Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-03-2011) 20-06-2011, n. 24552 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione E.E. avverso l’ordinanza emessa in data 26 febbraio 2010 della Corte d’appello di CATANIA, con la quale veniva respinta l’istanza dallo stesso avanzata in data 6 giugno 2006 al fine di conseguire un’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita in carcere dal 6 giugno 2003 al 13 luglio 2005 quale imputato dei reati di cui all’art. 416 – bis cod. pen. nonchè per i delitti – aggravati ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 – di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 4, 5, 7 e 8, art. 4, n. 1 e art. 7 e D.Lgs. n. 286 del 1998 e succ. modif., art. 12, commi 1 e 3 e di quello previsto dall’art. 648 cod. pen.: reati dai quali l’istante era stato assolto dalla Corte d’Assise di Catania, con sentenza in data 13 luglio 2005 divenuta irrevocabile il 26 novembre 2005, con le formule: "per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste".

Ha ritenuto la Corte d’appello ostativa al riconoscimento della pretesa, la condotta dolosa dello stesso istante cui deve farsi risalire la causa dell’applicazione e del mantenimento della misura cautelare. Dal contenuto di molteplici conversazioni telefoniche intercettate con i coindagati (ritrascritte, nei passi più significativi, nella motivazione della stessa ordinanza) era emerso che l’ E.E. aveva con gli stessi collaborato nell’attività di favoreggiamento della immigrazione clandestina e di sfruttamento della prostituzione di diverse donne nigeriane; donde la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del predetto idonei a creare l’apparenza, ancorchè falsa, della sua colpevolezza, peraltro esclusa solo in esito al dibattimento per difetto del raggiungimento della piena prova della stessa. Deduce la difesa un’unica censura per violazione di legge.

Contrariamente agli errati assunti della Corte d’appello (che ha del tutto obliterato di esaminare gli elementi dedotti con l’istanza e riassunti in una memoria difensiva come pure di valutare il comportamento dell’istante successivo all’adozione della misura), è pacifica, secondo il ricorrente, l’insussistenza di qualsivoglia addebito di dolo o colpa grave a carico dell’istante.

L’ E.E. non si era infatti avvalso della facoltà di non rispondere dinanzi al GIP del Tribunale di Roma, in sede di interrogatorio di garanzia allorchè, proclamandosi estraneo agli addebiti, aveva contribuito a chiarire la propria posizione. Lo stesso aveva altresì reso valide e logiche argomentazioni a propria discolpa, anche in sede di istruzione dibattimentale.

Con la sentenza di assoluzione nel merito si era affermato che, ove si fosse fatto uso, nelle precedenti fasi del procedimento a carico dell’istante, di una maggior prudenza valutativa nella selezione degli elementi integranti i gravi indizi di colpevolezza (avuto riguardo in particolare al contenuto ambiguo o inconcludente, in senso accusatorio, di talune conversazioni telefoniche intercettate), si sarebbe evitata la rilevante protrazione della custodia cautelare in carcere. L’ E.E., a cagione dell’ingiusta detenzione subita per sì rilevante periodo, ha patito gravi ed ingenti pregiudizi di ordine non solo morale, ma anche più strettamente economico. Egli era soggetto incensurato al momento dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare e si trovava legittimante nel territorio dello Stato in quanto in possesso di regolare permesso di soggiorno, svolgendo attività commerciali in Roma.

Il Procuratore Generale, con la requisitoria scritta in atti, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso non merita accoglimento.

Contrariamente agli assunti del difensore, l’ordinanza impugnata è del tutto immune dal denunziato vizio di inosservanza od erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen..

Nè – preliminarmente – può ritenersi il provvedimento formalmente censurabile perchè in esso non si fa espressa menzione di una memoria "ritualmente" depositata dalla difesa nella quale risultavano "riassunti tutti gli elementi indicati" con la domanda introduttiva.

La Corte distrettuale invero, nell’incipit del provvedimento, da atto, di aver "esaminati gli atti" nei quali deve ritenersi indubbiamente inclusa anche la citata memoria difensiva,nulla consentendo di affermare che il mancato accenno ad essa – diversamente che a quella prodotta dal Ministero contraddittore – deponga per l’omessa valutazione. In ogni caso va rilevato, in conclusione, che, per ammissione dello stesso difensore, trattavasi di memoria "riassuntiva" (nè peraltro l’atto avrebbe potuto legittimamente avere un differente contenuto introduttivo di temi "nuovi") e che quindi l’esame dell’istanza introduttiva aveva avuto valenza assorbente delle ragioni dell’istante, senza alcun vulnus per la posizione dello stesso.

