocamente esigono l’effettività di tale destinazione.

Disatteso, pertanto, il primo motivo, non miglior sorte merita il secondo, poichè nella specie, non sussistendo alcuna incertezza probatoria in ordine al fatto storico contestato all’opponente, nè agli elementi costitutivi dell’illecito, mentre invece la carenza di prova riguardava l’eccezionale circostanza esimente di cui all’invocata disposizione suddetta, il cui onere gravava sull’opponente, non si configuravano gli estremi per l’applicazione del principio in dubio pro reo, recepito in tema di sanzioni amministrative dalla norma processuale contenuta nel penultimo comma della L. n. 689 del 1981, art. 23.

Il ricorso principale va conclusivamente rigettato, con assorbimento di quello incidentale condizionato.

Le spese, infine, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il principale, di chiara assorbito l’incidentale e condanna il ricorrente principale al rimborso delle spese del giudizio alla resistente amministrazione, in misura di complessivi Euro 1.200, 00, di cui 200 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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