Ciò posto e preliminarmente chiarito, va premesso che la Corte distrettuale si è correttamente attenuta,nell’esame critico e nella valutazione selettiva degli elementi utilizzati per giungere alla pronunzia di rigetto dell’istanza, ai principi fissati in subiecta materia dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 13 dicembre 1995, Sarnataro (la cui massima risulta trascritta nella motivazione) secondo cui l’approccio valutativo al quale il giudice dell’equa riparazione deve sottoporre il medesimo materiale deve atteggiarsi in modo del tutto differente rispetto a quello che deve seguire il giudice della cognizione al fine di stabilire se determinate condotte costituiscano o meno reato. Il Giudice della riparazione è invece tenuto a verificare – con valutazione ex ante – se le stesse hanno rivestito un ruolo condizionante agli effetti della produzione dell’evento dannoso ovverosia dell’emissione e dell’eventuale mantenimento del provvedimento restrittivo della libertà personale.

Orbene, la Corte d’appello di Catania, dando atto del contenuto di quattro conversazioni telefoniche intercettate (già messe in rilievo sia nell’ordinanza applicativa della misura cautelare sia nell’ordinanza 1 luglio 2003 con la quale il Tribunale del riesame di Catania aveva rigettato l’impugnazione proposta dal prevenuto, sottolineando la valenza indiziaria a suffragio dell’accusa, desumibile dalle suddette conversazioni) ha congruamente motivato, in termini peraltro assolutamente condivisibili, che dalle stesse emergeva una condotta dolosa (rectius: gravemente colposa) risalente all’ E.E. tale da legittimarne il coinvolgimento, a pieno titolo, nei reati allo stesso ascritti di associazione mafiosa;

favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavitù. Nè può invero revocarsi in dubbio, alla stregua di un valutazione ex ante, che abbiano rivestito ruolo quantomeno sinergico ai fini di indurre erroneamente gli inquirenti ad emettere il provvedimento restrittivo della libertà personale le strette relazioni finalizzate al compimento di "affari" sicuramente non leciti desumibili dalle conversazioni intervenute tra l’istante e due coimputati (poi condannati) nonchè il coinvolgimento dell’ E. nell’attività finalizzata a procurare fittizi contratti di lavoro onde far ottenere il permesso di soggiorno alle giovani nigeriane indotte a prostituirsi in Italia, tanto da avere il ricorrente sostanzialmente truffato una ragazzaglia quale non aveva procurato "il documento", pur avendo ricevuto da costei la somma di danaro convenuta, come riferito in una conversazione intercorsa tra " T." – indagata – e I.I.I., riconosciuto corresponsabile dei suddetti reati. Conclusioni non dissimili vanno tratte dalle altre due conversazioni del 14 e del 18 febbraio 2003 (entrambe precedenti all’emissione, in data 30 maggio 2003, dell’ordinanza di custodia cautelare), rispettivamente intercorse tra lo stesso I. I.I. e l’istante e tra il primo ed una giovane nigeriana di nome J., ex se idonee a suffragare gravi ed univoci indizi del diretto coinvolgimento, a livello indiziario, dell’ E. nella "preparazione di quel foglio" (papier, nella lingua francese usata dagli interlocutori) ovverosia del permesso di soggiorno e nell’attività di rilascio di documenti per la quale la ragazza avrebbe dovuto portargli "quattro foto per passaporto".

Deve da ultimo osservarsi che, contrariamente agli assunti del ricorrente, la valenza gravemente colposa delle condotte dell’ E. non può ritenersi smentita od attenuata da quanto dallo stesso dichiarato in sede di interrogatorio di garanzia svoltosi per rogatoria,dinanzi al GIP del Tribunale di Roma in data 8 giugno 2003, il cui testo non risulta invero acquisito agli atti e che comunque la difesa non è riuscita a reperire, nella integrale redazione stenotipia, come emerge dal verbale dell’udienza camerale del 12 febbraio 2010, di guisa che nel ricorso si è limitata a richiamarne il breve sunto riportato nell’ordinanza emessa, ex art. 309 cod. proc. pen. in data 1 luglio 2003, dal Tribunale del riesame di Catania. In tale ordinanza venivano giudicate poco plausibili e non dimostrate le giustificazioni addotte dall’indagato (che aveva dichiarato di essersi occupato di una patente nigeriana per conto delle fidanzata di I., allorchè, parlando al telefono, aveva fatto cenno ad "un foglio") non avendo l’ E. prodotto alcuna documentazione attestante il suo intervento presso gli uffici competenti e non essendo compatibile l’uso del termine: "foglio" per qualificare una patente di guida straniera anzichè, come dimostrato dalle indagini effettuate, un permesso di soggiorno. Sicchè anche dal comportamento susseguente all’emissione del provvedimento cautelare, non era dato ricavare alcun elemento atto a contraddire od a smentire la ricorrenza della ritenuta condotta dolosa (rectius:

gravemente colposa) ostativa all’accoglimento dell’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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